lunedì 4 giugno 2012

AUTONOMISTI ACCENTRATORI - SANITA' : UNE RIFORMA CONTRO L'AUTONOMISMO di Gianfranco D'ARONCO.


SANITA’,
UNA RIFORMA
CONTRO L’AUTONOMISMO

(…) L’annunciata riforma (azienda sanitaria regionale unica - n.d.r.). è l’esempio più visibile di una strategia su vari settori: opera di amministratori regionali che – eletti per realizzare autonomia e decentramento – vanno esattamente nella direzione opposta, accentrando quanto più possibile nelle loro mani. Tutto questo piacerà a triestini nostalgici e a triestinizzati, che vogliono una la città capoluogo fuori luogo (voglio dire lontana che più non si può dal baricentro della Regione), quale sede del potere con annessi e connessi.
Piacerà meno ai friulani che ragionano.
Di questo passo, chi sa che a questi regionalisti accentratori non venga l’idea, un giorno o l’altro, di accorpare le regioni, per riordinare, razionalizzare e risparmiare. Forse sarebbe il massimo della loro riforma. (…)
Gianfranco D’Aronco
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AUTONOMISTI

ACCENTRATORI
di
Prof. Gianfranco D’Aronco

Presidente
“Comitato per l’autonomia
e il rilancio del Friuli”


         “Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno…”. Mi avvalgo di una firma un po’ migliore della mia (Petrarca), per rilevare che in casa nostra, il Friuli, quanto a politica non mancano gli appelli, gli inviti, i suggerimenti, le critiche, i rimproveri, le reprimende eccetera: il tutto rivolto là “dove si puote ciò che si vuole” (Dante).
E il tutto indarno, appunto, con grande scorno di chi si illude di essere ascoltato. In alto loco (si dice così?) non si vede e non si sente: forse la politica migliore è ciò che serve a mantenere le posizioni raggiunte e magari a rafforzarle, specie in vista del 2013. Per quelli là il motto “Volere è potere” va aggiornato in “Volere il potere”.
Gli amministratori di una Regione che si chiama (indarno) ad autonomia speciale o particolare, nata per decentrare quanto più possibile da Roma, tendono (essi, gli autonomisti) ad accentrare.
E’ stato così fin dal primo impianto del 1964, quando qualcuno deve aver detto: “l’autonomia è una cosa troppo seria, per lasciarla in mano agli autonomisti”.
E questa pretesa esclusivista in barba alla Costituzione  (art.5): la Repubblica “attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. Lo stesso in barba allo statuto regionale (art.11):  “La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Province ed ai Comuni, ai loro consorzi ed agli altri enti locali, o avvalendosi dei loro uffici”.
Il decentramento sugli enti locali, dicevamo, è stato dunque ed è di là da venire: una legge regionale del 2006, che lo istituiva, è rimasta lettera morta: salvo gli adeguamenti economici ai dipendenti delle Province e dei Comuni, per il maggior carico di lavoro conseguente al decentramento, che poi non si è fatto. Pazienza: “ch’anco tardi a venir non ti sia grave” (Leopardi).
         In cambio di esso decentramento - con moto uniformemente accelerato in questi ultimi mesi, e sotto l’impulso (speciale o particolare, come l’autonomia) del governatore presidente Tondo - ci si muove per sottrarre o ridurre quel po’ di vita autonoma esistente nel contado chiamato Friuli.
Parecchi enti sono nell’occhio del ciclone: si badi bene, in omaggio al riordino, in una con la efficienza, la razionalizzazione e il risparmio. Ce lo insegna un articolo non firmato (pare una velina) della rivista “Realtà industriale”, che s’industria a indicare gli oggetti di tale cura: “enti aziende e agenzie del territorio e in particolare Ater, Erdisu, Consorzi di bonifica, Agenzia del lavoro e Azienda speciale villa Manin”, Camere di commercio, eccetera.
 La salute è la prima cosa nella vita, si usa dire anche sotto San Giusto: giusto. Per cui la sanità è il primo bersaglio. Si parla di una azienda che come tutte le aziende ha da essere produttiva: dalla sanità la salute. Ma l’Azienda (d’ora in poi con l’A maiuscola) ha da essere  unica: c’è già chi ha pensato a un felice acronimo, ARUSS. E si comincia sul serio a fare pulizia: voglio dire che ci sarà un unico servizio regionale per le pulizie nei nosocomi, affidato attraverso una pubblica gara.
         A chi non piace l’Azienda unica?
Non piace alla opposizione di centro-sinistra, perché nascerebbe “un monstrum burocratico” che andrebbe “nella direzione di allontanare gli operatori da bisogni delle persone” (Serracchiani).
Non piace ai primari dell’Alto Friuli: “una unica Azienda ospedaliera della Provincia di Udine renderà ancora più problematica la gestione dell’ospedale Santa Maria della misericordia e mortificherà la funzione dei nostri ospedali”: tale il commento di due consiglieri regionali (Della Mea e Marsilio, dello stesso schieramento politico).
L’annunciata riforma non va ai sindacati: genererebbe “sprechi e malumori, rischiando di far andare la sanità regionale fuori controllo”. E’un piano ”calato dall’alto dal presidente, con piglio decisionista, senza alcun confronto con gli enti locali, i sindacati e gli operatori del settore”. “E’ un esperimento già fallito in altre regioni” (Franco Belci).
Le voci contrarie richiedono un continuo aggiornamento. La riforma “viene calata dall’alto”, “di fatto imposta alla propria maggioranza”, ribadisce un altro consigliere regionale della opposizione, “mentre è necessaria una preparazione puntuale e precisa, con l’apporto di tutti e nei tempi necessari” (Codega).
Ma la riforma piace al governatore.  La riforma sanitaria non può più essere rinviata“, afferma. “La nostra sanità oggi funziona bene”, sennonché d’ora in poi “la Regione dovrà operare con un bilancio che vede le risorse in calo”. I medici che protestano “non sanno di cosa parlano” (forse di medicina. Non sanno la differenza tra salute e sanità, dico io, la quale ultima è materia esclusiva dei politici). Continua il presidente: l’azienda “de cuius” sarà, per capirci, una e trina: unica, ma nel contempo divisa per tre aziende uguali e distinte, con sede presso gli ospedali di Udine, Pordenone e Trieste (Gorizia non esiste).
 Il governatore è disposto al confronto. Ma pare ispirarsi a Churchill, che inviando alla madre un suo discorso ai Comuni, l’avvertiva:  “Ricordati di scrivermi per parlarmene bene. Dimmi quali sono le parti che ti piacciono. Adoro gli elogi, sono meravigliosi”.

Non diversamente  il presidente è disposto ad “accogliere eventuali proposte di correzione, purché, ovviamente, siano migliorative”. In sintesi, “la bozza prevede di racchiudere gli ospedali piccoli nei tre più grandi” sopraddetti. Questa è la razionalizzazione.
         Un particolare. Se gli ospedali piccoli si chiudono per risparmiare, che ne sarà del personale? Sarà sfoltito o trasferito? Quanto ai malati, visto che non si possono sopprimere, si riverseranno tutti nelle tre aziende, dove per altro si accalcano già altri dolenti, mentre le visite e gli interventi di routine vengono rinviati di mesi? Occorre pensare a nuovi bei padiglioni?
         Tutti gli ospedali sono nati in antico da iniziative di generosità. Protagonisti i benefattori, che in vita o in morte lasciavano beni a comunità religiose. Li ha fatti nascere nei secoli la carità cristiana. Basta guardare alle loro intitolazioni, a cominciare da quello di Udine, operante nel Duecento per assistere e curare malati indigenti: “Santa Maria della Misericordia dei Battuti”. Qual è ora il destino che attende dunque i piccoli ospedali, cioè quelli più vicini agli infermi e ai familiari? Un consigliere regionale di sinistra cita l’ospedale di Cividale, di cui ogni tanto se ne va un pezzetto. I servizi di radiologia, ad esempio, saranno ridotti. “Con la solita faccia tosta ci spacceranno questo ennesimo taglio come un miglioramento del servizio. La verità è ben diversa: quel poco che resta dell’ospedale di Cividale lo stanno sfogliando come un carciofo” (Pustetto). Non è che le parole dei consiglieri siano tutte Vangelo. Ma un altro di essi, stavolta di centro-destra, è in allarme per il depotenziamento del servizio sanitario della città ducale, “che opera a favore di un bacino di circa 50 mila persone”, come “punto di riferimento per la popolazione delle Valli del Natisone” (Novelli). Mica tutti, malati o parenti, dispongono dell’auto blu con autista, per raggiungere Udine da Stupizza o da Cepletischis. Analogo discorso tiene un  consigliere comunale del luogo, della opposizione di sinistra. Taglia oggi, taglia domani, “il nosocomio verrà catalogato come realtà superflua” (Pinto). Si potrebbe continuare.
         L’annunciata riforma è l’esempio più visibile di una strategia su vari settori: opera di amministratori regionali che – eletti per realizzare autonomia e decentramento – vanno esattamente nella direzione opposta, accentrando quanto più possibile nelle loro mani. Tutto questo piacerà a triestini nostalgici e a triestinizzati, che vogliono una la città capoluogo fuori luogo (voglio dire lontana che più non si può dal baricentro della Regione), quale sede del potere con annessi e connessi. Piacerà meno ai friulani che ragionano. Di questo passo, chi sa che a questi regionalisti accentratori non venga l’idea, un giorno o l’altro, di accorpare le regioni, per riordinare, razionalizzare e risparmiare. Forse sarebbe il massimo della loro riforma.

Gianfranco D’Aronco
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L’articolo a firma del Prof. Gianfranco D’Aronco è stato pubblicato sul quotidiano IL MESSAGGERO VENETO (Udine), domenica 3 giugno 2012 – pagina 8 - Regione

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