Senza
autonomia
non
c’è democrazia
Testo
della Relazione presentata dal “Comitato per
l'autonomia e il rilancio del Friuli” - quale relatore/ospite - alla Tavola rotonda sul tema
“Autonomia regionale e democrazia diretta: opzioni
alternative o complementari?” svoltosi in sala Ajace a
Udine venerdì 20 novembre 2015 e organizzato dal M5S di Udine che il Comitato ringrazia per l'invito.
"Non
è un caso che i Padri Costituenti, in Italia, nel 1946 abbiano
inserito proprio nel primo articolo della nostra Costituzione il
principio fondamentale che “dovrebbe” essere alla base della vita
sociale e politica della Repubblica italiana: “la sovranità
appartiene al popolo”. Ed è proprio l'autonomia, ossia
l'autogoverno in prossimità del cittadino, il cardine della
“sovranità popolare”, quindi della democrazia.
Dunque,
Democrazia e Autonomia sono PRINCIPI fondamentali della
nostra Costituzione. Non sono alternativi e neppure complementari,
perchè sono la faccia di una stessa medaglia: la sovranità del
popolo. Hanno uguale peso ed importanza.
Poi ci sono realtà
territoriali che necessitano di una “AUTONOMIA SPECIALE”,
perchè speciale è la loro realtà storica, culturale e linguistica.
Una realtà “particolare” che non si riscontra nelle regioni
contermini e nella regioni ordinarie. E' questo il caso della nostra
regione ove la MAGGIORANZA della popolazione è
minoranza linguistica storica riconosciuta ai sensi dell'art. 6 della
Costituzione italiana. Su cinque regioni a statuto speciale ben
quattro hanno una situazione paragonabile a quella del Friuli. Solo
la Sicilia deve la sua specialità al timore che i siciliani
volessero distaccarsi dallo Stato italiano.
I
motivi per cui nel 1947 la nostra regione è stata inclusa tra le
regioni a statuto speciale oggi non sono più richiamabili, perché:
la
situazione internazionale è completamente cambiata (nel 2000 la
Slovenia è entrata a far parte della Unione Europea).
la tragica situazione economica del Friuli (uscito letteralmente distrutto dalla Prima
guerra mondiale e successivamente poco e quasi nulla finanziato dallo
Stato italiano perchè considerato “territorio a perdere” in
caso di nuovo conflitto militare, oltre ad essere soggetto a pesantissime servitù militari) è stata in gran parte sanata
grazie alla autonomia speciale.
E'
da evidenziare che successivamente, dal 1947 ad oggi, i diritti
linguistici sono stati riconosciuti da fondamentali istituzioni
mondali (in primis l'ONU) diritti UMANI primari da tutelare e
difendere. E la stessa Unione Europea ha approvato importanti
trattati internazionali (sottoscritti anche dall'Italia) a tutela
delle minoranze linguistiche (sinonimo del termine giuridico
“minoranze nazionali” nel linguaggio giuridico della UE).
In
un 1947 in cui l'Italia era alle soglie delle prime elezioni libere
nazionali e il nazionalismo italiano diffondeva lo spauracchio di
“Tito” che riteneva pronto a conquistare il Friuli, il clima
politico non permetteva sicuramente di motivare la autonomia speciale
della nostra regione con la presenza delle minoranze linguistiche ma
dalla lettura dei documenti redatti dalla Costituente si evidenzia
chiaramente che i Padri Costituenti erano ben consci della
“particolarità linguistica e culturale” del Friuli.
E
proprio il Friuli terremotato ha sperimentato quanto l'autonomia sia
importante e fondamentale. Senza l'autonomia di cui godettero Sindaci
e Regione oggi non si potrebbe raccontare di una ricostruzione che ha
visto l'intero popolo friulano solidale e unito verso un unico
obiettivo: ricostruire senza scandali e corruzione. Ricostruzione che
rimane l’unica grande opera in Italia che oltre a essere stata
completata, è stata anche completamente contabilizzata.
L'autonomia
oggi è vilipesa, aggredita, considerata la responsabile di ogni
“male” del Paese Italia. Crediamo invece che si debba fermare la
restaurazione e rivalutare l'autonomia e il diritto degli enti locali
di autogovernarsi.
Il
decentramento amministrativo è strumento di democrazia teso a
valorizzare le risorse morali e operative di un popolo (principio di
solidarietà) per fare cosa? Deve essere indirizzato soprattutto ai
tanti piccoli portatori di interessi diffusi, come comunità locali e
decentrate , famiglie, piccole e medie imprese, realtà svantaggiate,
le molteplici espressioni della società civile, con azioni mirate a
potenziare, attraverso tutti gli strumenti praticabili e aggiornati,
una chiara strategia di governo che sostenga la loro capacità di
stare in “salute”, vivaci e creativi, e solidali, dentro
una realtà nazionale e un mondo globalizzato dove le sfide alla
concorrenzialità di area, di sistema e di impresa diventano sempre
più stringenti e i poteri forti sempre più attaccati alle rendite
di posizione quando non alla corruzione, che con la scusa
dell’efficienza impongono una democrazia lontana dal cittadino e
vicina alle loro visioni.
Un esempio positivo ci viene illustrato
dall’economista Mattioni, di quanto importante sia che certi valori
vengano applicati, cioè che in regione il credito cooperativo che è
essenzialmente locale, non ha praticato il credit crunch, e il suo
volume di credito alle imprese non è diminuito dopo la crisi
contrariamente a quanto portato avanti da illustri banche nazionali
dai scintillanti spot televisivi e da popolari macroregionali, che
ora devono prestarsi obbligatoriamente al giudizio senza complimenti
del mercato azionario oltre che alle inchieste della magistratura.
Ora mentre i maggiori economisti mondiali ci spiegano che la più
grande minaccia nelle democrazie sta nel divaricarsi della
diseguaglianza sociale attraverso la contrazione dei redditi dei ceti
medio-bassi, la politica nazionale sceglie di concentrare
progettualità e investimenti sulle aree forti cosiddette
metropolitane, tutte nelle grandi regioni.
Si
dice che da li viene il 70% del Pil con il 60% della popolazione. Ma
forse più che altro li è anche concentrato più del 70 % della
corruzione e nelle periferie tanta e tanta emarginazione di masse che
inurbandosi non hanno avuto il tempo di costruirsi gli anticorpi alle
disuguaglianze.
Così
l’Italia dopo aver firmato i protocollo internazionali sulle
minoranze e la sentenza della Corte Costituzionale del 2013 che ne
riconosce ampiamente l’eguaglianza, proporrebbe a noi friulani, e
altre individualità regionali di liquefarci e scioglierci nelle
macroregioni.
Ma come suggerisce il proverbio popolare chi tardi
arriva come minimo troverà la cena fredda. E i nipoti di quelli che
si tennero i pochi soldi destinati alla ricostruzione del Friuli dopo le
tragedie della prima guerra mondiale, non avranno certo cambiato
stoffa e vedremo subito annullate le politiche sin qui costruite per
difendere anche la nostra identità a partire da quanto riguarda la
tutela delle minoranze linguistiche e verremmo svantaggiati da un
maggiore accentramento, con un impianto amministrativo come quello
veneto, dove per forza le provincie devono rappresentare le aree
vaste al posto delle UTI in cantiere nella nostra regione, e dove le
provincie con meno di 300.000 abitanti sono state subito abolite,
cioè Belluno e Rovigo, e dove pure sono abolite le elezioni dirette
degli organi di area vasta, oltre che la stessa espressione provincia. C’è ne abbastanza per dire ne vedremo delle belle.
In
realtà non stiamo assistendo a un vero scontro tra potere centrale e
regionale, ma tra le grandi regioni e regioni piccole.
La
Lombardia è comunque regione, che con poteri formali allargati o no,
risulta determinante a livello nazionale e la Sicilia pure. Nel Lazio
e in Campania possono fare qualsiasi sciocchezza, tanto il nazionale
fa la sua parte solo quando i protagonisti deragliano da soli, forse
interverrà coi suoi tempi la magistratura. Ma dove c’è la cultura
dell’autonomia dovrebbero intervenire i partiti locali, ma per ora
sono molto centralizzati e aspettano l’imbeccata da Roma. Nel
Veneto hanno la mania di portarsi al livello lombardo e sicuri di
incettare due milioni di cittadini in più, hanno rifiutato di fare
la macroregione del Nord e invece attaccano Trento, Bolzano e il
Friuli- V.G. contrariamente a quanto consigliava il prof. Miglio.
Mentre il Piemonte attacca la Liguria.
Quale
il legame tra la democrazia diretta e l'autonomia?
Sono
entrambi espressione della “sovranità popolare”. Non è
pensabile che la democrazia diretta possa sostituire l'autonomia. Un
referendum, per quanto sia uno strumento importante di democrazia
diretta, è un fatto episodico: altro è un territorio che attraverso
la quotidiana autonomia amministrativa degli enti locali sceglie ciò
che è meglio per questo territorio.
Concludiamo
affermando che se la politica regionale non avesse il ritardo
culturale che ha sui diritti linguistici delle minoranze linguistiche
che vivono in regione e avesse dato attuazione ad una politica seria
di tutela, oggi non saremmo qui a chiederci come fare per difendere
l'autonomia speciale della nostra regione, e a temere la
cancellazione della stessa e che dopo quasi mille anni toglierebbe al
Friuli il Parlamento.”
Udine,
20 novembre 2015
Per
il Comitato per l’autonomia
e
rilancio del Friuli
Giancarlo
Castellarin – Roberta Michieli