venerdì 27 maggio 2016

PORTO PETROLIFERO DI TRIESTE - SE TOGLIAMO IL PETROLIO GREGGIO, COSA RIMANE?



IL PORTO "PETROLIFERO" TRIESTINO
 
SE TOGLIAMO
IL PETROLIO GREGGIO,
COSA RIMANE?



ALCUNI DATI, ( AL NETTO DELLA AUTOREFERENZIALITA'  TRIESTINA POLITICA E MEDIATICA) :


22 aprile 2016

Il porto di Trieste, primo trimestre 2016
   

 
COMPLESSIVAMENTE 14.839.389
tonnellate di merci.

VOLUME TOTALE RINFUSE LIQUIDE:
10.709.113 TONNELLATE,
DI CUI 10.508.142 TONNELLATE
DI PETROLIO GREGGIO.
 
La movimentazione dei CONTAINER:
è stata pari a 120.360 teu

Nel settore dei passeggeri
il traffico è stato di 10.694 persone
di cui 3.027 crocieristi. 
     
       fonte:
 
http://www.informare.it/news/gennews/2016/20160557-porto-Trieste-traffico-1Q-2016.asp    

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COSI' IL PORTO DI VENEZIA, primo trimestre 2016:
 
 
- una movimentazione di contenitori pari a 148.664 teu
 
- Nel primo trimestre di quest'anno il traffico dei crocieristi è stato di oltre 28mila persone.
 
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COSI' IN ITALIA nel 2015:


Per quanto riguarda il traffico container, che perde uno 0,5%, i porti che hanno registrato miglioramenti nel traffico sono: Livorno, che passa da 577mila teu a 780mila (+35,2%), Venezia che sale da 456mila teu a 560mila (+22,9%), Salerno, che passa da 320mila a 359mila (+12,3%).
 
Tratto da Il Sole 24 ORE del 16/02/2016, pagina 13
 
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COSI' IL PORTO DI CAPODISTRIA (SLOVENIA)
 
Dal quotidiano IL PICCOLO di Trieste
 
 
16 marzo 2016 - di Francesco Palcic
 
 
I porti di Trieste e Capodistria hanno chiuso il 2015 con segni opposti sul volume dei traffici rispetto all'anno precedente e, in attesa dei bilanci ufficiali, appare chiara la crescita del porto sloveno, che non accenna a fermarsi nemmeno nei prossimi anni. Secondo le ultime stime Trieste chiude il 2015 con un troughput (volume di merci trattato) negativo rispetto al 2014 raggiungendo i 501.276 teu a fronte dei 507.000 dell'anno scorso (fonte www.infomare.it porto Trieste traffico anno 2015). Secondo il bilancio mantiene tuttavia il primato in termini di tonnellaggio totale nella classifica italiana, ma marca ancor di più il distacco con il porto di Capodistria , primo terminal container dell'Adriatico, che, al contrario, conclude un anno strepitoso. (...) 
 
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PORTO DI TRIESTE all'attacco dei Porti di Monfalcone e Porto Nogaro, e dell'interporto di Cervignano del Friuli.

L'industria manifatturiera friulana non deve servirsi dei SUOI porti naturali (Monfalcone e Nogaro) ma snobbare questi ultimi e servirsi esclusivamente del porto "petrolifero" triestino.....

Un anticipo di ciò che potrebbe succedere se i porti friulani finissero - come vorrebbe l'attuale Giunta regionale e la politica triestina - "subordinati"  al porto "petrolifero" triestino, un porto municipale, come la città che lo ospita,  città priva totalmente di cultura territoriale se non nel senso neo-colonialista?

Dal quotidiano IL PICCOLO di Trieste:

Il porto triestino alla conquista del Friuli

Le potenzialità dello scalo illustrate a decine di imprenditori a Udine. Il commissario: «Siamo in crescita, puntate su di noi»
di Maurizio Cescon

23 marzo 2016

http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2016/03/23/news/il-porto-triestino-alla-conquista-del-friuli-1.13174192?ref=search


DOMANDE:

1) E i porti friulani di Porto Nogaro e di Monfalcone (Nogaro è un porto industriale; Monfalcone un porto commerciale)?

2) E l’interporto di Cervignano del Friuli (che fino ad ora ci risulta "SNOBBATO" dal porto di Trieste)?

3) E la  Giunta  regionale  quando  farà uno sforzo culturale  e abbandonerà  la visione politica "municipalistica" triestinocentrica?


Il Friuli - già in pesante crisi economica - può permettere che Trieste cancelli le tre importanti realtà economiche friulane sopra elencate  perché incapace di far decollare il suo porto, nonostante questo sia da molti decenni super-finanziato sia dallo Stato italiano che dalla Regione e Trieste abbia avuto a disposizione per oltre 50 anni un ricchissimo pluri-miliardario Fondo per Trieste?

ASSOLUTAMENTE "NO"!!!


LA REDAZIONE DEL BLOG
    

martedì 24 maggio 2016

FRIULI, FURTO DI IDENTITA' - COMUNICATO STAMPA



Comitato per l'Autonomia e il Rilancio del Friuli



COMUNICATO STAMPA
 
del 23 maggio 2016




FURTO DI IDENTITA'
 



Se una noto imprenditore si trovasse improvvisamente ad essere indicato come “l'industriale di Chiopris” e progressivamente il suo nome scomparisse dalle cronache giornalistiche mentre il suo vero nome comparisse in iniziative promozionali altrui, probabilmente comincerebbe a chiedersi cosa stia succedendo, alzerebbe la voce e magari interesserebbe del fatto qualche avvocato.

Al Friuli succede esattamente lo stesso: vaste aree del suo territorio storico vengono indicate nelle cronache giornalistiche come “isontino” o “pordenonese” ed ora, con le UTI, con altre denominazioni, in una progressiva erosione di identità e memoria storica. Vedasi “Venezia Giulia come Toscana o Abruzzo, dunque, con Gorizia e Monfalcone che fanno bene come il Nordovest ma anche come alcune aree del Sud” come leggiamo in un recente articolo sull'economia regionale.

A nulla serve che gli abitanti di quelle aree si definiscano “friulani”, per il mondo giornalistico l'"isontino" arriva ovunque, il pordenonese cresce e l'aggettivo “veneto” sembra predisporre a logiche di macroregione.

Sui motivi di tale operazione di negazione dell'identità friulana molto si potrebbe scrivere e forse i friulani dovrebbero porsi qualche domanda intanto, per la cronaca, riportiamo qui di seguito i risultati di una inchiesta.

Persino lo “Stadio Friuli” nelle cronache sportive giornalistiche, nonostante le fortissime proteste dei tifosi friulani, è diventato “Dacia Arena”. E non parliamo poi del ricco patrimonio agroalimetare friulano ormai rapinato al 100% e commercializzato come “FVG”, orrendo e impronunciabile acronimo, dimenticando che i prodotti tipici vanno legati al loro territorio di produzione e non al nome della regione “amministrativa”.

Sarà mica colpa del friulani se la provincia di Trieste, che rappresenta il 5% del territorio regionale, pur con interessanti prodotti agroalimetari tipici come il Terrano e l'olio di oliva, non riesce a darsi una identità territoriale univoca tra Trieste, Venezia Giulia, Carso, ecc.?


Dott. Paolo Fontanelli
 
Presidente
Comitato per l'autonomia
e il rilancio del Friuli


(l'immagine è ingrandibile cliccando sull'immagine stessa) 

lunedì 23 maggio 2016

LA LEZIONE DEL 1976: DEMOCRAZIA ED EFFICIENZA NON SONO IN CONFLITTO



LA LEZIONE DEL ’76:

DEMOCRAZIA ED EFFICIENZA

NON SONO IN CONFLITTO

di

Giorgio Cavallo

  
Le ricorrenze servono a farci riflettere e possibilmente trarre dalle vicende del passato indicazioni per l’oggi. Il terremoto del ’76 e la ricostruzione successiva offrono una occasione formidabile per farlo. Possibilmente stando lontani dall’agiografia e dai luoghi comuni.

È vero: in un momento storico non facile si è riusciti ad attivare un processo i cui risultati tutti possono valutare. Ma ogni vicenda ha il suo tempo, e probabilmente a ben guardare, gli elementi complessivi di quella vicenda sono profondamente diversi dalle relazioni sociali, culturali, economiche e politiche dell’oggi. Sento commenti che suonano falsi e spingono soprattutto ad addomesticare le rugosità dell’attuale scontro politico ed istituzionale.

Non mi riferisco ai discorsi dei reduci chiamati ad appendersi medaglie che dopotutto hanno meritato: ma al richiamo di quella vicenda per improbabili connessioni santificatrici di chi oggi, di fronte ad una “analoga” emergenza sia pure di diverse caratteristiche, tenta di applicare ben altre ricette.

Quale è la differenza: il Friuli del ’76 come l’Italia di oggi non era il paradiso terrestre, era una società attraversata da contraddizioni e conflitti di politica internazionale, di rottura sociale, di contrasto su politiche territoriali e di risveglio di concezioni identitarie. Era un intreccio di spinte e controspinte non facili da ricondurre a interpretazioni. Non era una terra di contadini beoti pronti a risvegliarsi alle prime scosse ed a rimboccarsi le maniche per ricostruire le proprie case. E l’Italia dell’epoca era segnata da crisi profonde e avvoltoi pronti ad aggredirne le forme di rappresentanza democratica in nome dell’efficienza di governo e dell’emarginazione delle diversità politiche.

Non siamo a prima vista quindi molto lontani dall’Italia di oggi anche se all’epoca tutti eravamo convinti che il futuro potesse essere meglio del presente.

Quale fu la “grande sapienza” di allora in qualche modo ormai iconograficamente rappresentata dalla figura di A. Moro che propone a Comelli il modello istituzionale di ricostruzione, centrato sull’operatività della Regione e degli Enti Locali? Fu, a mio parere, quella di affrontare le difficoltà ed il confronto sociale non certo facendo semplicemente leva sulla efficienza delle macchine comunali e regionale, ma proponendo un processo di “allargamento della democrazia” e costruendo le occasioni pratiche affinché questa democrazia potesse esplicitarsi.

Quali furono i motivi alla base di questa “fiducia nella democrazia”? Motivi di bottega e di rapporto tra correnti DC, coinvolgere la crescente e minacciosa presenza del PCI che bramava l’aria di governo, o semplicemente una superiore cultura politica? Non lo sappiamo con certezza.

Quello che però vediamo nell’Italia di oggi è la proposta di un modello politico radicalmente diverso di fronte ad una situazione generale della cui complessità e conflittualità è inutile parlare e di fronte ad una maggioranza di cittadini che non credono più al futuro.

Accentramento dei poteri, incapacità di concepire la dialettica politica come momento di costruzione di sintesi, esclusione dei corpi sociali da forme di protagonismo e partecipazione civile. E ci viene proposto un plebiscito centrato sulla figura di un premier che si presenta come il salvatore, anche se per ora non sembra poter camminare sulle acque.

Non è così che si gestiscono i conflitti e proprio l’esperienza del 1976 in Friuli può darne concreta testimonianza.

L’efficienza ma soprattutto l’autorevolezza può derivare solo da una crescita degli spazi di democrazia, non da una loro soppressione in nome di una semplificazione di facciata.

Non è perciò il caso di rincorrere tecnicamente un modello Friuli che probabilmente è irripetibile ma di capirne il senso politico e sociale prima che la III Repubblica affondi praticamente prima ancora di essere varata.

Giorgio Cavallo

5 maggio 2016

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La redazione del blog, ringrazia Giorgio Cavallo per averle concesso la pubblicazione della sua ottima analisi politica.

Il documento è stato pubblicato  anche sul settimanale dell'Arcidiocesi di Udine, La Vita Cattolica, rubrica "Giornale aperto", l'11 maggio 2016 con il significativo titolo "Nel '76 democrazia, oggi esclusione".

 

lunedì 16 maggio 2016

ELETTRODOTTO TERNA "UDINE OVEST-REDIPUGLIA" - QUANDO IL PD REGIONALE ERA PER LA LINEA INTERRATA


ELETTRODOTTO TERNA
Udine Ovest - Redipuglia 


QUANDO IL PD REGIONALE

"ERA"

PER LA LINEA INTERRATA

"E SFIDAVA"

IL PRESIDENTE RENZO TONDO.
 

Da un articolo del Messaggero Veneto
conservato nel nostro “archivio stampa”


Messaggero Veneto – venerdì 7 maggio 2010 – pagina X

TITOLO: 

Pd: “No ad atti d'imperio, Tondo reagisca 


SOTTO-TITOLO

"La regione rischia di essere un interlocutore debole. Non cediamo agli interessi di parte"
 

UDINE - Quello di Terna è un atto d'imperio: è questo il commento della segretaria regionale del Pd, Debora Serracchiani.

L'annuncio che l'elettrodotto dovrà essere aereo, per Serracchianiè contrario a qualsiasi concetto di riduzione dell'impatto ambientale, umilia i Comuni interessati e ridicolizza l'autorevolezza della Giunta regionale”.

"Il presidente Tondo – prosegue l'esponente Pd – aveva assicurato che la posizione della giunta era primariamente per il cavo interrato e che a tal proposito aveva invitato la società a discutere le soluzioni progettuali. Se questa è la risposta, ancora una volta si rivela l'inconsistenza della giunta come interlocutore istituzionale. E vorrei anche chiedere ai dirigenti della Lega se è in questo modo che si è padroni a casa nostra, oppure se di fronte a certi interessi – conclude – il Carroccio dimentica come si fa la voce grossa".

Durissimo anche l'intervento del vice capogruppo in consiglio regionale del Pd Mauro Travanut. (…).

"Confidiamo pure – aggiunge Travanut – in una presa di posizione forte da parte di alcuni esponenti della maggioranza che in altri momenti si sono dichiarati contrari alla realizzazione su via aerea. Da parte nostra noi ribadiamo la ferma convinzione che la richiesta dell'interramento è non solo perseguibile ma pure realizzabile".

"Siamo altresì convinti – conclude il capogruppo Pd – che il costo è sicuramente superiore nel caso dell'interramento ma viene del tutto compensato dal vantaggio economico, sociale, ambientale e paesaggistico per il nostro territorio. Attendiamo di sapere quali siano ora le posizioni del governo regionale, fiduciosi che il presidente della giunta non ceda agli interessi di Terna”.

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REGIONE FRIULI - Vg

Anno 2015


1) La sentenza del Consiglio di Stato avversa a Terna. 

 

2) Il Partito democratico regionale cambia idea, difende l'elettrodotto aereo e sminuisce la portata della sentenza del Consiglio di Stato. 

Dal sito della Regione 

Comunicati Agenzia Consiglio Notizie
 
Pd: Moretti, elettrodotto sostegno del sistema produttivo regionale
 
6 Agosto 2015, ore 15:11
 
(ACON) Trieste, 6 ago - COM/RCM - "Noi pensiamo a sostenere investimenti infrastrutturali per garantire alla nostra regione una rete energetica capace di rendere il territorio e il tessuto produttivo competitivi. Altri, come il MoVimento 5 Stelle, al traino dei vari comitati del "no se pol", sono di fatto antagonisti del sistema delle imprese che regge la nostra economia". Interviene così il capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Diego Moretti, sui fatti riguardanti lo stop, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, alla realizzazione dell'elettrodotto Redipuglia-Udine Ovest di Terna.
 
Moretti si dice preoccupato della fragilità del sistema giuridico e amministrativo, privo di certezze e senza garanzie sulle tempistiche, ma soprattutto stupito delle uscite di quei politici che accusano il Pd di non rispettare le sentenze e parlano di accelerazioni del cantiere.
 
A loro evidentemente sfugge che di questo elettrodotto si parla dal 2007, che centinaia sono stati i momenti di condivisione, dibattito e anche scontro.
 
E ancora, rincara Moretti,"esultare per una cosa del genere è da irresponsabili. L'unico risultato potrebbe essere che i nuovi piloni restino lì senza funzionare, insieme ovviamente ai 110 chilometri di vetusti tralicci che Terna avrebbe dovuto smantellare, che le industrie che necessitano di un adeguato ed economicamente ragionevole approvvigionamento energetico potrebbero guardare ai Paesi confinanti spostando di conseguenza posti di lavoro. Senza contare il clima di tensione che si sta verificando in questi giorni nei cantieri dove ci sono operai che fanno onestamente il proprio lavoro."
 

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Anno 2016

dal quotidiano
Il Messaggero Veneto (Ud)
 
4 gennaio 2016


Nuovo elettrodotto: nel progetto sparisce la parola “interrato”

 
L’allarme del Comitato: la Regione ha cambiato versione. Tibaldi: così per parare il colpo del Consiglio di  Stato

" (...) il piano energetico regionale, approvato dalla Giunta il 22 dicembre.
Il documento è aspramente criticato dal presidente del Comitato per la Vita del Friuli rurale Aldevis Tibaldi che, con ironia, lo definisce “il pacco energetico regionale” preparato per le feste natalizie. Diversi i punti di disaccordo, ma la parte che riguarda gli elettrodotti suscita le critiche più dure.
«Nella precedente versione del piano redatta a giugno – fa notare Tibaldi – la Regione scriveva che “tutte le nuove infrastrutture energetiche lineari o loro modifiche sostanziali sono realizzate preferibilmente in cavo interrato».
Nella versione ora approvata invece questa parte è sparita (...)"

  
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COMMENTO 


Cambiano i Presidenti di regione, cambiano le Giunte regionali, ma il vassallaggio a favore di Terna resta immutato.....e meno male che siamo una regione ad "autonomia speciale" (sic!!!).
 

LA REDAZIONE DEL BLOG


sabato 14 maggio 2016

LA REGIONE SI DECENTRI SUL "MODELLO FRIULI"


LA REGIONE SI DECENTRI

SUL “MODELLO FRIULI”

Editoriale a firma di

Roberto Dominici


pubblicato sul settimanale
della Arcidiocesi di Udine 

LA VITA CATTOLICA

il 4 maggio 2016


Nell'area terremotata del Friuli c'è un fiorire di iniziative a ricordo del 40° anniversario del sisma. Sono iniziative doverose per rinnovare innanzitutto la memoria dei tanti morti a seguito di quella immane catastrofe e per sottolineare l'impegno straordinario di un popolo e della sua classe dirigente che, insieme, sono stati capaci di determinare la rinascita delle comunità segnate dalla tragedia.

E' certamente importante che il Capo dello Stato, al pari di alcuni suoi predecessori, sottolinei, con la Sua venuta tra noi, la grande e positiva risposta che il popolo friulano ha dato al mandato a ricostruire avuto dallo Stato ed al grande movimento di solidarietà, nazionale ed internazionale, pubblica e privata, di cui abbiamo beneficiato. Dobbiamo essere grati allo Stato per la fiducia in noi riposta e per il sostegno datoci. I friulani, per parte loro , a quella fiducia hanno corrisposto con alto senso civico e del dovere ed hanno pure minuziosamente rendicontato, già in occasione del decennale del terremoto, oneri e spese fatte a pro ricostruzione. Ma le iniziative non possono limitarsi soltanto al pur importante, e come già detto doveroso, aspetto celebrativo.

Esse devono, invece, stimolare una riflessione sull'esperienza, assai complessa ed articolata, al tempo compiuta anche per trarre dall'esperienza stessa indicazioni per il futuro. E le indicazioni non mancano sia per il livello nazionale che per quello regionale. La prima.

Quando si parla di “modello Friuli” si intende un insieme intrecciato di scelte politiche, tecniche, amministrative, gestionali che nel loro insieme hanno formato un articolato progetto complessivo, nato su alcuni punti fermi (a tutti ben noti), e poi irrobustito cammin facendo. Dunque un progetto per di più partecipato e condiviso dalla gente che è diventato di fatto il “patto” tra la popolazione e le istituzioni. Ed allora, quando si devono affrontare problemi di una certa portata , non è il caso di elaborare, per l'appunto, un progetto e stimolare su di esso il confronto non al fine di ottenerne la ratifica ma di avere valutazioni, suggerimenti, proposte da considerare in sede di redazione progettuale conclusiva?

La seconda. Larga parte del territorio italiano è a rischio sismico. Dobbiamo attendere che gli eventi si verifichino per poi adoperarci a ricostruire o, invece, è meglio approntare prima, per quanto possibile , interventi volti a ridurre i danni in caso di nuove calamità? E' il buon senso a dirci che è preferibile percorrere quest'ultima strada. Dovrebbe essere la Stato ad approntare al riguardo adeguati provvedimenti legislativi a sostegno di operazioni di consolidamento statico degli edifici a cominciare, per ovvie ragioni, da quelli pubblici. Certo, servono mezzi finanziari ma il piano potrebbe avere valenza pluriennale (30/40 anni) e, se realizzato, darebbe pure fiato all'economia.

La terza. Negli anni, sulla ricostruzione del Friuli i giudizi, non solo nazionali, sono positivi. Ma se le cose hanno funzionato e soprattutto se hanno dato positivi risultati perchè non codificare in legge nazionale gli elementi “sostanziali” del nostro modello di modo che, presentandosi in futuro la necessità, sia già pronta la normativa base cui fare riferimento, senza dover “pensare”ogni volta il da farsi?

La quarta. Si è detto tante volte che la ricostruzione ha fatto perno sulla Regione e sugli Enti Locali e che tra Regione ed Enti Locali non c'è mai stata conflittualità ma una valida collaborazione.

Forti dell'esperienza, fatta a fronte di situazioni e problemi drammatici, comunque del tutto straordinari, non è il caso di ragionare tutti insieme, intendo i livelli istituzionali, per reiniziare un cammino di valorizzazione delle autonomie locali e di loro maggiore responsabilizzazione?

Anche qui serve un progetto che avvii un “percorso costituente regionale” imperniato su una forte azione programmatoria e di indirizzo della Regione e sul trasferimento di funzioni “gestionali” all'autogoverno locale; un progetto, ben si intende, di base sul quale misurarsi per giungere ad una elaborazione che abbia sufficiente condivisione.

La quinta ed ultima. Più che una indicazione è, mi si consenta, una raccomandazione agli Enti e soggetti che hanno operato nella ricostruzione, in particolare ai Comuni e ,soprattutto, alla Regione, di impedire che vada dispersa o distrutta l'ampia documentazione riguardante, in sede locale e in quella regionale, la ricostruzione. Sono l'espressione di una pagina della nostra storia e potranno nel tempo tornare utili, credo lo saranno senz'altro, per studi e approfondimenti. La Regione, in particolare, dovrebbe dare il via ad una operazione di messa in sicurezza definitiva e di catalogazione di quanto in suo possesso. Non farlo sarebbe cattiva omissione.


Roberto Dominici

 
già Assessore Regionale
alla Ricostruzione

martedì 10 maggio 2016

RIFORMA ENTI LOCALI - LA LETTERA DI UN SINDACO FRIULANO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA IN VISITA IN FRIULI IL 6 MAGGIO 2016



FRIULI - VENEZIA GIULIA
 
LA RIFORMA REGIONALE
ENTI LOCALI
E IL “MODELLO FRIULI”

LETTERA DEL SINDACO
DEL COMUNE DI FORGARIA
INVIATA AL PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA ITALIANA
SERGIO MATTARELLA

6 maggio 2016 


La Redazione del Blog ringrazia il Sindaco del Comune di Forgaria nel Friuli,  Pierluigi Molinaro, per averci gentilmente messo a disposizione il testo integrale della lettera da lui inviata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita in Friuli il 6 maggio 2016 nel 40ennale del terremoto che colpì il Friuli nel 1976 e per averci concesso  di pubblicarla affinché tutti possano conoscerne il contenuto.  

DI SEGUITO IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA:


Illustrissimo Presidente,

Quarant'anni fa la nostra terra e le nostre Comunità furono segnate da un tragico evento: in un minuto la furia devastatrice del terremoto mise a dura prova la nostra gente, segnò indelebilmente i volti ed i cuori di chi racchiudeva la propria vita attorno al focolare.

Un minuto ed i sogni s'infransero sopra quelle macerie, le lacrime diventarono solchi nella polvere di una notte che il Friuli non potrà mai dimenticare.

Le prime luci del nuovo giorno non illuminavano più le vie, non accompagnavano le voci dei bambini che andavano a scuola, delle madri affaccendate ad iniziare i lavori di casa, non avvolgevano i tragitti dei loro mariti fino al loro posto di lavoro. In quella mattina c'era un clima surreale: i paesi non esistevano più, il tempo non aveva più forma ma tutti senza sosta continuavano a scavare, a cercare e a seguire instancabilmente le voci di chi chiedeva aiuto. Erano braccia che si univano, volti scavati dal dramma ma non era il momento delle domande, era il momento della solidarietà, del coraggio di continuare a sentire la propria terra che si era ribellata, ancora parte di sé, era solo il momento di stare accanto per superare insieme questa avversità.

Illustrissimo Presidente, nelle giornate che seguirono la nostra gente, insieme alla solidarietà che ci giunse da ogni parte, volle continuare a credere che ricostruire i propri paesi, le proprie vie, fosse una prova di dignità, di orgoglio, di sentimento che si intrecciava con quelle pagine di storia tramandate ma era prima di tutto quella polvere di una notte che doveva essere spazzata via, per rivedere quella luce illuminare le proprie case, per risentire dentro quelle vie i rumori della vita, della speranza, dei sogni che rendevano unica questa terra.

Vede illustrissimo Presidente, gli anni che seguirono dimostrarono come le promesse possano trasformarsi in esempi, come la fiducia ed il coraggio possano diventare la forza per guardare avanti; gli anni che seguirono dimostrarono per una volta come la politica abbia potuto ritrovare nel profondo della propria anima il coraggio delle scelte condivise, partecipate, ha dimostrato che nei valori profondi si può trovare la forza di costruire nel rispetto e nella reciprocità.

Il Friuli con i tanti Sindaci dimostrarono come si può osare. In quegli anni dalle cariche dello Stato a quelle della Regione, si misero insieme senza velleità dettate da protagonismi senza valore, ma si unirono abbracciati da una coscienza che rispecchiò dentro quelle immagini l'alto valore dei principi del bene comune; compresero che la sofferenza non poteva fermarsi dentro quell'interminabile minuto, dovevano tutti insieme prendere quelle immagini di dolore e trasformarlo in senso di responsabilità per un popolo che voleva ripartire, che voleva restare parte di quella terra che li aveva visti versare infinite lacrime.

Quel coraggio e quel rispetto delle istituzioni permise alla nostra Regione di diventare modello, permise a questa parte di territorio martoriato dal tempo di rinascere. Quelle giornate si riflettono ancora oggi mentre la politica regionale vuole cancellare il valore sociale e amministrativo di quelle Comunità che fino a ieri sono state esempio ed oggi che sono cardine fondamentale della nostra gente. Non possiamo strappare i fogli della nostra storia, non possiamo cancellare le nostre Comunità in un territorio dove il rapporto umano e istituzionale è sempre stato contrassegnato dalla laboriosità di chi ogni giorno si è assunto il dovere e l'onere di essere vicino alle problematiche che soffocano la vita delle nostre famiglie.

Per questo illustrissimo Presidente siamo a chiederLe un incontro perché oggi, nel rispetto del ruolo istituzionale e nella sensibilità dell'Anniversario che oggi tocca i nostri cuori, non possiamo lasciare che i valori di quarant'anni vengano gettati nella polvere in nome di una Riforma Regionale imposta e non condivisa, che non è stata costruita come lo furono i nostri paesi 40 anni fa, dalle fondamenta delle comunità friulane, che non è nata da una condivisione e con la partecipazione di chi democraticamente rappresenta idealmente quel patrimonio che in questi 40 anni ha saputo alzare la testa e con orgoglio ricostruire le proprie case, le proprie fabbriche, le proprie chiese; ma prima di tutto non ha mai smesso di credere nella propria terra, nelle sue tradizioni, nella salvaguardia dei propri idiomi, nella bellezza di ciò che li circonda, nella volontà e nei principi che i nostri nonni ci hanno insegnato.

Illustrissimo Presidente questi Sindaci, ed oggi uno di loro Le scrive, chiedono alla Sua sensibilità istituzionale di essere ricevuti, perché le macerie di 40 anni fa non hanno scalfito la nostra volontà, la nostra passione, la dignità di guardare negli occhi i nostri cittadini che ci hanno affidato un ruolo di grande Responsabilità e Valore. Non vorremmo che quella delle scelte politiche imposte da una stagione di riformismi senza logica, possa cancellare quello che oggi ci ritroviamo orgogliosamente a commemorare.

Il Sindaco di Forgaria nel Friuli

Pierluigi Molinaro

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La lettera è stata pubblicata anche sul settimanale dell'Arcidiocesi di Udine, "la Vita Cattolica", mercoledì 11 maggio 2016, rubrica "Giornale aperto", con il titolo "Lettera di un sindaco al presidente Mattarella" .

domenica 8 maggio 2016

SENZA AUTONOMIA NON C'E' DEMOCRAZIA



Senza autonomia

non c’è democrazia


Testo della Relazione presentata dal “Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli” - quale relatore/ospite - alla Tavola rotonda sul tema “Autonomia regionale e democrazia diretta: opzioni alternative o complementari?svoltosi in sala Ajace a Udine venerdì 20 novembre 2015 e organizzato dal M5S di Udine che il Comitato ringrazia per l'invito.


"Non è un caso che i Padri Costituenti, in Italia, nel 1946 abbiano inserito proprio nel primo articolo della nostra Costituzione il principio fondamentale che “dovrebbe” essere alla base della vita sociale e politica della Repubblica italiana: “la sovranità appartiene al popolo”. Ed è proprio l'autonomia, ossia l'autogoverno in prossimità del cittadino, il cardine della “sovranità popolare”, quindi della democrazia.
Dunque, Democrazia e Autonomia sono PRINCIPI fondamentali della nostra Costituzione. Non sono alternativi e neppure complementari, perchè sono la faccia di una stessa medaglia: la sovranità del popolo. Hanno uguale peso ed importanza.

Poi ci sono realtà territoriali che necessitano di una “AUTONOMIA SPECIALE”, perchè speciale è la loro realtà storica, culturale e linguistica.

Una realtà “particolare” che non si riscontra nelle regioni contermini e nella regioni ordinarie. E' questo il caso della nostra regione ove la MAGGIORANZA della popolazione è minoranza linguistica storica riconosciuta ai sensi dell'art. 6 della Costituzione italiana. Su cinque regioni a statuto speciale ben quattro hanno una situazione paragonabile a quella del Friuli. Solo la Sicilia deve la sua specialità al timore che i siciliani volessero distaccarsi dallo Stato italiano.

I motivi per cui nel 1947 la nostra regione è stata inclusa tra le regioni a statuto speciale oggi non sono più richiamabili, perché:
  • la situazione internazionale è completamente cambiata (nel 2000 la Slovenia è entrata a far parte della Unione Europea).
  • la tragica situazione economica del Friuli (uscito letteralmente distrutto dalla Prima guerra mondiale e successivamente poco e quasi nulla finanziato dallo Stato italiano perchè considerato “territorio a perdere” in caso di nuovo conflitto militare, oltre ad essere soggetto a pesantissime servitù militari) è stata in gran parte sanata grazie alla autonomia speciale.
E' da evidenziare che successivamente, dal 1947 ad oggi, i diritti linguistici sono stati riconosciuti da fondamentali istituzioni mondali (in primis l'ONU) diritti UMANI primari da tutelare e difendere. E la stessa Unione Europea ha approvato importanti trattati internazionali (sottoscritti anche dall'Italia) a tutela delle minoranze linguistiche (sinonimo del termine giuridico “minoranze nazionali” nel linguaggio giuridico della UE).

In un 1947 in cui l'Italia era alle soglie delle prime elezioni libere nazionali e il nazionalismo italiano diffondeva lo spauracchio di “Tito” che riteneva pronto a conquistare il Friuli, il clima politico non permetteva sicuramente di motivare la autonomia speciale della nostra regione con la presenza delle minoranze linguistiche ma dalla lettura dei documenti redatti dalla Costituente si evidenzia chiaramente che i Padri Costituenti erano ben consci della “particolarità linguistica e culturale” del Friuli.

E proprio il Friuli terremotato ha sperimentato quanto l'autonomia sia importante e fondamentale. Senza l'autonomia di cui godettero Sindaci e Regione oggi non si potrebbe raccontare di una ricostruzione che ha visto l'intero popolo friulano solidale e unito verso un unico obiettivo: ricostruire senza scandali e corruzione. Ricostruzione che rimane l’unica grande opera in Italia che oltre a essere stata completata, è stata anche completamente contabilizzata.

L'autonomia oggi è vilipesa, aggredita, considerata la responsabile di ogni “male” del Paese Italia. Crediamo invece che si debba fermare la restaurazione e rivalutare l'autonomia e il diritto degli enti locali di autogovernarsi.

Il decentramento amministrativo è strumento di democrazia teso a valorizzare le risorse morali e operative di un popolo (principio di solidarietà) per fare cosa? Deve essere indirizzato soprattutto ai tanti piccoli portatori di interessi diffusi, come comunità locali e decentrate , famiglie, piccole e medie imprese, realtà svantaggiate, le molteplici espressioni della società civile, con azioni mirate a potenziare, attraverso tutti gli strumenti praticabili e aggiornati, una chiara strategia di governo che sostenga la loro capacità di stare in “salute”, vivaci e creativi, e solidali, dentro una realtà nazionale e un mondo globalizzato dove le sfide alla concorrenzialità di area, di sistema e di impresa diventano sempre più stringenti e i poteri forti sempre più attaccati alle rendite di posizione quando non alla corruzione, che con la scusa dell’efficienza impongono una democrazia lontana dal cittadino e vicina alle loro visioni.

Un esempio positivo ci viene illustrato dall’economista Mattioni, di quanto importante sia che certi valori vengano applicati, cioè che in regione il credito cooperativo che è essenzialmente locale, non ha praticato il credit crunch, e il suo volume di credito alle imprese non è diminuito dopo la crisi contrariamente a quanto portato avanti da illustri banche nazionali dai scintillanti spot televisivi e da popolari macroregionali, che ora devono prestarsi obbligatoriamente al giudizio senza complimenti del mercato azionario oltre che alle inchieste della magistratura.

Ora mentre i maggiori economisti mondiali ci spiegano che la più grande minaccia nelle democrazie sta nel divaricarsi della diseguaglianza sociale attraverso la contrazione dei redditi dei ceti medio-bassi, la politica nazionale sceglie di concentrare progettualità e investimenti sulle aree forti cosiddette metropolitane, tutte nelle grandi regioni.

Si dice che da li viene il 70% del Pil con il 60% della popolazione. Ma forse più che altro li è anche concentrato più del 70 % della corruzione e nelle periferie tanta e tanta emarginazione di masse che inurbandosi non hanno avuto il tempo di costruirsi gli anticorpi alle disuguaglianze.

Così l’Italia dopo aver firmato i protocollo internazionali sulle minoranze e la sentenza della Corte Costituzionale del 2013 che ne riconosce ampiamente l’eguaglianza, proporrebbe a noi friulani, e altre individualità regionali di liquefarci e scioglierci nelle macroregioni.

Ma come suggerisce il proverbio popolare chi tardi arriva come minimo troverà la cena fredda. E i nipoti di quelli che si tennero i pochi soldi destinati alla ricostruzione del Friuli dopo le tragedie della prima guerra mondiale, non avranno certo cambiato stoffa e vedremo subito annullate le politiche sin qui costruite per difendere anche la nostra identità a partire da quanto riguarda la tutela delle minoranze linguistiche e verremmo svantaggiati da un maggiore accentramento, con un impianto amministrativo come quello veneto, dove per forza le provincie devono rappresentare le aree vaste al posto delle UTI in cantiere nella nostra regione, e dove le provincie con meno di 300.000 abitanti sono state subito abolite, cioè Belluno e Rovigo, e dove pure sono abolite le elezioni dirette degli organi di area vasta, oltre che la stessa espressione provincia. C’è ne abbastanza per dire ne vedremo delle belle.

In realtà non stiamo assistendo a un vero scontro tra potere centrale e regionale, ma tra le grandi regioni e regioni piccole.

La Lombardia è comunque regione, che con poteri formali allargati o no, risulta determinante a livello nazionale e la Sicilia pure. Nel Lazio e in Campania possono fare qualsiasi sciocchezza, tanto il nazionale fa la sua parte solo quando i protagonisti deragliano da soli, forse interverrà coi suoi tempi la magistratura. Ma dove c’è la cultura dell’autonomia dovrebbero intervenire i partiti locali, ma per ora sono molto centralizzati e aspettano l’imbeccata da Roma. Nel Veneto hanno la mania di portarsi al livello lombardo e sicuri di incettare due milioni di cittadini in più, hanno rifiutato di fare la macroregione del Nord e invece attaccano Trento, Bolzano e il Friuli- V.G. contrariamente a quanto consigliava il prof. Miglio. Mentre il Piemonte attacca la Liguria.

Quale il legame tra la democrazia diretta e l'autonomia?

Sono entrambi espressione della “sovranità popolare”. Non è pensabile che la democrazia diretta possa sostituire l'autonomia. Un referendum, per quanto sia uno strumento importante di democrazia diretta, è un fatto episodico: altro è un territorio che attraverso la quotidiana autonomia amministrativa degli enti locali sceglie ciò che è meglio per questo territorio.

Concludiamo affermando che se la politica regionale non avesse il ritardo culturale che ha sui diritti linguistici delle minoranze linguistiche che vivono in regione e avesse dato attuazione ad una politica seria di tutela, oggi non saremmo qui a chiederci come fare per difendere l'autonomia speciale della nostra regione, e a temere la cancellazione della stessa e che dopo quasi mille anni toglierebbe al Friuli il Parlamento.”

Udine, 20 novembre 2015

Per il Comitato per l’autonomia

e rilancio del Friuli

Giancarlo Castellarin – Roberta Michieli