Fermare il
nuovo centralismo
di Gianfranco D'Aronco
Forse
qualcuno dei miei 24 lettori ricorderà che, alla vigilia delle prime
elezioni regionali (1964), il
partito di maggioranza si preoccupò di rassicurare i friulani -
timorosi del matrimonio forzato con la Giulia - che non ne sarebbe
assolutamente conseguita una prevalenza di Trieste ai danni di Udine,
Gorizia e Pordenone. Nessun timore di accentramento del
potere: la Regione si sarebbe limitata a tracciare le grandi linee
programmatiche (così si disse), mentre la loro realizzazione sarebbe
stata demandata “di norma” agli enti locali: province e comuni.
La
regola sarebbe stato il decentramento: lo si legge ancora oggi nel
nostro statuto, che ha valore di legge costituzionale. Ma fu
esattamente il contrario. Finita
la festa, si affermò in alto loco che era impossibile rinunciare
alla gestione diretta di una politica unitaria: troppo macchinoso.
Decentrare
mai: meglio accentrare tutto, a cominciare dai contributi alle sagre
e alle bocciofile.
A
distanza di 50 anni si ripete oggi con sempre maggiore sicumera che
la Regione deve essere una: anzi unica, unita, unificata, unitaria,
uniforme e univoca (un’inezia: è sparito pure il tratto distintivo
fra i due toponimi: l’uno antico di 2000 anni, l’altro di recente
invenzione: 1863). I
campanilismi costituiscono un orribile attentato all’autonomia
speciale: questa la voce dei padroni.
Non
so se la città giuliana è fornita di campanili, oltre a quello di
San Giusto. Fatto si è che Trieste è in cima ai pensieri dei
politici regionali di turno, particolarmente sensibili alle esigenze
della “capitale” e del capitale (compreso il vitalizio
“sibi et suis”). Pare che, almeno ascoltando quotidianamente la
televisione di stato, ogni iniziativa intrapresa a favore o del Porto
vecchio e della Ferriera o della Barcolana sia la miglior operazione
volta al benessere generale, esteso alla intera regione dalle Alpi al
mare. La cultura merita poi un favore particolare. A ripianare il
deficit del teatro “Verdi” o “Rossetti”, ad esempio, ci pensa
la Regione non per niente autonoma: tra i primi a beneficiarne
sarebbero i furlani, si badi bene, di persona o di riflesso. Se non
si muovono, peggio per loro.
Il
finanziamento straordinario di 30 miliardi, detto fondo di rotazione,
concesso alla metropoli veneto-giuliana a cominciare dal 1955 (altro
esempio), non toccò per nulla il Friuli. Infatti alla semplice
richiesta di poter attingere a quei fondi, timidamente avanzata da
due parlamentari udinesi, si reagì con una sdegnosa e scandalizzata
ripulsa da parte dei patrioti redenti. I
diritti di Udine non erano paragonabili a quelli di Trieste.
Oggi come ieri, quella che prevale oltre Timavo è una mentalità
prettamente municipale, ereditata dai tempi della dedizione agli
Asburgo (1382). Niente
la fare: noi siamo solo il contado.
Ma
l’accentramento, intrapreso su scala nazionale da chi oggi comanda
nella Città eterna, ha trovato accoglienza immediata dove? Da noi,
come no. Quando fu annunciato l’accorpamento o la riduzione delle
province, storiche o no (s’intende per via dalla razionalizzazione
ovvero del risparmio assicurato), cui le regioni speciali non erano
del resto tenute, vi fu chi, dal seggio più alto di piazza Unità,
sentenziò prontamente che l'idea era una gran cosa, e che anzi,
quanto alle province, si poteva abolirle tutte. Non diversa fu l’idea
di chi succedette a occupare l’alto solio.
E
anzi (l’appetito vien mangiando) si stabilì che anche i comuni
debbano essere in parte eliminati accorpandoli: e
ciò per renderli più efficienti. Alla Regione definirne i confini.
E ciò non ascoltando i diretti interessati, ma ispirandosi alla
grande storia (è noto l'episodio che vide a Yalta o non so dove
Iosif Vissarionovi? Džugašvili detto Stalin, armato di una grossa
matita blu, tracciare su una carta d’Europa il confine tra gli
stati d’influenza occidentale e quella orientale, da cui la cortina
di ferro di churchilliana memoria). I
comuni reticenti si vedrebbero ridurre di un terzo, per castigo, i
trasferimenti dalla Regione.
Quanto
alle future provincette potrebbero essere battezzate con altro nome
(dopo Aree vaste si è pensato a Unioni territoriali intercomunali e
via dicendo: Circondari sarebbe un tornare indietro), o
meglio con semplici numeri: così sarebbero ancora meno
identificabili a futura memoria.
Già
che ci siamo, ecco razionalizzare anche gli ospedali o meglio le
aziende sanitarie, abolendone alcune. Un suggerimento: più in là
aboliamo pure i malati, o quanto meno lasciamoli a casa, dove
potranno essere agevolmente raggiunti dai medici, magari forniti di
auto con autista: mica si può pretendere che un professionista
faccia un doppio mestiere. Gorizia,
che cincischiò a suo tempo quando fu invitata ad aderire alla Unione
delle province friulane, continui
pure a fare l'occhiolino a Trieste, nella speranza di ricavare
qualcosa di sotto il tavolo,
certo più che da Udine.
E
Pordenone, cui Udine regalò metà della sua provincia nel 1968,
mediti su
quel che le viene ora in cambio da Trieste, dopo essersi donata a lei
per un piatto di lenticchie.
Torniamo
a Roma capitale immorale. Il Senato non potrà più legiferare,
ridotto come sarà a un vaso di fiori. Come si vede, ci vuol poco a
cambiare la Costituzione. Un illustre giurista prevede che la riforma
in itinere finirà per cambiare un buon terzo della Carta
fondamentale, compresi i rapporti con le regioni. Per esempio, si
preannuncia, con l'eliminare alcune materie di potestà legislativa
primaria o concorrente della regione. A proposito: chi oggi è al
sommo del Friuli Venezia Giulia può ben attingere a più alti onori.
È un richiamo del resto dalla città natia.
Essere
proconsoli a Trieste, tutto sommato, è poca cosa.
Trieste non ha da tempo la Sissi, è vero: ha la Sissa e altro, per
via del terremoto che ha devastato il Friuli, non la città
Cara-al-cuore. Ma
è una tappa per ulteriori vittorie. Corsi e
ricordi storici: mi viene in mente la celebre profetessa ebrea,
autrice del canto dei Giudici (XII secolo a.C.), vincitrice del re di
Hazor. Il suo nome cominciava per “D”.
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L'articolo
a firma del Prof. Gianfranco D'Aronco - Presidente Onorario del "Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli" - è stato pubblicato sul
quotidiano il Messaggero Veneto martedì 14 aprile 2015.