LINGUA FRIULANA
E TUTELA SCOLASTICA
L’amministrazione di centrodestra della passata legislatura ha cincischiato per anni sulle norme di applicazione, le ha emanate intenzionalmente generiche ed inefficaci, nascondendosi dietro il dogma dell’autonomia scolastica, interpretata ad hoc perché le scuole continuino a fare quel che gli pare, cioè nulla o quasi nulla per la lingua friulana, ed ha concesso alla tutela scolastica una irrisoria cifra di bilancio. Quella cifra, l’amministrazione attuale di centrosinistra l’ha ora abbassata, segno evidente che la destra e la sinistra di questa regione condividono il comune disprezzo per l’identità linguistica friulana, e si sorpassano a vicenda nella gara per demolire quella promessa di tutela che sembrava essere stata la conquista degli anni 90. (…)
E’ la regione Friuli-Venezia Giulia, dunque, ora, la principale responsabile della politica di svuotamento della tutela linguistico - identitaria, l’istituzione liquidatrice delle pur misere conquiste ottenute in anni di lotte, esecutrice dello spirito nazionalista e negatore dei diritti delle minoranze linguistiche, che ha impedito per cinquant’anni il secolo passato la traduzione in legge dell’articolo 6 della costituzione.
ADRIAN CESCJE
Comitato 482
Conferenza stampa del 25 novembre 2013.
Relazione di Adrian Cescje
Il punto di forza della tutela di una lingua in generale, e di una lingua minoritaria in particolare resta la scuola. Nella scuola si sviluppano le competenze linguistiche degli allievi, dalle semplici del linguaggio familiare alle complesse del linguaggio disciplinare e letterario scritto e parlato, e si interiorizza il valore sociale, detto anche valore simbolico, delle lingue. Una legge di tutela che si rispetti deve prevedere l’insegnamento scolastico della lingua che dichiara di tutelare, in una posizione centrale e non marginale, altrimenti né si forniscono le competenze che si dicevano, né si conferma il valore sociale della lingua. Non si tutela une bel niente, insomma. Deve prevedere questo, ma soprattutto lo deve mettere in pratica, lo deve fare. La legge 482 prevede la tutela scolastica, almeno nella scuola dell’obbligo. Non c’è nulla in tale legge che ponga limiti ad un insegnamento completo e degno di questo nome. Nei fatti tale legge è rimasta evasa se non addirittura raggirata, sia al livello dello stato, sia al livello della regione.
La nostra regione, che nell’articolo 3 del suo statuto chiama in causa le minoranze linguistiche che la costituiscono, che è costituita da una delle minoranze linguistiche più cospicue della repubblica, la ladino-friulana, ha legiferato due volte per individuare ed istituire provvedimenti di tutela per la lingua friulana, nel 1996, quando ancora non esisteva la legge statale 482, e nel 2007, quando c’era e poteva intervenire con efficacia, se lo avesse voluto, in ambito scolastico. Ne aveva e ne ha i poteri. Poteva e può decidere per una quota dell’orario scolastico delle scuole del territorio per la disciplina di interesse regionale che sceglie di considerare. E le lingue storiche del Friuli sarebbero gli elementi per eccellenza da considerare. La Commissione didattica dell’Osservatori regjonâl de lenghe e culture furlanis, detto anche OLF, e poi dell’ Agjenzie regjonâl de lenghe furlane, detta anche ARLeF, aveva elaborato nel 2007 una proposta di legge in questo senso, che aveva proposto al consiglio, e che, se fosse stata accettata, avrebbe trasformato la didattica delle lingue in Friuli in una didattica del plurilinguismo, che avrebbe dato al friulano un ruolo primario non solo per il suo apprendimento, ma anche per quello delle altre lingue, senza togliere alla didattica dell’italiano e della lingua straniera, anzi, potenziando qualitativamente quella didattica. I principi e gli obiettivi di quella proposta di legge sono stati recepiti nella seconda legge regionale di tutela del friulano del 2007; invece le disposizioni perché quella tutela fosse efficacemente e seriamente applicata nelle scuole del Friuli si tradussero, nella legge 29 che fu approvata, in qualcosa che è poco di più di un pacchetto di generiche raccomandazioni affidate alla buona volontà delle scuole.
Era la regione che doveva tradurre l’opportunità che le offriva le L 482 in normativa di legge efficace di tutela, anche in campo scolastico, ed ha mancato.
Era l’amministrazione regionale che doveva tradurre la legge in norme applicative ben definite, ed ha mancato.
Erano le amministrazioni regionali che dovevano accompagnare le norme applicative con un’adeguata dotazione finanziaria, ed hanno mancato.
L’amministrazione di centrodestra della passata legislatura ha cincischiato per anni sulle norme di applicazione, le ha emanate intenzionalmente generiche ed inefficaci, nascondendosi dietro il dogma dell’autonomia scolastica, interpretata ad hoc perché le scuole continuino a fare quel che gli pare, cioè nulla o quasi nulla per la lingua friulana, ed ha concesso alla tutela scolastica una irrisoria cifra di bilancio. Quella cifra, l’amministrazione attuale di centrosinistra l’ha ora abbassata, segno evidente che la destra e la sinistra di questa regione condividono il comune disprezzo per l’identità linguistica friulana, e si sorpassano a vicenda nella gara per demolire quella promessa di tutela che sembrava essere stata la conquista degli anni 90.
E’ la regione Friuli-Venezia Giulia, dunque, ora, la principale responsabile della politica di svuotamento della tutela linguistico - identitaria, l’istituzione liquidatrice delle pur misere conquiste ottenute in anni di lotte, esecutrice dello spirito nazionalista e negatore dei diritti delle minoranze linguistiche, che ha impedito per cinquant’anni il secolo passato la traduzione in legge dell’articolo 6 della costituzione.
Anche le scuole svolgono la loro parte nell’imbroglio della tutela. Quel poco che potrebbero fare per quei pochi soldi che ricevono dalla regione lo fanno male e lo chiamano ‘friulano’. Salvo pochissime eccezioni che si possono contare sulle dita di una mano sola, chiamano ‘friulano’ ciò che è un assortimento di informazioni delle più disparate sull’ambiente o sulle tradizioni del Friuli, e ciò che i vecchi programmi della scuola elementare e media concedevano comunque, senza bisogno di dover ricorrere ad una legge di tutela specifica per le minoranze. Non si fa insegnamento linguistico, come si dovrebbe fare; non si individuano e non si praticano obiettivi linguistici, nel percorso verso l’obiettivo finale alla fine del ciclo, che è il completo possesso delle abilità linguistiche di una lingua, né tanto meno si misura il raggiungimento di quegli obiettivi, se mai si dichiarano, con le verifiche che si dovrebbero usare per le attività linguistiche. Se si danno dei voti al ‘friulano’ sulle pagelle, essi sono del tutto vuoti di significato docimologico. Se i soldi che arrivano alle scuole per il friulano non si impiegano per l’acquisto di materiale di segreteria, come si è fatto per anni quando provenivano direttamente dalla legge 482, si impiegano per compensare questo genere di insegnamento, che si fa con insegnanti volonterosi, là dove ci sono, ma messi in condizioni impraticabili per attuare un’educazione linguistica per la lingua friulana, oppure con insegnanti che si sono inseriti nell’apposito albo di competenza, perché hanno autocertificato una competenza che non hanno, per prendere qualche soldo in più dello stipendio che comunque ricevono. Da notare che la regione prevede e concede questo assurdo genere di autocertificazione. C’è da chiedersi: perché? Questo si fa in generale, in nome del fatto che l’autonomia scolastica lascia alle scuole la facoltà di farlo. Come se l’autonomia scolastica non riguardasse solo gli aspetti organizzativi e metodologici per raggiungere gli obiettivi che comunque restano quelli imposti dalla legge, comuni a tutte le scuole. Potrebbero le scuole, invocando l’autonomia, scegliere di non svolgere o di svolgere parzialmente i programmi di matematica, di scienze o di storia? oppure, al contrario, è nella loro facoltà solo di scegliere come organizzarsi per raggiungere quegli obiettivi comuni? Vale dunque solo per la lingua minoritaria che l’autonomia scolastica concede alla scuole di scegliere non solo il metodo di insegnamento della lingua, ma anche quali obiettivi raggiungere, o di non sceglierli affatto?
Questo è lo stato dell’imbroglio.
Dunque, sembrerebbe buona cosa che questa amministrazione regionale abbia dimagrito il già misero budget destinato alle scuole per la lingua friulana. Quasi un atto di moralizzazione dovuto. Sembrerebbe, ma non lo è. Non lo è perché l’istituzione regionale continua a ignorare l’essenza del problema della tutela scolastica, continua a fingere di non essere lei la principale responsabile dello stato delle cose nelle scuole, non solo perché non fornisce le risorse necessarie, ma soprattutto perché si è sottratta al compito di indicare obiettivi didattici univoci e adeguati per l’insegnamento del friulano, e di controllare con meccanismi ispettivi le attività scolastiche per il loro raggiungimento, di verificarne il raggiungimento. Non lo è perché è la regione stessa che favorisce questo stato di cose nelle scuole, non avendo voluto normare come avrebbe dovuto e potuto l’insegnamento linguistico del friulano, in un contesto di plurilinguismo avanzato, prendendo ispirazione dai migliori esempi europei. Non lo ha fatto per avere poi il pretesto di ridurre sempre di più l’impegno economico per questo settore, ed eliminare progressivamente ma inesorabilmente il fastidio di dover sostenere la tutela minoritaria nell’unico luogo dove potrebbe risultare veramente efficace per il mantenimento dell’identità linguistica, la scuola.
Il primo atto di sostanza dell’attuale amministrazione di centrosinistra per la tutela della lingua friulana, per il momento, si mostra in perfetta continuità con l’amministrazione precedente di centrodestra, e ne condivide il trend negativo.
Adriano Ceschia