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1914/1918 - CENT'ANNI FA
IL
FRIULI NELLA
GRANDE
GUERRA
La Redazione del
Blog ringrazia lo storico Giorgio Banchig per averle concesso la
pubblicazione di due suoi articoli apparsi sul quindicinale DOM nel
marzo 2014
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IL
SUICIDIO DELLA
CIVILTA'
EUROPEA
di
Giorgio
Banchig
Cent’anni
fa l’inizio della Grande guerra che incendiò l’Europa e
coinvolse numerosi stati di tutto il mondo
Il
suicidio della civiltà europea
Ricordare
il centesimo anniversario dello scoppio della Prima guerra mondiale e
ripercorrere le tappe che portarono all’«inutile strage», come
ebbe a definire il conflitto Benedetto XV appena eletto papa, è come
rivedere in bianco/nero e in costumi d'epoca personaggi,
manifestazioni di piazza e scenari, risentire dibattiti e rileggere
articoli dei giornali di questi ultimi 25 anni durante i quali qua e
là, dall'Afganistan all'Iraq, dal Medio oriente alla Penisola
balcanica e oggi all’Ucraina si sono accesi i sinistri bagliori
della guerra.
Anche
cent'anni fa la diplomazia si arrese, si accusò gli oppositori alla
guerra di essere contro le varie patrie, si credette di risolvere i
contrasti in brevissimo tempo e con poche vittime, ci si illuse di
limitare al massimo il numero degli stati interessati e l'area degli
scontri. Così non è stato in questi anni, così non fu cent'anni
fa, quando, sono sempre le parole di Benedetto XV, si arrivò al
«suicidio della civiltà europea».
Lungo
i fronti che dal 1914 al 1918 hanno diviso l’Europa e coinvolto,
direttamente o indirettamente, un gran numero di stati di tutto il
mondo si sta programmando una lunga serie di iniziative per ricordare
i cento anni della Grande guerra, una memoria doverosa che sarà
utile se contribuirà ad estirpare definitivamente le radici di
quella pazzia che portò alla morte di milioni di giovani vite.
Dom
con una serie di contributi ripercorrerà le tappe di quel conflitto
supplendo parzialmente alla mancanza di iniziative e all’apatia che
sta caratterizzando le amministrazioni pubbliche della Slavia verso
questo centenario.
La
scintilla scoccò nei Balcani
La
scintilla che diede inizio a questo «suicidio» scoccò il 28 giugno
1914, quando a Sarajevo, capitale della Bosnia annessa all'Impero
austro-ungarico appena sette anni prima, Gravrilo Princip uccise
l'arciduca Franz Ferdinand, erede al trono, e la moglie Sofia,
principessa di Hohemberg, già contessa Choteck. Nel delitto
l'Austria vide la complicità della Serbia in quanto l'attentatore
proveniva dai circoli irredentistici, collegati con Belgrado, che
vedevano nell'arciduca un oppositore all'unione degli slavi del sud.
La reazione dell'Austria non si fece attendere e fu dura.
Era
la sera del 23 luglio quando il barone Vladimir Giels consegnava a
Belgrado l'ultimatum dell'Impero austro-ungarico al regno della
Serbia. Si trattava di un documento umiliante ed inaccettabile per
uno stato sovrano, in quanto si chiedeva al governo serbo la
collaborazione dei rappresentanti dell'Impero nelle indagini sui
responsabili del complotto. La Serbia non accettò questa clausola e
la sera stessa vennero rotti i rapporti diplomatici tra i due stati.
Per evitare il conflitto si interposero tra i contendenti Russia e
Inghilterra; fu proposta anche una conferenza di plenipotenziari di
vari stati europei a Londra. Tutto fu inutile.
Alle
ore 11.10 del 28 luglio l'Austria dichiarò guerra alla Serbia.
Seguirono
giorni di ulteriori trattative e di consultazioni tra le cancellerie
europee per evitare l'allargamento del conflitto ad altre nazioni. Ma
intanto tutti misero in moto la macchina bellica, in particolare la
Russia che si pose a fianco della Serbia. Dal 1° agosto, in pochi
giorni ci fu una lunga serie di dichiarazioni di guerra tra gli
Imperi centrali e loro alleati contro gli stati che aderirono, una
reazione a catena senza fine che incendierà o comunque coinvolgerà
buona parte degli stati del pianeta.
La
neutralità dell'Italia e i riflessi in Friuli
L'Italia
conobbe l'ultimatum dell'Austria alla Serbia venerdì 24 luglio. Con
esso veniva violato il trattato della Triplice alleanza, stipulato da
Austria, Germania e Regno sabaudo nel 1882 e successivamente
modificato, che aveva carattere difensivo e prevedeva una “benevola”
neutralità da parte dei contraenti se uno di loro avesse dichiarato
guerra ad un'altra potenza. Il primo atto di neutralità si ebbe il 3
agosto con un comunicato ufficiale del consiglio dei ministri
italiano, presieduto da Antonio Salandra.
Questa
presa di posizione raffreddò i rapporti tra l'Italia e gli Imperi
centrali che speravano in un'entrata in guerra del Regno sabaudo al
loro fianco e pose fine alle dimostrazioni di simpatia che in quel
periodo si ripetevano a Gorizia e nel Cervignanese, allora sotto
l'Austria, nei confronti degli italiani.
Il
rumore delle armi, che proveniva da molto vicino ed era esteso alle
maggiori potenze d'Europa, fece gradualmente cadere ogni illusione
sulla possibilità di mantenere l'Italia ad di fuori della guerra. I
comandi militari cominciarono ad agire di conseguenza: vennero
richiamate alle armi le classi 1889 e 1990 e venne stabilito che
alcuni territori delle province di confine dovevano ritenersi
soggetti a polizia militare. Per la provincia di Udine erano
interessati a questo regime tutti i comuni compresi nei distretti
amministrativi di Ampezzo, Cividale, Codroipo, Gemona, Latisana,
Maniago, Moggio, Palmanova, Pordenone, San Daniele, San Pietro al
Natisone, Spilimbergo, Tarcento, Tolmezzo e Udine. Su questo
territorio era vietato di eseguire rilievi, disegni, fotografie
concernenti fortificazioni, siti e materiali militari.
Il
rientro degli emigranti stagionali
Lo
scoppio della guerra ebbe conseguenze drammatiche per il Friuli. Fin
dai primi giorni di agosto del 1914 iniziò il rimpatrio di migliaia
e migliaia di emigranti stagionali del Friuli che lavoravano nelle
fornaci, nelle miniere, nelle filande, nei cantieri edili dell'Impero
austriaco. In pochi giorni arrivò a Pontebba, allora al confine, una
massa di lavoratori, che si erano messi in fuga senza percepire il
salario, corrisposto normalmente a fine contratto. La stagione
migratoria del 1914, sia per lo stentato avvio che per la sua brusca
interruzione, fruttò agli operai circa 17 milioni di lire contro i
30 che erano soliti riportare a casa negli anni precedenti. Fino
all'ottobre di quell'anno rientrarono in Friuli circa 62 mila
emigranti, che a fine anno salirono ad oltre 83 mila (dei quali quasi
59 mila erano classificati disoccupati e oltre 43 mila bisognosi). Di
fronte a questa grave situazione il comune di Udine già il 7 agosto
deliberò di «concedere apposito locale per ricovero temporaneo»
degli emigranti, di istituire una commissione per la sorveglianza dei
prezzi, che si impennarono improvvisamente, e di prendere tutti i
provvedimenti necessari per combattere la disoccupazione.
Anche
i parlamentari friulani, riuniti il 12 agosto nel palazzo della
provincia, in un memoriale chiesero al governo un intervento a
sostegno di questi diseredati.
L'atteggiamento
verso la guerra
Complice
anche la grave situazione economica, si
diffuse in Friuli un atteggiamento «neutralista» o nettamente
contrario all'ingresso dell'Italia nella guerra. I neutralisti
appartenevano ad una largo settore politico: dai cattolici ai
socialisti ed ai borghesi liberali. La
popolazione aveva un atteggiamento riservato, ma prevalentemente
avverso alla guerra. Di questo sentire si fece interprete
l'arcivescovo di Udine, mons. Antonio Anastasio Rossi, che difese la
neutralità e si pronunciò per il negoziato come metodo più
opportuno per ottenere il soddisfacimento delle legittime aspirazioni
italiane. I sacerdoti furono convinti «pacifisti» e per questa loro
posizione furono tacciati di antipatriottismo.
A
favore della guerra si erano schierati alcuni liberali della destra
storica, alcuni circoli massonici e una frangia di socialisti.
Gli
irredentisti a Udine
Ad
allargare, invece, la fascia di coloro che sostenevano l'entrata
dell'Italia in guerra furono le centinaia di irredentisti goriziani e
triestini che si erano rifugiati a Udine. Il passaggio del
confine avveniva dapprima attraverso le lagune. Vaporetti della
navigazione triestina, complice l'allora semplice ufficiale della
marina, Nazario Sauro, approdavano a Porto Nogaro per non fare
ritorno in Austria. Per la fuga gli irredentisti si servirono anche
di navi per il trasporti di carbone. Da San Giorgio di Nogaro i
fuoriusciti si concentravano a Udine, dove già nell'agosto del 1914
sorse il primo nucleo organizzato che andò via via ingrossando.
Altri
arrivarono via terra con passaporti falsi o passando il confine di
notte.
A
Udine l'organizzazione degli irredentisti, guidata da Carlo Banelli,
trovò appoggi, sostegni e finanziamenti. La «Delegazione e
assistenza dei profughi», così si chiamava il gruppo dei
fuoriusciti, ebbe sede dapprima in via della Prefettura, negli uffici
di Ugo Zilli presso la Camera di commercio, poi, quando il suo numero
si allargò, si spostò in piazzetta Valentinis.
Dall'ottobre
1914 l'organizzazione pubblicò il settimanale «Ora o mai», diretto
da Romeo Battistig, goriziano di origini, veneziano di nascita e
naturalizzato udinese, sul quale si propugnava con toni accesi
l'intervento dell'Italia a fianco dell'Intesa contro gli imperi
centrali per conquistare le terre «irredente» del Trentino della
Venezia Giulia con Gorizia, Trieste, l'Istria, Fiume e parte della
Dalmazia. I giovani più infervorati della «Delegazione e assistenza
dei profughi» promossero numerose manifestazioni per ottenere
l'intervento dell'Italia.
Il
30 novembre al teatro Minerva di Udine parlò Cesare Battisti (era
suo il motto «Ora o mai» che diventò il titolo del giornale
interventista), il quale sostenne la necessità di scendere in guerra
«per la difesa della libertà dei figli irredenti» che nel Trentino
erano «aggiogati al dispotismo tedesco, nell'Adriatico alla
prepotenza slava, e nell'Ungheria a quella magiara».
Per
spingere l'Italia all'intervento i fuoriusciti austriaci pensarono
perfino di organizzare un incidente di frontiera con un'azione
dimostrativa che sarebbe dovuta avvenire a Cormons. Non se ne
fece nulla per l'intervento del presidente del Consiglio, Antonio
Salandra. Ma l’idea non fu abbandonata perché la sera del 2 aprile
1915, Venerdì santo, Giovanni Giurati e Giuseppe Sillani fecero una
ricognizione nella valle del Judrio con l’intenzione di progettare
un assalto alla caserma della guardia di finanza austriaca e poi di
salire sul Korada insieme ad alcuni reparti italiani presenti nella
valle. Sulla strada del ritorno i due vennero fermati dai carabinieri
a Castelmonte, portati a Cividale e rilasciati dopo qualche ora per
intervento della questura di Venezia.
La
rete spionistica
Prima
dell'entrata in guerra dell'Italia, Udine e il Friuli, oltre ad
accogliere le organizzazioni degli irredentisti, furono teatro di una
fitta ed efficace rete spionistica. Da una parte l'Austria
voleva conoscere i piani delle fortificazioni che l'Italia stava
costruendo già da qualche tempo in Friuli, in particolare a Ragogna
e a Pinzano, dall'altra parte l'esercito italiano, messo in allarme
dai movimenti irredentisti della Venezia Giulia, mirava ad entrare in
possesso dei progetti militari che l'Austria stava realizzando lungo
la frontiera dal Predil all'Adriatico.
Dal
1913 alla data della dichiarazione della guerra ben 13 informatori
austriaci o supposti tali vennero processati dalla Corte d'Assise di
Udine. Di essi solo cinque vennero assolti per insufficienza di
prove.
Da
parte sua l'Italia aveva reclutato numerosi informatori tra gli
irredentisti, che facevano capo all'insospettabile Comitato udinese
della «Dante Alighieri», presieduto dal garibaldino Luigi Carlo
Schiavi. Alla Dante Alighieri arrivavano numerose notizie sugli
armamenti navali e terrestri che l'Austria stava approntando nella
Venezia Giulia, in Istria e lungo la costa dalmata.
Della
rete di informatori fecero parte anche alcune persone delle Valli del
Natisone. Alla prefettura di Udine furono rinvenuti documenti
relativi a Carlo Jussig di Azzida che era funzionario delle poste di
San Pietro al Natisone. Qualche anno prima della guerra riuscì a
fornire utili notizie sui preparativi austriaci a Tolmino e a
Caporetto dove nel 1912 fu arrestato per spionaggio ed espulso dal
territorio austriaco. Riuscì a ritornarvi poco prima che scoppiasse
la guerra e, giovandosi delle conoscenze che aveva, continuò a
inviare informazioni utili alle autorità italiane. Un altro
informatore era don Giovanni Gujon, cappellano di San Volfango, che
inoltrava i rapporti al comande della divisione Cavalleria di Udine.
Pochi giorni prima dell’inizio delle ostilità, richiesto se
corrispondeva al vero che nella valle dell’Isonzo erano stanziati
80mila militari, rispose che ve n’erano appena 80, in quanto la
zona era stata del tutto sguarnita dall’esercito austro-ungarico.
Le
fortificazioni militari
Non
è un mistero che la Triplice alleanza, stipulata dall'Italia con
Austria e Germania nel 1882, non era altro che un matrimonio di
interesse. Le questioni lasciate aperte con l'Impero asburgico dalla
Terza guerra d'indipendenza (1866) rimanevano di estrema attualità,
in particolare, per il Regno sabaudo, la conquista di Trento e di
Trieste. Che il confine dallo Stelvio all'Adriatico fosse caldo per
entrambi gli stati è dimostrato dal fatto che ben prima che si
parlasse della Prima guerra mondiale entrambi i governi pensarono
bene di approntare fortificazioni lungo la frontiera. Lo stesso
imperatore Franz Jozef incoraggiava gli armamenti lungo il confine
italiano. Dallo Stelvio al mare vennero realizzate una ventina di
guarnigioni. Opere militari furono costruite a Kanal, Plava, Bovec e
Šaga. Nel 1911 venne aperta la strada Idrsko-Livek nella valle
dell'Isonzo. Già in quell'anno l'arciduca d'Austria Ludwig salì sul
Matajur, sul Kolovrat e sul Korada.
L'Italia
si accorse della necessità di fortificare la frontiera
nord-orientale con un certo ritardo. Solo negli anni 1911-12 le
richieste di armamenti in Friuli si fecero più insistenti e venne
proposta la costruzione della ferrovia Maniago-Longarone e
Meduno-Socchieve. In seguito furono costruiti le fortificazioni di
Colloredo di Montalbano, monte Bernadia, Pinzano, monte di Ragogna,
Tricesimo, Fagagna, Santa Margherita del Gruagno, Rivolto; a Codroipo
e a Latisana furono realizzate due teste di ponte. Allo scoppio della
guerra rimanevano quasi del tutto scoperte le Valli del Torre e del
Natisone. Appena il 10 ottobre 1914 il parroco di San Leonardo, don
Giovanni Petricig, nel Libro storico annotò: «Oggi 150 bersaglieri
principiano il tronco di strada da Jainich al monte Spich. Questi
soldati, che sono d’alloggio a Scrutto, lavorano anche di
domenica». Questo ritardo si rivelò in tutta la sua gravità
nell'ottobre del 1917, quando le truppe austro-germaniche sfondarono
nella Valle dell'Isonzo. E fu la rotta di Caporetto.
Giorgio
Banchig
(Dom,
5-6/2014)