martedì 22 aprile 2014

FERROVIA SACILE-GEMONA: SIAMO ANCORA FERMI AL PALO!



FERROVIA

SACILE-GEMONA

SIAMO ANCORA

FERMI AL PAOLO!



Dal Quotidiano IL MESSAGGERO VENETO - Udine

Sacile-Gemona: sì al piano, ma mancano ancora i soldi       

di Giulia Sacchi          

   (….)

«Per la Sacile-Gemona siamo ancora fermi al palo, anche se ora le regole sono state fissate dalla Regione – osserva il consigliere comunale di Gemona, con delega alla mobilità, nonché storico rappresentante del comitato dei pendolari Alto Friuli, Andrea Palese –. E’ora di superare le polemiche e assumere decisioni, anche se mi pare che sull’argomento ci siano poche idee e ben confuse e la Regione continui a fare melina».

Palese non risparmia un duro commento sul fatto che «la Regione non sia riuscita a trovare i 40 mila euro per lo studio di fattibilità, mentre si assiste a sperperi da un milione per dipingere un aereo per una discutibile campagna promozionale». (...)


22 aprile 2014
 
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giovedì 17 aprile 2014

IL "FRIULI" NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE: L'ESODO DIMENTICATO DEI FRIULANI !






IL "FRIULI"
 
 
NELLA

PRIMA GUERRA MONDIALE.
 
 
 
 L'ESODO DIMENTICATO


DEI FRIULANI
 

 
 
 
Chissà perchè le tragedie che hanno colpito i friulani non hanno spazio nella memoria di questo Paese, forse vecchie abitudini a fare da soli, a piegare la testa, a voler dimenticare in fretta le tragedie.

Come valutare diversamente, in questi giorni in cui iniziano le celebrazioni per i cento anni dalla Grande Guerra, il silenzio sulla tragedia che rappresentò la Grande Guerra per il popolo friulano?

Solo durante la rotta di Caporetto ci furono 134.000 profughi, quando fuggirono per lo più le famiglie borghesi e a Udine città rimase meno del 25% della popolazione civile. Fuggirono soprattutto coloro che scrivevano e leggevano i giornali pieni di descrizioni minuziose sulle crudeltà del nemico. Al ritorno dalla profuganza passata tra umiliazioni, epidemie e difficoltà di ogni genere trovarono le case depredate e una regione devastata.

Un bilancio sommario delle distruzioni di vite e di beni per il Friuli ha queste cifre: oltre 25.000 militari friulani morti (di cui 6.000 con la divisa dell'impero austroungarico, caduti e dimenticati sul fronte russo e su quello italiano) 50.000 mutilati, 13.000 orfani, più di 50.000 bambini troveranno la morte in conseguenza della guerra, denutrizione, epidemie e mancanza di cure.
 
Il patrimonio zootecnico fu azzerato, dei 200.000 capi bovini ne restarono meno di 20.000, di 23.000 cavalli se ne contarono 2.500, l'85% dell'apparato industriale fu distrutto e i tentativi di rinascita post-bellica si scontrarono con lo sviluppo dell'industria nel resto del Paese.
 

Il pudore delle donne friulane contribuirà a far dimenticare le violenze subite anche dai militari italiani, e ne fecero testimonianza gli orfanotrofi aperti negli anni successivi.

I risarcimenti per i danni di guerra si fermeranno per la gran parte sul Piave!
 
La crisi economica sarà la causa dell'emigrazione del dopoguerra, un vero e proprio esodo, questa volta fatto prevalentemente da contadini e operai, friulani sparsi nel mondo per una guerra che li aveva costretti anche a spararsi l'un l'altro secondo il colore della divisa, nè risarciti nè ricordati, forse immemori anche i loro discendenti di quanto chiese questo Paese al popolo friulano.
 
Udine, 14 aprile 2014

COMITATO PER L'AUTONOMIA
E IL RILANCIO DEL FRIULI
Il Presidente
Paolo Fontanelli
 
........
 
 
Il documento del "Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli", a firma del suo Presidente Paolo Fontanelli, è stato pubblicato sul settimanale della Arcidiocesi di Udine, "La Vita Cattolica", giovedì 17 aprile 2014, con il titolo "L'esodo dimenticato dei friulani"

domenica 13 aprile 2014

Comun di Tavagnà: "CEMÛT SI SCRIVIAL? CEMÛT SI VOLTIAL?" - Cors di lenghe furlane finalizât ae traduzion




Comun di Tavagnà (Ud)


CEMÛT SI SCRIVIAL?

CEMÛT SI VOLTIAL?

Cors di lenghe furlane




Il sportel linguistic dal Comun di Tavagnà al è daûr a organizâ un cors di lenghe furlane di nivel base par imparâ a doprâ la lenghe scrite e a voltâ un test curt par furlan.


Al durarà 20 oris dividudis in 10 lezions, une volte par setemane (pal solit di Lunis), tignudis di docents de Serling (Alessandro Carrozzo), societât cooperative costituide dal 2001 par furnî servizis linguistics professionâi in lenghe furlane (www.serling.org).


Obietîfs dal cors a saran:

cognossi la storie de lenghe e des sôs varietâts; rinfuarcî lis abilitâts di produzion orâl cun ricercje e confront lessicâl; meti a fûc lis cognossincis de grafie uficiâl, des struturis gramaticâls, sintatichis e lessicâls de lenghe furlane; furnî e potenziâ lis abilitâts di comprension e produzion scrite cun leturis e traduzions. Il fîl dal discors li che si insuazin i obietîfs al sarà simpri la traduzion.


I students a àn di vê almancul une buine cognossince passive de lenghe furlane.


Il cors al è CENCE SPESE.



SALE:

ex sale consiliâr dal Comun di Tavagnà in Place de Indipendence, 1 a Felet (jentrade vecje dal Comun).

CALENDARI DES LEZIONS 
ORARIS


Lunis 28.04; 05.05; 12.05; 26.05;26.05;


Martars 03.06 (di concuardâ);
   

Lunis 09.06; 16.06;23.06
   
Martars 24.06 (di concuardâ)

   

ORARIS
des 6.00 aes 8.00 di sere

Par informazions e iscrizions clamait
il Sportel de Lenghe Furlane
dal Comun di Tavagnà  o la biblioteche comunâl
 

giovedì 10 aprile 2014

1914/1918 - CENT'ANNI FA IL FRIULI NELLA GRANDE GUERRA : "IL SUICIDIO DELLA CIVILTA' EUROPEA" di GIORGIO BANCHIG

:
1914/1918 - CENT'ANNI FA
 
IL FRIULI NELLA
 
 
GRANDE GUERRA


La Redazione del Blog ringrazia lo storico Giorgio Banchig per averle concesso la pubblicazione di due suoi articoli apparsi sul quindicinale DOM nel marzo 2014
 
 

..............................

IL SUICIDIO DELLA
 
CIVILTA' EUROPEA

 
di
 
 
Giorgio Banchig
 
 
Cent’anni fa l’inizio della Grande guerra che incendiò l’Europa e coinvolse numerosi stati di tutto il mondo
 
Il suicidio della civiltà europea
 
Ricordare il centesimo anniversario dello scoppio della Prima guerra mondiale e ripercorrere le tappe che portarono all’«inutile strage», come ebbe a definire il conflitto Benedetto XV appena eletto papa, è come rivedere in bianco/nero e in costumi d'epoca personaggi, manifestazioni di piazza e scenari, risentire dibattiti e rileggere articoli dei giornali di questi ultimi 25 anni durante i quali qua e là, dall'Afganistan all'Iraq, dal Medio oriente alla Penisola balcanica e oggi all’Ucraina si sono accesi i sinistri bagliori della guerra.
Anche cent'anni fa la diplomazia si arrese, si accusò gli oppositori alla guerra di essere contro le varie patrie, si credette di risolvere i contrasti in brevissimo tempo e con poche vittime, ci si illuse di limitare al massimo il numero degli stati interessati e l'area degli scontri. Così non è stato in questi anni, così non fu cent'anni fa, quando, sono sempre le parole di Benedetto XV, si arrivò al «suicidio della civiltà europea».
Lungo i fronti che dal 1914 al 1918 hanno diviso l’Europa e coinvolto, direttamente o indirettamente, un gran numero di stati di tutto il mondo si sta programmando una lunga serie di iniziative per ricordare i cento anni della Grande guerra, una memoria doverosa che sarà utile se contribuirà ad estirpare definitivamente le radici di quella pazzia che portò alla morte di milioni di giovani vite.
Dom con una serie di contributi ripercorrerà le tappe di quel conflitto supplendo parzialmente alla mancanza di iniziative e all’apatia che sta caratterizzando le amministrazioni pubbliche della Slavia verso questo centenario.
 
La scintilla scoccò nei Balcani
 
La scintilla che diede inizio a questo «suicidio» scoccò il 28 giugno 1914, quando a Sarajevo, capitale della Bosnia annessa all'Impero austro-ungarico appena sette anni prima, Gravrilo Princip uccise l'arciduca Franz Ferdinand, erede al trono, e la moglie Sofia, principessa di Hohemberg, già contessa Choteck. Nel delitto l'Austria vide la complicità della Serbia in quanto l'attentatore proveniva dai circoli irredentistici, collegati con Belgrado, che vedevano nell'arciduca un oppositore all'unione degli slavi del sud. La reazione dell'Austria non si fece attendere e fu dura.
Era la sera del 23 luglio quando il barone Vladimir Giels consegnava a Belgrado l'ultimatum dell'Impero austro-ungarico al regno della Serbia. Si trattava di un documento umiliante ed inaccettabile per uno stato sovrano, in quanto si chiedeva al governo serbo la collaborazione dei rappresentanti dell'Impero nelle indagini sui responsabili del complotto. La Serbia non accettò questa clausola e la sera stessa vennero rotti i rapporti diplomatici tra i due stati. Per evitare il conflitto si interposero tra i contendenti Russia e Inghilterra; fu proposta anche una conferenza di plenipotenziari di vari stati europei a Londra. Tutto fu inutile.
Alle ore 11.10 del 28 luglio l'Austria dichiarò guerra alla Serbia.
Seguirono giorni di ulteriori trattative e di consultazioni tra le cancellerie europee per evitare l'allargamento del conflitto ad altre nazioni. Ma intanto tutti misero in moto la macchina bellica, in particolare la Russia che si pose a fianco della Serbia. Dal 1° agosto, in pochi giorni ci fu una lunga serie di dichiarazioni di guerra tra gli Imperi centrali e loro alleati contro gli stati che aderirono, una reazione a catena senza fine che incendierà o comunque coinvolgerà buona parte degli stati del pianeta.
 
La neutralità dell'Italia e i riflessi in Friuli
 
L'Italia conobbe l'ultimatum dell'Austria alla Serbia venerdì 24 luglio. Con esso veniva violato il trattato della Triplice alleanza, stipulato da Austria, Germania e Regno sabaudo nel 1882 e successivamente modificato, che aveva carattere difensivo e prevedeva una “benevola” neutralità da parte dei contraenti se uno di loro avesse dichiarato guerra ad un'altra potenza. Il primo atto di neutralità si ebbe il 3 agosto con un comunicato ufficiale del consiglio dei ministri italiano, presieduto da Antonio Salandra.
Questa presa di posizione raffreddò i rapporti tra l'Italia e gli Imperi centrali che speravano in un'entrata in guerra del Regno sabaudo al loro fianco e pose fine alle dimostrazioni di simpatia che in quel periodo si ripetevano a Gorizia e nel Cervignanese, allora sotto l'Austria, nei confronti degli italiani.
Il rumore delle armi, che proveniva da molto vicino ed era esteso alle maggiori potenze d'Europa, fece gradualmente cadere ogni illusione sulla possibilità di mantenere l'Italia ad di fuori della guerra. I comandi militari cominciarono ad agire di conseguenza: vennero richiamate alle armi le classi 1889 e 1990 e venne stabilito che alcuni territori delle province di confine dovevano ritenersi soggetti a polizia militare. Per la provincia di Udine erano interessati a questo regime tutti i comuni compresi nei distretti amministrativi di Ampezzo, Cividale, Codroipo, Gemona, Latisana, Maniago, Moggio, Palmanova, Pordenone, San Daniele, San Pietro al Natisone, Spilimbergo, Tarcento, Tolmezzo e Udine. Su questo territorio era vietato di eseguire rilievi, disegni, fotografie concernenti fortificazioni, siti e materiali militari.
 
Il rientro degli emigranti stagionali
 
Lo scoppio della guerra ebbe conseguenze drammatiche per il Friuli. Fin dai primi giorni di agosto del 1914 iniziò il rimpatrio di migliaia e migliaia di emigranti stagionali del Friuli che lavoravano nelle fornaci, nelle miniere, nelle filande, nei cantieri edili dell'Impero austriaco. In pochi giorni arrivò a Pontebba, allora al confine, una massa di lavoratori, che si erano messi in fuga senza percepire il salario, corrisposto normalmente a fine contratto. La stagione migratoria del 1914, sia per lo stentato avvio che per la sua brusca interruzione, fruttò agli operai circa 17 milioni di lire contro i 30 che erano soliti riportare a casa negli anni precedenti. Fino all'ottobre di quell'anno rientrarono in Friuli circa 62 mila emigranti, che a fine anno salirono ad oltre 83 mila (dei quali quasi 59 mila erano classificati disoccupati e oltre 43 mila bisognosi). Di fronte a questa grave situazione il comune di Udine già il 7 agosto deliberò di «concedere apposito locale per ricovero temporaneo» degli emigranti, di istituire una commissione per la sorveglianza dei prezzi, che si impennarono improvvisamente, e di prendere tutti i provvedimenti necessari per combattere la disoccupazione.
Anche i parlamentari friulani, riuniti il 12 agosto nel palazzo della provincia, in un memoriale chiesero al governo un intervento a sostegno di questi diseredati.
 
L'atteggiamento verso la guerra
 
Complice anche la grave situazione economica, si diffuse in Friuli un atteggiamento «neutralista» o nettamente contrario all'ingresso dell'Italia nella guerra. I neutralisti appartenevano ad una largo settore politico: dai cattolici ai socialisti ed ai borghesi liberali. La popolazione aveva un atteggiamento riservato, ma prevalentemente avverso alla guerra. Di questo sentire si fece interprete l'arcivescovo di Udine, mons. Antonio Anastasio Rossi, che difese la neutralità e si pronunciò per il negoziato come metodo più opportuno per ottenere il soddisfacimento delle legittime aspirazioni italiane. I sacerdoti furono convinti «pacifisti» e per questa loro posizione furono tacciati di antipatriottismo.
A favore della guerra si erano schierati alcuni liberali della destra storica, alcuni circoli massonici e una frangia di socialisti.
 
Gli irredentisti a Udine
 
Ad allargare, invece, la fascia di coloro che sostenevano l'entrata dell'Italia in guerra furono le centinaia di irredentisti goriziani e triestini che si erano rifugiati a Udine. Il passaggio del confine avveniva dapprima attraverso le lagune. Vaporetti della navigazione triestina, complice l'allora semplice ufficiale della marina, Nazario Sauro, approdavano a Porto Nogaro per non fare ritorno in Austria. Per la fuga gli irredentisti si servirono anche di navi per il trasporti di carbone. Da San Giorgio di Nogaro i fuoriusciti si concentravano a Udine, dove già nell'agosto del 1914 sorse il primo nucleo organizzato che andò via via ingrossando.
Altri arrivarono via terra con passaporti falsi o passando il confine di notte.
A Udine l'organizzazione degli irredentisti, guidata da Carlo Banelli, trovò appoggi, sostegni e finanziamenti. La «Delegazione e assistenza dei profughi», così si chiamava il gruppo dei fuoriusciti, ebbe sede dapprima in via della Prefettura, negli uffici di Ugo Zilli presso la Camera di commercio, poi, quando il suo numero si allargò, si spostò in piazzetta Valentinis.
Dall'ottobre 1914 l'organizzazione pubblicò il settimanale «Ora o mai», diretto da Romeo Battistig, goriziano di origini, veneziano di nascita e naturalizzato udinese, sul quale si propugnava con toni accesi l'intervento dell'Italia a fianco dell'Intesa contro gli imperi centrali per conquistare le terre «irredente» del Trentino della Venezia Giulia con Gorizia, Trieste, l'Istria, Fiume e parte della Dalmazia. I giovani più infervorati della «Delegazione e assistenza dei profughi» promossero numerose manifestazioni per ottenere l'intervento dell'Italia.
Il 30 novembre al teatro Minerva di Udine parlò Cesare Battisti (era suo il motto «Ora o mai» che diventò il titolo del giornale interventista), il quale sostenne la necessità di scendere in guerra «per la difesa della libertà dei figli irredenti» che nel Trentino erano «aggiogati al dispotismo tedesco, nell'Adriatico alla prepotenza slava, e nell'Ungheria a quella magiara».
Per spingere l'Italia all'intervento i fuoriusciti austriaci pensarono perfino di organizzare un incidente di frontiera con un'azione dimostrativa che sarebbe dovuta avvenire a Cormons. Non se ne fece nulla per l'intervento del presidente del Consiglio, Antonio Salandra. Ma l’idea non fu abbandonata perché la sera del 2 aprile 1915, Venerdì santo, Giovanni Giurati e Giuseppe Sillani fecero una ricognizione nella valle del Judrio con l’intenzione di progettare un assalto alla caserma della guardia di finanza austriaca e poi di salire sul Korada insieme ad alcuni reparti italiani presenti nella valle. Sulla strada del ritorno i due vennero fermati dai carabinieri a Castelmonte, portati a Cividale e rilasciati dopo qualche ora per intervento della questura di Venezia.
 
La rete spionistica
 
Prima dell'entrata in guerra dell'Italia, Udine e il Friuli, oltre ad accogliere le organizzazioni degli irredentisti, furono teatro di una fitta ed efficace rete spionistica. Da una parte l'Austria voleva conoscere i piani delle fortificazioni che l'Italia stava costruendo già da qualche tempo in Friuli, in particolare a Ragogna e a Pinzano, dall'altra parte l'esercito italiano, messo in allarme dai movimenti irredentisti della Venezia Giulia, mirava ad entrare in possesso dei progetti militari che l'Austria stava realizzando lungo la frontiera dal Predil all'Adriatico.
Dal 1913 alla data della dichiarazione della guerra ben 13 informatori austriaci o supposti tali vennero processati dalla Corte d'Assise di Udine. Di essi solo cinque vennero assolti per insufficienza di prove.
Da parte sua l'Italia aveva reclutato numerosi informatori tra gli irredentisti, che facevano capo all'insospettabile Comitato udinese della «Dante Alighieri», presieduto dal garibaldino Luigi Carlo Schiavi. Alla Dante Alighieri arrivavano numerose notizie sugli armamenti navali e terrestri che l'Austria stava approntando nella Venezia Giulia, in Istria e lungo la costa dalmata.
Della rete di informatori fecero parte anche alcune persone delle Valli del Natisone. Alla prefettura di Udine furono rinvenuti documenti relativi a Carlo Jussig di Azzida che era funzionario delle poste di San Pietro al Natisone. Qualche anno prima della guerra riuscì a fornire utili notizie sui preparativi austriaci a Tolmino e a Caporetto dove nel 1912 fu arrestato per spionaggio ed espulso dal territorio austriaco. Riuscì a ritornarvi poco prima che scoppiasse la guerra e, giovandosi delle conoscenze che aveva, continuò a inviare informazioni utili alle autorità italiane. Un altro informatore era don Giovanni Gujon, cappellano di San Volfango, che inoltrava i rapporti al comande della divisione Cavalleria di Udine. Pochi giorni prima dell’inizio delle ostilità, richiesto se corrispondeva al vero che nella valle dell’Isonzo erano stanziati 80mila militari, rispose che ve n’erano appena 80, in quanto la zona era stata del tutto sguarnita dall’esercito austro-ungarico.
 
Le fortificazioni militari

Non è un mistero che la Triplice alleanza, stipulata dall'Italia con Austria e Germania nel 1882, non era altro che un matrimonio di interesse. Le questioni lasciate aperte con l'Impero asburgico dalla Terza guerra d'indipendenza (1866) rimanevano di estrema attualità, in particolare, per il Regno sabaudo, la conquista di Trento e di Trieste. Che il confine dallo Stelvio all'Adriatico fosse caldo per entrambi gli stati è dimostrato dal fatto che ben prima che si parlasse della Prima guerra mondiale entrambi i governi pensarono bene di approntare fortificazioni lungo la frontiera. Lo stesso imperatore Franz Jozef incoraggiava gli armamenti lungo il confine italiano. Dallo Stelvio al mare vennero realizzate una ventina di guarnigioni. Opere militari furono costruite a Kanal, Plava, Bovec e Šaga. Nel 1911 venne aperta la strada Idrsko-Livek nella valle dell'Isonzo. Già in quell'anno l'arciduca d'Austria Ludwig salì sul Matajur, sul Kolovrat e sul Korada.
L'Italia si accorse della necessità di fortificare la frontiera nord-orientale con un certo ritardo. Solo negli anni 1911-12 le richieste di armamenti in Friuli si fecero più insistenti e venne proposta la costruzione della ferrovia Maniago-Longarone e Meduno-Socchieve. In seguito furono costruiti le fortificazioni di Colloredo di Montalbano, monte Bernadia, Pinzano, monte di Ragogna, Tricesimo, Fagagna, Santa Margherita del Gruagno, Rivolto; a Codroipo e a Latisana furono realizzate due teste di ponte. Allo scoppio della guerra rimanevano quasi del tutto scoperte le Valli del Torre e del Natisone. Appena il 10 ottobre 1914 il parroco di San Leonardo, don Giovanni Petricig, nel Libro storico annotò: «Oggi 150 bersaglieri principiano il tronco di strada da Jainich al monte Spich. Questi soldati, che sono d’alloggio a Scrutto, lavorano anche di domenica». Questo ritardo si rivelò in tutta la sua gravità nell'ottobre del 1917, quando le truppe austro-germaniche sfondarono nella Valle dell'Isonzo. E fu la rotta di Caporetto.
 
Giorgio Banchig
(Dom, 5-6/2014)

martedì 8 aprile 2014

No! Al decomissionamento dello Scalo e Interporto di Cervignano



No! Al decomissionamento

dello Scalo e Interporto

di Cervignano

di

Giancarlo Castellarin

Comitato per l'autonomia e
il rilancio del Friuli
 
Verso il 2010 si inizia di fatto un operazione di spegnimento pilotato dello scalo ad opera di Trenitalia della grande opera cui tante speranze erano state riposte. Una struttura che nel 2008 smistava, si dice, circa 30.000 carri mese compresi i vuoti, viene ridimensionata a fine 2012 a soli circa 5000 carri mese. Nel ridimensionamento si è andati quindi ben oltre gli effetti della crisi industriale, e senza un cenno di disappunto della politica. L’occupazione allo scalo viene ridotta da 400 a 150 unità. Intanto, qua e là in regione si propongono continuamente nuovi interporti . Ad esempio il neo scalo e interporto di Pordenone (appoggiato all’ avvio da Trenitalia) lavora già su circa un migliaio di carri mese. Intanto gli scali di Feistriz in Carinzia (che rappresenta il secondo scalo austriaco) e Sesana in Slovenia, smistano e trattano convogli al posto di Cervignano, da e per il Nord-Est europeo e l’Italia, acquistando anche il relativo portafoglio clienti. Dichiarava la politica all’inaugurazione nel lontano Febbraio 2000. “Lo scalo e l’interporto “Alpe-Adria”di Cervignano del Friuli si prefigge di costituire il fulcro regionale dell’ intermodalità, diventando un punto di riferimento per il traffico delle merci nel Nord-Est italiano ed un centro nevralgico di collegamento tra la penisola e i Paesi dell’ Europa nord-orientale.

Questo “fulcro regionale” della intermodalità e della logistica, dopo un investimento ai valori di oggi si dice vicino al miliardo, travolto dagli indirizzi operativi di Trenitalia e da gelosie, risulta nel 2013 operare solo a circa il 10% della sue potenzialità. Degli onerosi - per il contribuente - impianti di Cervignano, oggi è rimasta ben modesta traccia nella Piattaforma logistica regionale, dovrebbe servire infatti solo l’ area industriale dell’ Ausa-Corno. Sono emersi intanto in regione due indirizzi nel settore, quello dell’ intermodalità diffusa, e quello della concentrazione della maggioranza degli investimenti e della operatività in un solo interporto, ma udite! a Fernetti non a Cervignano. Si accampano persino, come motivazioni, errori di strutturazione degli impianti assolutamente inesistenti, e problemi dovuti alla portualità specifica di Trieste.

Ma un esame attento della situazione impone in regione un disegno logistico con il rilancio dello scalo e interporto cervignanese in primis, dato che è posizionato proprio alla confluenza di ben due Corridoi Europei, e prossimo alle aree industriali regionali, e ai porti, che lo rendono atto anche a funzioni di retroporto come Rivalta Scrivia e Padova. Il governo regionale imposti quindi una vertenza senza timidezze con il Ministero dei trasporti e Trenitalia. Ora quest’ultima dichiara finalmente di aprirsi anche all’investimento nel trasporto merci: si presentano quindi spazi di ricontrattazione per un ruolo che deve ritornare di dimensione nazionale e internazionale. Recuperando questo contesto non sarà difficile rimotivare anche l’investimento privato verso strutture imponenti, che non vanno lasciate deteriorare, riportando all’attività una strumentazione logistica all’altezza della vocazione e posizione geopolitica della Regione.
 
 
  
 Comitato per l’autonomia
 
 e il rilancio del Friuli
 
Giancarlo Castellarin


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In data martedì 1 aprile , il documento è stato pubblicato sul quotidiano IL GAZZETTINO di Udine e il quotidiano IL MESSAGGERO VENETO di Udine gli ha dedicato un articolo a pagina 30.

In data giovedì 3 aprile, il documento è stato pubblicato sul settimanale dell'Arcidiocesi di Udine, LA VITA CATTOLICA.


 

domenica 6 aprile 2014

LA CURA DELLA TROIKA FA AMMALARE I GRECI


La cura della Troika
fa ammalare i greci
di
 
Augusto Dell'Angelo
 
 
Editoriale pubblicato sul quotidiano
ILQUOTIDIANO FVG
il 2 aprile 2014
 
La cura da cavallo (rigore, austerità, tagli) imposta dalla Troika europea sta distruggendo la Grecia. Un po’ meno, ma anche l’Italia. Le banche chiudono, i disoccupati son diventati un esercito,i vecchi sono abbandonati a se stessi, la gente è alla fame. Intaccata seriamente la qualità della vita, ma nel Paese che fu di Socrate e Platone il dramma sta per assumere i toni della tragedia perché il diktat dell’Ue sta facendo ammalare la Grecia. Alcuni dati, spaventosamente reali, lo dimostrano.
 
Dal 2008 (anno d’inizio della crisi) a oggi la mortalità infantile è aumentata del 43%, effetto della malnutrizione e delle diminuite possibilità di accesso alle cure. In questo stesso periodo il numero dei neonati di basso peso è cresciuto del 19%. Quanto agli anziani, la percentuale d’incremento della mortalità si aggira sul 40% al netto delle patologie dovute all’invecchiamento.
 
In aumento del 45% il numero dei suicidi e del 38% quello di coloro che han tentato di togliersi la vita. Dapprima il fenomeno riguardava soltanto gli uomini, ma recentemente ha inglobato anche le donne.
 
Più che raddoppiate, infatti, le gravi forme di depressione, ora dell’8,2%.
E ora il drammatico dato sulle nuove infezioni da Hiv tra gli eroinomani: erano 15 nel 2008, sono saliti a 307 nel 2012 e ora sono ben 484. A ciò si aggiunga la ricomparsa di una malattia antica, la tubercolosi.
 
Com’è potuto accadere tutto ciò? La Troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) per salvare la Grecia dal dissesto ha ordinato un regìme di austerità che ha obbligato il Governo di Atene a tagliare il 26% del budget destinato agli ospedali (adesso si è giunti al 40%) e a ridurre drasticamente la spesa farmaceutica, da 4 miliardi e mezzo di euro del 2008 ai 2 di oggi. Un taglio da macelleria.
 
Effetti devastanti per di più in un sistema imperfetto di suo. Infatti qui la spesa sanitaria è la più alta d’Europa, già pari al 10,8% del Pil prima dell’inizio della crisi. La nostra, all’epoca, era dell’8,9%. Le case farmaceutiche stanno abbandonando il Paese temendo di non essere pagate e i medicinali son diventati talmente rari e costosi che è comparso il baratto: io do a te un farmaco per il Parkinson e tu me ne consegni un altro contro l’epilessia.
 
E’ arduo trovare perfino l’aspirina. Delle 12 mila farmacie esistenti in Grecia nel 2008, mille sono state chiuse e 200 stanno per farlo. In aggiunta c’è il fenomeno della corruzione (si devono pagare mazzette per guadagnarsi qualche posizione in lista d’attesa), il che rende ancor più drammatica la situazione.
 
Il più autorevole quotidiano di Atene, a fronte di tutto ciò. lancia un monito a tutta l’Europa:“Quel che sta accadendo da noi, frutto dei tagli indiscriminati all’assistenza sanitaria, sia di avvertimento a tutti gli altri Paesi dell’Eurozona perché non si lascino inglobare in questa spirale che rischia di trasformare quella che adesso è una società in recessione in una società malata anche nel corpo e nello spirito"

giovedì 3 aprile 2014

RIFORME COSTITUZIONALI E FURIA ABOLIZIONISTA




RIFORME COSTITUZIONALI
 
E
 
FURIA ABOLIZIONISTA

.........


L'euforia del cambiamento
 
di
 
CARLO RAPICAVOLI

 

Viviamo un periodo storico caratterizzato dalla voglia di “cambiamento”. La crisi economica, l’inadeguatezza della politica a dare risposte, gli sprechi che hanno riempito, negli ultimi tempi, le cronache, hanno rafforzato nell’opinione pubblica la consapevolezza che il nostro sistema debba essere profondamente riformato.

Una consapevolezza certamente fondata e che richiederebbe analisi approfondite. A tale spinta corrisponde però spesso approssimazione, annunci e ricerca di immediato e facile consenso.

Nell’euforia del cambiamento, in risposta alla giusta rabbia alimentata dalle difficoltà crescenti per disoccupazione e crisi economica, si risponde con la furia abolizionista.

Il nuovo è tale se annuncia tagli; non importa come, bisogna tagliare, abolire, cancellare. Se si tratta di tagli alla politica, allora il consenso è assicurato.

Il problema però, frutto di anni di assenza della vera politica, è che oggi nessuno distingue più fra politica e Istituzioni, si assimila e confonde il costo (lo spreco) della politica con il costo necessario delle Istituzioni e della democrazia, le persone coinvolte in mille scandali con le Istituzioni che hanno occupato ed utilizzato per i propri interessi. (...)”

19 marzo 2014

 
Article printed from LeggiOggi:
 
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