RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
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Città e
territorio:
un nuovo modello di organizzazione
degli enti locali
di
Ubaldo Muzzatti
In Friuli Venezia Giulia, anche se più comuni si
fregiano del titolo, ci sono poche città e vi risiede meno di
un terzo della popolazione. Oltre due terzi, invece, risiedono nelle
cittadine, nei paesi e nei borghi del territorio.
Semplificando, ma non ci si discosta dalla realtà, possiamo
considerare:
- Città, i quattro capoluoghi (di provincia e di regione);
- territorio, le cittadine, i paesi, villaggi e borghi dei comuni non capoluogo.
Stabilito, schematicamente, quali sono le città
e cos’è il territorio, è indubbio che si tratti di realtà:
- diverse per dimensione, concentrazione di popolazione, edificazione e infrastrutture; spazi, aree verdi e naturali, contenitori e contenuti, …;
- con problematiche gestionali e amministrative differenti per molti versi;
- con esigenze di conduzione, di cure e investimenti affatto simili;
- persino atteggiamenti e mentalità dei residenti, pur formati dagli stessi curricoli scolastici e distratti dagli stessi media (televisione in primis), palesano qualche differenza.
Non di meno le due realtà, città e territorio,
sono indissolubili e complementari, reciprocamente indispensabili
per la qualità di vita di tutta la popolazione.
E’ interesse di tutti (ovunque residenti) che:
- la città realizzi, si doti, sviluppi, organizzi, gestisca, offra, …, i servizi, i contenitori e i contenuti che possono essere localizzati solo in un contesto urbano di una certa dimensione…;
- il territorio realizzi, si doti, sviluppi, organizzi, gestisca, custodisca, …, quanto rende possibile la fruizione dell’immenso e insostituibile patrimonio, naturale e antropizzato, diffuso...;
- in entrambe le realtà si attuino politiche e pratiche amministrative, di erogazione dei servizi, di investimenti e gestionali specifici e, quindi, opportunamente differenziati.
Non è la stessa cosa amministrare una
città o il territorio e pure abbiamo bisogno di città e
comunità extraurbane gestite entrambe in modo ottimale.
Abbiamo l’esigenza di ottimizzare la gestione
delle due realtà, nell’interesse di tutti, perseguendo uno
sviluppo armonico e complementare.
In alcune regioni europee ciò è realtà. A
queste bisogna guardare per adottare adattando.
RAPPORTO
AMMINISTRATIVO TRA CITTA’ E TERRITORIO, DUE MODELLI BASE
Non dobbiamo farci distrarre dalle infinite varianti possibili. Il rapporto istituzionale tra la città e il territorio ha due soli modelli base:
- il modello centralistico (franco-napoleonico) accentrato su un capoluogo, al quale il territorio è sottoposto, sino a perdere persino la sua denominazione, per assumere quella della città;
- il modello federalistico (renano-danubbiano) che pone sullo stesso piano le comunità grandi e piccole; realizza l’ente di maggiore dimensione con la federazione degli enti minori che lo costituiscono; non sottopone il territorio alla città, riconoscendo necessaria la distinzione tra i grandi centri urbani e i centri minori.
Il modello centralistico (nomen omen) tende
inevitabilmente ad accentrare le risorse e le attenzioni nel
capoluogo, con un doppio esito negativo:
- abbandono, spopolamento, depauperamento del territorio; distruzione di valore (patrimonio abitativo, infrastrutturale e culturale abbandonato);
- inurbamento eccessivo e repentino della popolazione, espansione delle periferie e scadimento della città e della qualità di vita (inquinamento, traffico, rumore); duplicazione dei costi (edificazione e infrastrutturazione in sostituzione di quanto abbandonato).
Questi fenomeni sono stati particolarmente
marcati nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia; molto più
che nella regione ordinaria Veneto, per esempio.
Il territorio, dalla montagna alla bassa friulana,
dai borghi alle cittadine già fulcro del policentrismo regionale
(Tolmezzo, Gemona, Cervignano, Spilimbergo, Maniago, …) ha avuto
scarse attenzioni e poche risorse.
E i risultati si vedono! Basta guardare gli
andamenti demografici dei comuni del territorio. Lo spopolamento –
si badi bene – è l’effetto (delle disattenzioni) e non la causa
del mancato sviluppo. Cui fa riscontro la caotica espansione delle
città regionali. Grandi periferie senza pregio cingono d’assedio
quelli che erano splendidi centri urbani, a misura d’uomo.
UN
MODELLO FEDERALISTICO PER L’ORGANIZZAZIONE DEGLI ENTI LOCALI
E’ il modello vigente (con pochissime differenze
sostanziali) in Germania, Svizzera, Austria, Province Autonome di
Trento e Bolzano. Posto che come ovunque il Comune è l’istituzione
di base questo modello prevede che l’ente immediatamente superiore
(intermedio tra comune e regione/provincia/land/cantone):
- abbia caratteristiche di omogeneità geo-orografiche, socio-economiche, storico-culturali;
- abbia un’ampiezza sufficiente per erogare servizi e pianificare sviluppo e investimenti;
- sia costituito da un’aggregazione di comuni con prerogative federalistiche (delega di funzioni e non cessione di competenze; pari dignità degli aderenti; …)
- sia costituito tra “pari” ovvero operando la separazione dei grandi centri urbani e non sottoponendo a questi i territori circostanti;
- sia collegio per l’elezione dell’ente superiore, per la certezza della rappresentanza in esso;
- goda di autonomia e reale facoltà di scelta nelle materie assegnate;
- sia finanziato con parametri certi, in base a popolazione residente, estensione territoriale, imposte raccolte, singolarmente o in combinazione, secondo i capitoli di spesa.
Questa organizzazione degli enti locali è stata il
fattore determinante (anche se non unico) dell’armonico sviluppo
riscontrabile nei paesi e province citati. Laddove i fenomeni di
depauperamento - evidenti in vaste porzioni del FVG - non ci sono
stati.
ADOTTARE
– ADATTANDO – IL MODELLO FEDERALISTICO “RENANO-DANUBBIANO”
La regione FVG è
molto complessa, per nulla omogenea, ricca di diversità. E tale
resterebbe anche la regione Friuli affrancata da Trieste. Non di
meno, anzi a maggior ragione, il Sistema Regione – Autonomie locali
deve essere: adeguato, efficace, efficiente, equivalente,
sostenibile, affidabile, introducibile, condiviso.
Questi requisiti, tenuto conto della complessità
detta, possono essere assicurati solo da un’organizzazione di
tipo federalistico, lungamente sperimentata e affinata nel tempo
con una serie di ritocchi: IL
MODELLO RENANO – DANUBBIANO.
In sintesi l’introduzione del modello
“renano-danubbiano” in Regione prevede:
- la costituzione di aggregazioni di comuni territoriali compatte e omogenee (da 20 a 25);
- il riconoscimento di 4 città extraterritoriali con le competenze delle aggregazioni;
- la fusione di comuni esclusivamente su base volontaria e l’assenso di ciascuno;
- la costituzione volontaria di sovra-ambiti di scopo, per la gestione delle problematiche specifiche comuni a più aggregazioni, anche non contigue;
Le 4 città extraterritoriali, avranno le
medesime competenze delle aggregazioni, in pratica saranno un ente
intermedio monocomunale (come le città di Germania e Austria e
Bolzano stessa); sindaco e giunta, avranno – oltre che i poteri
comunali –quelli del presidente e della giunta delle aggregazioni.
Per quanto sopra gli enti intermedi risulteranno dalla somma delle
aggregazioni territoriali e delle città extraterritoriali: 24-29.
La compresenza di aggregazioni territoriali,
città extraterritoriali e sovra-ambiti di scopo prefigura una
forma di organizzazione a matrice, l’unica che permette di
gestire efficacemente la complessa situazione del Friuli Venezia
Giulia (o anche del solo Friuli), senza sacrificare alcune
comunità e porzioni di territorio; in essenza, senza ledere i
principi della democrazia.
LA
RIFORMA MUTILATA
-Chi avesse studiato, almeno superficialmente, lo
stato dell’arte, ovvero come sono, da dove vengono, come stanno
cambiando le articolazioni degli enti locali in Italia e in Europa;
-chi avesse seguito e studiato le precedenti riforme
approvate e i vari tentativi di riforma in FVG;
-chi avesse seguito, passo a passo, l’iter
legislativo che ha portato alla L.R. n. 26/214 (delle UTI),
sa e deve riconoscere che:
- l’impostazione originaria del disegno di legge era positiva, aderente al modello federalistico;
- le attività e gli incontri preparatori sono stati molti, capillari e anche qualificati;
per contro:
- la pregiudiziale perimetrazione delle UTI in base agli ambiti Socio Sanitari, anziché sulle aggregazioni riconosciute dalla popolazione (i mandamenti), ha impedito di individuare delle unioni omogenee e condivise da ampie maggioranze (l’unanimità è impossibile);
- vi è stato un momento, con una delle ultime bozze del DdL, in cui era stata persino accolta la distinzione tra città e territorio (elemento cardine del modello federalistico e fondamentale per uno sviluppo diffuso e non concentrato) ma poi sono intervenuti i “primi dei primi…” che, ambendo al feudo, hanno stravolto l’impianto originale e reintrodotto elementi centralistici, estranei al modello federalistico, tra cui:
- La preminenza dei centri maggiori, sancita per default;
- Il voto ponderale che favorisce i centri maggiori, in particolare gli ex capoluoghi;
- Le cariche elettive e non a rotazione (che con quel sistema di voto …);
- Le sedi fisse e non a rotazione (i capoluoghi usciti dalla porta, rientrano dalla fin.);
- Le Unioni grandi con possibilità di sub-ambiti (anziché compatte, con sovra-ambiti);
- Le Unioni disomogenee (la più marcata disomogeneità è tra città e territorio!);
- La ricostituzione di 3 mini province centralistiche: le UTI incentrate su Pordenone, Trieste e Udine.
RITOCCARE,
RIFORMARE o RIPROGETTARE IL SISTEMA “REGIONE – AUTONOMIE LOCALI”?
Anche se la legge non è
ancora a regime, appare evidente che qualcosa bisognerà fare
se non si vuole completare l’azione congiunta di decadimento del
territorio (per abbandono) e delle città (per eccessivo e
scadente accrescimento): la gente si sposta dove si concentrano
attenzioni e soldi!
Quale che sia la portata dell’intervento
correttivo, è auspicabile che:
- si tenga in maggiore considerazione la complessa realtà della Regione;
- si ottemperi al dettato costituzionale che pone tutti i cittadini sullo stesso piano;
- si ricordi che le istituzioni devono essere equiordinate;
- si definiscano compiutamente, qualificandoli e quantificandoli, i bisogni e le esigenze da soddisfare, i requisiti da rispettare, le finalità da raggiungere (non semplici linee guida);
- si studino a fondo le articolazioni delle autonomie locali europee e le loro evoluzioni;
- si scelga il progetto che effettivamente soddisfa più e meglio tutti i requisiti del punto 4.;
- prima dell’approvazione, si simulino e verifichino, quantificandoli, gli effetti della legge.
UBALDO MUZZATTI
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Il documento che riceviamo e pubblichiamo, è una sintesi dell’intervento di Ubaldo Muzzatti, esperto di
organizzazione, al convegno:
“PORDENONE E IL FRIULI OCCIDENTALE DOPO LA PROVINCIA:
COESIONE O MARGINALITA’”
Tenutosi a Pordenone il 28/11/2015 a cura dell’associazione
Identità e Innovazione
Relatori: i professori dell’Università di Udine: avv. Longo,
avv. Cevolin, Strassoldo; il consigliere regionale De Anna