mercoledì 30 luglio 2014

REGIONE - RIFORMA ENTI LOCALI: E' NECESSARIA UN'ASSEMBLEA DEGLI ATO FRIULANI !


REGIONE
 
RIFORMA ENTI LOCALI
 


LA PROPOSTA

DEL “COMITATO PER L'AUTONOMIA

E IL RILANCIO DEL FRIULI”:
 

"UN'ASSEMBLEA

DEGLI ATO FRIULANI"


Da una intervista al dott. Paolo Fontanelli, Presidente del “Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli, pubblicata dal settimanale dell'Arcidiocesi di Udine LA VITA CATTOLICA  giovedì 17 luglio 2014 – pagina 5, all'interno di un un lungo "Servizio Speciale" di due pagine a firma di Stefano Damiani, dal significativo Titolo “IL FRIULI VA IN 16 PEZZI – I pericoli della riforma delle autonomie locali”.

Questo l'articolo con l'intervista
 

Se la Regione vuole proprio abolire le Province, sostituendole con 17 Ato, è necessario però almeno costituire una Assemblea  degli ambiti che fanno capo al Friuli, con il potere di formulare pareri obbligatori sulle leggi che riguardano il Friuli, a partire dalla distribuzione delle risorse economiche.

Questo il succo della proposta formulata dal Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli, di modifica del disegno di legge di Riforma delle autonomie locali della regione, e presentata nei giorni scorsi sia al Presidente della Provincia di Udine, Pietro Fontanini, che al sindaco del capoluogo friulano Furio Honsell. (…)

Il comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli - afferma Fontanelli - continua a ritenere sbagliata la cancellazione delle Province. Già a suo tempo, avevamo proposto la costituzione di una assemblea delle Province del Friuli, ciò per equilibrare un centralismo regionale e triestino sempre più forte. Nel momento in cui si calcellano le Province, resta il problema che questi ambiti territoriale ottimali, che dovrebbero raggruppare i vari comuni, non possono presentarsi autonomamente nei confronti di una Regione ancora più forte e centralista e dovranno in qualche modo coordinarsi. La nostra proposta e, quindi, che si pensi ad una assemblea degli Ato del Friuli. Attualmente esiste e funziona il Cal (Consiglio delle autonomie locali), luogo di valutazione delle leggi regionali che riguardano gli enti locali.  Esso, però, ha pochissimi poteri. Ecco allora nostra proposta:
che quest'assemblea degli Ambiti ottimali del Friuli ottenga dalla Regione, per legge, un qualche potere di valutazione rispetto alle leggi regionali che andranno ad influire sull'area friulana. Su questo progetto abbiamo sentito sia il sindaco Honsell che il Presidente  Fontanini i quali hanno ritenuto corretta l'impostazione, concordando sul rischio che con la riforma gli enti locali vengano privati di una parte di autonomia.
 
DOMANDAQuali competenze  dovrebbe avere quest'assemblea? 
 
RISPOSTA - "Innanzitutto dovrebbe poter dire la sua sulla ripartizione delle risorse sul territorio. Oggi noi assistiamo ad una distribuzione che secondo noi non tiene conto delle esigenze di tutto il territorio. Nello specifico quest'assemblea dovrebbe intervenire su bilancio, politiche culturali, gestione del territorio, pianificazione, viabilità, aspetti che ora i sindaci stanno gestendo e che con la riforma rischiamo di veder trasferiti definitivamente alla Regione. Servono progetti specifici per il Friuli. Pensiamo. ad esempio, alla viabilità. Ci sono assi viari assolutamente sottodimensionati rispetto alla quantità di traffico e richiedono un impegno immediato da parte della Regione, che non sta invece vedendo o sembra non accorgersi di questi problemi".

DOMANDA L'assemblea degli Ato del Friuli che proponete dovrebbe avere compiti anche decisionali o solo di valutazione?
 
RISPOSTA -  "No, non decisionali, perché la parte legislativa ovviamente deve restare in capo al Consiglio regionale. Però dei pareri vincolanti, quelli sì l'assemblea dovrebbe darli. La cosa più importante però, è il fare un "passo politico": bisogna che il Friuli si renda conto che deve costruire un proprio coordinamento nel momento in cui gli enti che lo rappresentano, cioè le Province, vengono cancellati. Il Friuli deve cioè ritrovarsi intorno a qualcosa. 

DOMANDA - Chiedete altre modifiche alla legge? 

RISPOSTA - " Il piano A sarebbe evitare la cancellazione delle Province, che a nostro avviso, come già detto, è una sciocchezza. Se la Regione invece vuole andare avanti ugualmente in questa direzione, il piano B che proponiamo è l'assemblea degli Ato, che in qualche modo supplisca alla mancanza di rappresentanza dell'area friulana". 
 
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sabato 19 luglio 2014

PRIMA GUERRA MONDIALE - LE NOTE STONATE DI REDIPUGLIA - di Roberto Pensa


 

PRIMA GUERRA MONDIALE
1914 - 1918
 
LE NOTE STONATE
DI REDIPUGLIA 
di
Roberto Pensa

 
 
Editoriale pubblicato sul settimanale dell'Arcidiocesi di Udine, LA VITA CATTOLICA, il 10 luglio 2014

"(…) È riemersa, in questa occasione, con tutta la sua forza, quella deprecabile tendenza italica alla superficialità e alla totale mancanza di lettura critica delle pagine più difficili e meno onorevoli della nostra storia.
Ma se vogliamo che il centenario della Grande Guerra non anneghi totalmente nella retorica e sia veramente un passo importante verso l’affermarsi di una memoria condivisa tra i popoli europei che si fronteggiarono nell’immane conflitto, occorre fare qualche passo in più.
Innanzitutto non c’è riconciliazione senza pentimento. I 100 mila morti di Redipuglia non sono le vittime di una ineluttabile catastrofe naturale.

Sono il risultato di processi politici, economici e sociali con i quali i governi dell’epoca condussero l’Europa oltre il baratro della guerra. Se, da ogni angolazione la si guardi, la prima guerra mondiale era e rimane una «inutile strage», quindi immotivata e insensata, e non una «vittoria» (o una sconfitta per altri Paesi) da celebrare, forse per primi gli Stati nazionali eredi dei protagonisti della Grande Guerra dovrebbero approfittare di questo centenario per chiedere perdono ai caduti militari e civili, i propri e anche quelli dei «nemici». Di questo, però, non vi è traccia. (...)
Continueremo ora fino al 2018 con rievocazioni «politically correct», infarcite di generici inviti alla pace, che non aiutano ad andare più a fondo alla radice di quella tragedia? (...)

Ben venga il Concerto di Redipuglia, ma solo se lo intendiamo come «incipit» inaugurale di un percorso ben più lungo e accidentato di autocoscienza storica del popolo italiano e del popolo friulano."
Roberto Pensa

LEGGI TUTTO L'EDITORIALE




15.07.2014 - L’aspetto musicale non è affatto in discussione. Nessuna critica per la sublime direzione del Maestro Riccardo Muti e per i 400 validissimi musicisti dell’Orchestra Luigi Cherubini che, insieme ai cori del Friuli-Venezia Giulia, del Verdi di Trieste e di Lubiana, Zagabria e Budapest, domenica 6 luglio sono stati protagonisti della splendida esecuzione del «Requiem» di Giuseppe Verdi sull’inedito e dolente palcoscenico del Sacrario di Redipuglia.

Niente da dire, ovviamente, anche sullo spirito di pace che ha permeato l’iniziativa, con la presenza al concerto dei presidenti delle repubbliche di Croazia, Italia e Slovenia, insieme alla presidente confederale austriaca.

Dove sono quindi le note stonate? Il Maestro Muti, presentando l’iniziativa, aveva sottolineato con arguzia il primato della musica sul dibattito storico: «Affidandoci alla sola razionalità – aveva evidenziato – l’uomo non ce la fa ad arrivare alla pace». Eppure, siccome attorno al concerto di parole ne sono state scritte e dette tante – dai mass media ma anche dai politici –, val la pena di fare qualche considerazione.
È riemersa, in questa occasione, con tutta la sua forza, quella deprecabile tendenza italica alla superficialità e alla totale mancanza di lettura critica delle pagine più difficili e meno onorevoli della nostra storia.
Ma se vogliamo che il centenario della Grande Guerra non anneghi totalmente nella retorica e sia veramente un passo importante verso l’affermarsi di una memoria condivisa tra i popoli europei che si fronteggiarono nell’immane conflitto, occorre fare qualche passo in più.
Innanzitutto non c’è riconciliazione senza pentimento.

I 100 mila morti di Redipuglia non sono le vittime di una ineluttabile catastrofe naturale. Sono il risultato di processi politici, economici e sociali con i quali i governi dell’epoca condussero l’Europa oltre il baratro della guerra. Se, da ogni angolazione la si guardi, la prima guerra mondiale era e rimane una «inutile strage», quindi immotivata e insensata, e non una «vittoria» (o una sconfitta per altri Paesi) da celebrare, forse per primi gli Stati nazionali eredi dei protagonisti della Grande Guerra dovrebbero approfittare di questo centenario per chiedere perdono ai caduti militari e civili, i propri e anche quelli dei «nemici». Di questo, però, non vi è traccia. Ma non c’è vera riconciliazione che non passi per una richiesta e una esigenza di perdono. Su questo tema, naturalmente, ci attendiamo un grande contributo da Papa Francesco, che sarà «pellegrino» a Redipuglia il 13 settembre prossimo.
Una seconda riflessione ce la offre il luogo dove si è svolto il concerto per la pace. In tanti hanno sottolineato che Redipuglia accoglie ben 100 mila caduti ed è uno dei più grandi sacrari al mondo. Una descrizione, questa, che si adatta bene al «Cimitero degli Invitti», quello originario inaugurato nel 1923 sul Colle di S. Elia, che si trova giusto di fronte all’attuale monumento. Il sacrario di Redipuglia di oggi, invece, è molto di più e molto altro: inaugurato il 18 settembre 1938, è una monumentale autocelebrazione del regime fascista e delle mire nazionalistiche ed imperialistiche dell’Italia, ideato e realizzato, sotto la supervisione dello stesso Mussolini, dall’architetto Giovanni Greppi e dallo scultore Giannino Castiglioni, senza badare a spese (alla fine il computo delle opere raggiunse la cifra esorbitante dei 45 milioni dell’epoca, rispetto ai 20 preventivati). Nella disposizione architettonica non vi è nulla di casuale ma, come bene ha scritto lo storico tedesco Oliver Janz, Redipuglia «incarnava come nessun altro (sacrario) la concezione fascista della guerra e della nazione: era una gigantesca apoteosi dell’uguaglianza, dell’anonimità e della disciplina militare oltre la morte, un trionfo – scolpito nella pietra – dell’istanza collettiva sull’identità (e sulla coscienza, potremmo aggiungere da un punto di vista cristiano... Ndr) individuale». La stessa scritta «Presente», ripetuta ossessivamente sui gradoni, fa riferimento al «rito dell’appello» degli squadristi fascisti. Non parliamo più solo di Grande Guerra, quindi, ma siamo già alla vigilia di quel delirio imperialista che porterà il regime mussoliniano a gettarsi nel secondo conflitto mondiale a fianco di Hitler; siamo nel pieno del vortice dell’italianizzazione forzata degli italiani «alloglotti», cioè parlanti sloveno e friulano. Lo stesso toponimo Redipuglia è significativo a questo riguardo, essendo l’italianizzazione bizzarra e fantasiosa dell’originaria denominazione slovena di Sredi Polje.
Certo, a Redipuglia riposano 100 mila italiani inghiottiti senza colpa dall’«inutile strage» e questo giustifica ampiamente l’iniziativa del Maestro Muti, al di là delle strumentalizzazioni postume operate dal fascismo. Ma è accettabile che nessuno proponga all’opinione pubblica italiana anche una lettura diversa, sicuramente meno agile e più impegnativa, ma più vera e onesta, che non schivi sempre a pié pari le pagine più nere della storia nazionale? E ciò che è inaccettabile per l’Italia nel suo complesso, è addirittura scandaloso per il Friuli e la Venezia Giulia, in quanto nel conflitto del 1915-18 troviamo il concentrato di tutti i veleni che hanno ammorbato l’intero Novecento nelle nostre terre di confine.
Continueremo ora fino al 2018 con rievocazioni «politically correct», infarcite di generici inviti alla pace, che non aiutano ad andare più a fondo alla radice di quella tragedia? Il nostro Friuli, diviso nel 1915 tra i due schieramenti, potrà finalmente fare un passo verso una memoria condivisa, onesta e scevra dalle eredità dei contrapposti nazionalismi, tra chi stava da una parte o dall’altra del Regio confine, tra chi parlava solo italiano o aveva un’altra lingua madre rispetto a quella imposta dal Regno dei Savoia? Ben venga il Concerto di Redipuglia, ma solo se lo intendiamo come «incipit» inaugurale di un percorso ben più lungo e accidentato di autocoscienza storica del popolo italiano e del popolo friulano.
Roberto Pensa

(Direttore Responsabile del settimanale LA VITA CATTOLICA)

martedì 15 luglio 2014

REGIONE - ECCO PERCHE' PERDEREMO LA SPECIALITA'!


REGIONE

ECCO PERCHE' PERDEREMO

LA SPECIALITA'

GRAZIE PRESIDENTE

DEBORA SERRACCHIANI!

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dal sito internet

del settimanale

LA VITA CATTOLICA


Serracchiani: “ Specialità del Friuli-V.G. utile a tutto il Paese”




15.07.2014 - Le Regioni ad autonomia speciale sono necessarie allo Stato. Così, questa mattina, alla nota trasmissione nazionale di Radio Rai 1 «Radio anch'io» la presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani, protagonista di un'ampia intervista a tutto campo - prevalentemente in veste di vicesegretaria del Partito Democratico - che oltre ai temi politici generali ha anche toccato il tema della specialità, (….)
(…) Il punto della specialità delle regioni è che in questo momento è indispensabile al Paese. Il Friuli-Venezia Giulia infatti gestisce in proprio, solamente col proprio bilancio senza alcun fondo statale, tutto il servizio sanitario regionale ed il trasporto pubblico locale. Se consegnassimo a Roma le chiavi di questi due servizi, questo significherebbe aumentare il bilancio dello Stato di qualche miliardo di euro, ma sopratutto significherebbe smontare in questo momento due situazioni in cui la Regione è estremamente virtuosa, perché non abbiamo aziende in rosso ed abbiamo un servizio sanitario di grande efficienza, rispetto al quale, però, proprio perché siamo speciali e vogliamo essere utili al nostro Paese, stiamo facendo per primi la riqualificazione della spesa.
Quindi io penso che in realtà il tema vero sia creare le condizioni perché tutti i territori abbiano condizioni di specialità (…)
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COMMENTO
1) Ma la Specialità di ben quattro regioni a Statuto Speciale su cinque (ossia tutte esclusa la regione Sicilia) , non è legata alla presenza massiccia di minoranze linguistiche? O sono tutte speciali perché "la loro specialità è utile al Paese"?   O per l'Avv. Serracchiani le minoranze linguistiche sono solo una realtà folcloristica o al massimo culturale? Mai sentito parlare di tutela costituzionale dei diritti linguistici? Mai sentito parlare dell'art. 3 e 6 della Costituzione Italiana?
Mai sentito parlare dell'art. 3 dello Statuto speciale di autonomia della regione Friuli - Venezia Giulia?
Titolo I - Art. 3
Nella Regione è riconosciuta parità di diritti e di trattamento a tutti i cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, con la salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche e culturali.

2) “io penso che in realtà il tema vero sia creare le condizioni perché tutti i territori abbiano condizioni di specialità”, significa forse che la nostra autonomia speciale sarà cancellata nel momento in cui tutte le regioni saranno speciali, anche se prive di una massiccia presenza di minoranze linguistiche che necessitano di autonomia speciale a garanzia della tutela dei loro diritti linguistici?
Curiosamente però, non possiamo non evidenziare che quando si tratta di difendere la Sede RAI di Trieste o la sede regionale dell'Istituto Scolastico regionale, Giunta, Consiglio e Presidente Serracchiani,  non esitano a invocare la lingua friulana  e le minoranze linguistiche tra le ragioni per mantenere l’autonomia....
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lunedì 14 luglio 2014

FRIULI - RIFORMA SANITARIA: C'ERA UNA VOLTA L'ASS. NR. 6 FRIULI OCCIDENTALE!







 
FRIULI

RIFORMA SANITARIA
 
C'era una volta

l'Ass. nr. 6

Friuli Occidentale!



C'era una volta l'Ass. nr. 6 “Friuli Occidentale”! E ora, nella riforma sanitaria presentata in questi giorni all'opinione pubblica dalla Giunta regionale, questo nome corretto sia sul piano geografico che storico, nonchè utilizzato da decenni, lo ritroviamo modificato in un improbabile e improponibile Ass. nr. 6 “Pordenonese”.

Ossia, con grande probabilità, l'attuale classe dirigente della città di Pordenone - Bolzanello in primis - ha approfittato della attuale riforma regionale della sanità per far diventare “Pordenonese” anche l'Ass. nr. 6. Non bastavano infatti “le colline pordenonesi”, “la montagna pordenonese”, “le Dolomiti Friulane del pordenonese” (sic!), ecc. ecc, mancava ancora l'Ass. nr. 6 “Pordenonese” a completare il quadro di totale stravolgimento storico, geografico, e identitario, della attuale Provincia di Pordenone.

Che il neologismo “pordenonese” riferito all'intera attuale provincia di Pordenone sia una assurdità è del tutto evidente anche perchè la città di Pordenone è diventata capoluogo di provincia solo nel 1968 e da secoli tutto il territorio a destra del fiume Tagliamento, fino al confine con il fiume Livenza, è universalmente riconosciuto parte del Friuli.

Questo neologismo è stato chiaramente creato e utilizzato solo per dare visibilità mediatica a Pordenone, accreditando inoltre come suo “retroterra naturale” (sic!) l'intero territorio provinciale e cancellando contemporaneamente dalla storia e dalla geografia il corretto nome di “Friuli occidentale”.

Maniago, Spilimbergo, le Dolomiti friulane patrimonio dell'umanità, ma anche San Vito al Tagliamento, Sacile, Casarsa, e via via tutti i Comuni che compongono la provincia di Pordenone, sono tutti “retroterra” di Pordenone?

E quanti sono i Comuni della Provincia di Pordenone che si sono dichiarati friulanofoni ai sensi della L. 482/99? Tanti, tantissimi. Anche loro “hinterland” di Pordenone centro?

Che parte della classe dirigente di Pordenone città, formatasi negli anni dello sviluppo industriale della Zanussi e per la gran parte composta da figli e nipoti di immigrati dalla regione Veneto, consideri con ostilità tutto quanto ricorda il Friuli e i friulani è cosa nota.

Ma il troppo stroppia, eccome!
 
E l'Ass. 6 Friuli Occidentale non deve mutare nome! Ciò per rispetto della storia, della geografia e dei cittadini di tutto il territorio regionale che sta alla destra del fiume Tagliamento, cittadini che non sono sicuramente “pordenonesi”.

24 giugno 2014

Roberta Michieli – Giancarlo Castellarin
 
Remo Brunetti

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La lettera è stata pubblicata giovedì 26 giugno sul quotidiano IL GAZZETTINO, venerdì 27 giugno sul settimanale IL FRIULI, sabato 28 giugno sul quotidiano IL MESSAGGERO VENETO.


venerdì 11 luglio 2014

UNIVERSITA': LE REGIONE DIFENDA L'ESISTENTE SENZA DISPERDERE FINANZIAMENTI PREZIOSI.



UNIVERSITA'

LA REGIONE DIFENDA L'ESISTENTE
SENZA DISPERDERE
FINANZIAMENTI PREZIOSI

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COMUNICATO STAMPA
del
COMITATO PER L'AUTONOMIA E
IL RILANCIO DEL FRIULI



Allo scrivente Comitato è giunta notizia che la Regione vuole intervenire nel polo universitario di Pordenone con fondi regionali importanti (si parla di minimo 1,5 milioni di euro all'anno già alla partenza) da investire in un nuovo dipartimento. L’iniziativa depotenzierebbe nel contempo in maniera sensibile le due università di Udine e Trieste sul piano sia del numero e importanza dei corsi universitari, che del numero dei docenti disponibili già carente, (minimo 40 docenti delle Università di Udine e Trieste ci risulta dovrebbero essere spostati nel Polo universitario di Pordenone).
 
Se il desiderio della città di Pordenone è legittimo, il Comitato si chiede se, in un momento di tagli finanziari pesanti alle Università da parte del Governo centrale che oltre tutto risulta non apprezzare le sedi distaccate tanto da pensare di eliminarle, non sia preferibile difendere e potenziare l'esistente nei due poli centrali di Udine e Trieste.

Il Comitato ricorda inoltre che c'è una legge regionale approvata circa 3 anni fa, che prevede la perequazione finanziaria tra l'Università di Trieste e di Udine, essendo quest'ultima notoriamente sotto-finanziata da un Governo centrale che eroga i finanziamenti statali ancora in base al criterio del costo storico. Tale legge regionale ancora non è attuata perchè priva di Regolamento.

Inoltre, come segnalato dal MIUR stesso, in Italia le immatricolazioni all'università sono in costante calo e dal 2003 le matricole sono diminuite di ben 78mila unità.

Lo stesso Consiglio Universitario Nazionale (CUN) l'anno scorso ha segnalato la perdita di attrazione dell'università: se nel 2003-2004 in Italia c'erano ben 338mila matricole, nel 2012-2013 il loro numero era calato a ben 260mila.

Le cause di questo pesante calo di immatricolazioni a fronte di un aumento costante di diplomati sono da iscrivere a una crisi economica che sta mettendo in difficoltà moltissime famiglie italiane e il sempre più marcato decremento dei fondi statali e regionali destinati alle borse di studio. E’ noto che gli studi universitari, non sono più considerati dai ragazzi e dalle famiglie importanti per la ricerca del posto di lavoro.

In questo preoccupante quadro sia regionale che nazionale, non è preferibile tutelare l'esistente finanziando adeguatamente le Università di Udine e Trieste nelle loro sedi centrali, piuttosto che cercare “avventure” nei poli distaccati? E poi perchè solo a Pordenone? I poli di Gorizia, Gemona o Cormons non hanno forse diritto a pari opportunità?

In conclusione, in un momento di crisi economica e politica così pesante, il Comitato ritiene sia prioritario tutelare l'esistente e non disperdere preziosi fondi regionali e preziose risorse scientifiche in intraprese rimandabili a “tempi migliori”.

10 luglio 2014

Per il "Comitato per l’Autonomia
e il Rilancio del Friuli"
 
il portavoce
Giancarlo Castellarin

giovedì 10 luglio 2014

ALISCAFI VELOCI PAGATI DALLA REGIONE FRIULI PER PORTARE I CROCIERISTI DA TRIESTE A VENEZIA!


ALISCAFI VELOCI

PAGATI DALLA REGIONE FRIULI

PER PORTARE I CROCIERISTI

DA TRIESTE A VENEZIA !

 
AQUILEIA, CIVIDALE,
UDINE CON IL TIEPOLO E LE SUE ROGGE,
SPILIMBERGO, SACILE,  LIGNANO E GRADO,
TUTTO IL TURISMO REGIONALE

SENTITAMENTE RINGRAZIANO
LA PRESIDENTE  DELLA "REGIONE VENETO"
DEBORA SERRACCHIANI!


Da “IL PICCOLO” (Ts)
 

(…) Proprio nei giorni scorsi Costa e Regione Friuli Venezia Giulia hanno siglato un protocollo d’intesa per lo sviluppo delle crociere a Trieste, che la compagnia vuole anche come nuova porta d’accesso alla Serenissima grazie a un potenziamento dei collegamenti ferroviari e allo studio di collegamenti con aliscafi veloci su cui la Regione, come ha detto la presidente Debora Serracchiani alla sigla del documento, si è impegnata a costituire un tavolo tecnico.

(…) Mediterranea - come si fa notare da Costa - non fa scalo quest’anno a Venezia; (…).

Mentre a Trieste Mediterranea, giungendo alle 9 del venerdì e ripartendo alle 19 del giorno successivo, darà modo ai crocieristi di visitare nel frattempo Venezia.
 
Trieste porta d’accesso a San Marco, appunto, con la fiducia in collegamenti più rapidi. Anche se ovviamente Trevisanato, dal suo punto di vista, esprime «perplessità su Trieste porta per Venezia: il “brand” forte resta appunto il capoluogo veneto, e Trieste come home port ha delle lacune, per non parlare dei collegamenti. Vogliamo proprio sballottare i turisti tra treni e pullman? Meglio pensare agli aliscafi veloci, è un progetto su cui avevamo puntato già qualche anno fa». E che non si era concretizzato, anche se si tratta di una soluzione che - come detto da Serracchiani alla firma del protocollo con Costa - verrà ora rimessa sul tavolo."
 
di Paola Bolis
Trieste, 9 luglio 2014

lunedì 7 luglio 2014

LA REPUBBLICA ITALIANA COME TUTELA I DIRITTI LINGUISTICI DELLA MINORANZA FRIULANOFONA?


MINORANZE LINGUISTICHE

LA REPUBBLICA ITALIANA
COME TUTELA
I DIRITTI LINGUISTICI
DELLA MINORANZA FRIULANOFONA?


CROAZIA E ITALIA
A CONFRONTO
 

Da “IL PICCOLO” di Trieste

Zagabria mette a rischio le scuole italiane

Numero minimo di 7 alunni per classe esteso anche alle minoranze. Radin: «Via il decreto, altrimenti usciamo dal governo

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DOMANDE
DELLA REDAZIONE DEL BLOG

1) Scuola: in Italia qual è il numero minimo di allievi per classe nella scuola dell'obbligo, per poter derogare – ai sensi della legge 482/99 -  alla normativa ordinaria nei Comuni che si sono dichiarati con presenza di minoranze linguistiche riconosciute ?

Ricordiamo male o sono "10 allievi" il numero minimo previsto dalla deroga a favore delle minoranze linguistiche? Il caso del Comune di Medea (Gorizia) non vi ricorda  nulla?



2) Non è forse vero che la nostra Regione è stata obbligata a richiedere l’intervento della Corte Costituzionale per riportare nella Repubblica italiana la legalità costituzionale (minoranze linguistiche parlanti una "LINGUA MADRE STRANIERA" - sic!) cancellata dal Governo Monti e dal Parlamento italiano?


 
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CONCLUSIONE


Da appartenenti alla minoranza linguistica friulanofona, ci auguriamo che anche la Repubblica Italiana adotti la normativa croata ed autorizzi la formazione di classi con soli 7 allievi nei Comuni ove vivono minoranze linguistiche riconosciute ai sensi della L. 482/99.

Per ora non solo non è così, ma il diritto dei Friulani ad essere alfabetizzati a scuola anche nella loro lingua è – nei fatti - ancora sistematicamente VIOLATO nelle scuole dei Comuni Friulanofoni e i finanziamenti regionali per la tutela della lingua friulana sono talmenti miserevoli da risultare offensivi (solo 2,4 euro a testa) !

http://comitat-friul.blogspot.it/2014/07/conferenza-stampa-in-regione-serve-una.html

domenica 6 luglio 2014

C'è "qualcosa" di triestino che non sia di "interesse regionale"?




C'E' "QUALCOSA" DI TRIESTINO

CHE NON SIA DI

"INTERESSE REGIONALE"?


Dal quotidiano on line

IL QUOTIDIANOFVG

di sabato 5 luglio 2014


http://www.ilquotidianofvg.it/
 

TURISMO. SIGLATA IERI UN’INTESA CON LA COMPAGNIA

Più crociere da Trieste accordo con la Costa

Si rafforza la collaborazione tra la Regione Fvg e Costa Crociere per incrementare la presenza delle navi della compagnia a Trieste. La presidente Debora Serracchiani ha firmato ieri un Protocollo d'intesa con l'amministratore delegato di Costa Crociere Michael Thamm.

Il documento definisce una serie di reciproci impegni, che per il Fvg significa soprattutto puntare sul miglioramento dei collegamenti ferroviari in modo da favorire il Porto di Trieste quale meta ideale per il turismo crocieristico.

«Con questo Accordo - ha detto la presidente - confermiamo il nostro impegno per favorire lo sviluppo della presenza di Costa Crociere a Trieste, che consideriamo strategica per la promozione turistica dell'intero territorio regionale. Le toccate previste dalle navi rafforzano il ruolo di Trieste e del Fvg come punto di attrazione dei flussi turistici dai Paesi dell'Est europeo. Ci siamo impegnati - ha aggiunto Serracchiani - a costituire un Tavolo tecnico per potenziare i collegamenti ferroviari e studiare la fattibilità di collegamenti con aliscafi veloci».

In prospettiva, il capoluogo regionale «può diventare davvero la porta per Venezia» hanno condiviso Serracchiani e Thamm.
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COMMENTO

DELLA REDAZIONE DEL BLOG


Che l'attività crocieristica per Trieste sia importante crediamo non ci siano dubbi, ma non ci sono neppure dubbi sul fatto che l'incremento di questa attività a Trieste non comporterà benefici al turismo del restante territorio regionale.

E' noto infatti che i crocieristi arrivano e si mettono subito in fila per l'imbarco, a Trieste come in qualunque altro porto punto di partenza/arrivo di navi da crociera. E quando sbarcano di norma raggiungono quasi subito il mezzo con cui fanno poi ritorno a casa. E' questa una realtà evidentemente nota solo a chi ama la vacanza crocieristica, ma non ai politici di casa nostra.
  
Inoltre l'affermazione che sia necessario incrementare i collegamenti ferroviari per Trieste per implementare il turismo crocieristico di Trieste, non può che lasciare sbalorditi e sbigottiti. I crocieristi di solito raggiungono il porto  in auto o con il pullman quando il viaggio è organizzato da una agenzia viaggi, non certo in treno. E non è casuale che a Livorno, come a Venezia, due città sede di intenso trasporto marittimo passeggeri,  ci siano degli ampi parcheggi al servizio dei crocieristi con bus navetta fino al punto di partenza/arrivo della nave di crociera.  

E  le gite in terra organizzate dalle navi da crociera di passaggio e in sosta per qualche ora a Trieste,  considerati i dati turistici della principale città archeologica regionale, Aquileia, non pare abbiano implementato il turismo regionale se non in maniera più che risibile....

Non è ora di smetterla di considerare di "interesse regionale" tutto ciò che è di "interesse triestino"?

E cosa significa l'affermazione che "il capoluogo regionale «può diventare davvero la porta per Venezia»? C'è forse un accordo Regione-Costa per cui dal porto di Trieste, ignorando l'intera regione Friuli - Venezia Giulia, si porteranno in gita i crocieristi a Venezia?  
 

venerdì 4 luglio 2014

IL PARCO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO DI UDINE NON E' UN OPTIONAL E LA SUA AUTONOMIA VA DIFESA!



Parco Scientifico e Tecnologico

di Udine
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Il Parco scientifico
non è un optional
e la sua autonomia va difesa
Mercoledì 2 Luglio 2014,
Il Gazzettino (Ud)
 
Rubrica
La mia Udine 
 
di Roberto Meroi
 
Alzino la mano quanti conoscono il Parco Scientifico e Tecnologico di Udine? Diciamo che tutto è partito nel 1999 allorquando, su iniziativa dell'Università degli studi di Udine, dell'Associazione degli Industriali di Udine, del Centro Ricerche Fiat, dell'Agemont, dell'Unione degli Industriali di Pordenone e della Fondazione Crup, fu istituito il Consorzio Friuli Innovazione. Lo scopo era quello di favorire il collegamento tra il sistema produttivo delle province di Udine, Pordenone e Gorizia e le strutture di ricerca e didattica dell'Università di Udine, del Centro Ricerche Fiat e di altri enti di ricerca pubblici e privati a livello regionale, nazionale e internazionale. Per questo nel 2004, il Consorzio Friuli Innovazione, ha avviato il Parco Scientifico e Tecnologico localizzato nella Zona Industriale Udinese a sud della città, con inizialmente oltre 48 mila mq di estensione, di cui 44 mila di spazio verde. Il Parco di via Jacopo Linussio, intitolato all'imprenditore friulano Luigi Danieli, è partito disponendo di una struttura funzionale e modulare costituita da una serie di edifici simmetrici disposti a doppio pettine lungo un corpo centrale di raccordo. Quindi, uffici e laboratori immersi nella natura, architetture in equilibrio con l'ambiente, sale per riunioni e convegni, spazi dedicati ad attività formative e culturali. Altra tappa fondamentale è stato l'avvio di Techno Seed, il primo incubatore d'impresa in regione, specializzato nella creazione di aziende ad alto contenuto tecnologico. L'anno scorso sono stati inaugurati nuovi edifici che si sono aggiunti a quelli già esistenti. Dal 2006 il Parco ospita l'Istituto di genomica applicata che studia, tra le altre cose, il Dna delle piante con risultati di livello mondiale per la vite e il pesco.
Di rilievo anche le attività del laboratorio di metallurgica e tecnologia delle superfici e dei materiali avanzati.
Questo non deve far pensare ad un luogo staccato dalla realtà, ma va considerato come un fiore all'occhiello per Udine la cui salvaguardia e autonomia devono essere parole d'ordine per tutti!

Roberto Meroi

martedì 1 luglio 2014

CONFERENZA STAMPA: IN REGIONE SERVE UNA RIVOLUZIONE CULTURALE PER LA LINGUA FRIULANA




L’associazionismo
militante friulano unito:

in Regione serve
una rivoluzione culturale
per la lingua friulana


VINARS 27 DI JUGN

CONFERENCE STAMPE

Palaç de Regjon
Udin

dal sît del Comitât 482

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E je ore di dâsi une dreçade!

 
Urge un rilancio

delle politiche regionali

per la lingua friulana

 
Trascorso ormai un anno dall’insediamento della nuova Giunta regionale guidata da Debora Serracchiani e alla vigilia della discussione in Consiglio regionale sulle variazioni di bilancio – uno dei momenti cardine per valutare concretamente gli indirizzi e le priorità dell’Amministrazione regionale – riteniamo utile, ancor prima che doverosa, un’analisi sulle politiche per la lingua friulana attuate fino a oggi dall’esecutivo regionale.

Politiche linguistiche: un passo avanti e cinque di lato

Per quanto sia giusto riconoscere che, relativamente alle politiche linguistiche per il friulano, l’attuale Amministrazione regionale ha ricevuto una difficile eredità dalla Giunta precedente, a oltre un anno di distanza dal suo insediamento, riteniamo che la maggior parte delle azioni intraprese vadano attribuite tanto in positivo, quanto in negativo alle scelte operate liberamente del governo regionale in carica.

Un passo avanti nel dare attuazione alla legge regionale 29/2007 è stato fatto in aprile grazie all’approvazione da parte della Giunta del regolamento per la certificazione linguistica, strumento indispensabile per garantire la qualità dei servizi linguistici offerti dal personale in servizio nelle amministrazioni pubbliche e nelle scuole. Vi sono però altri strumenti previsti dalla legge che rimangono ancora lettera morta.

Il più importante è senza ombra di dubbio il Piano Generale di Politica Linguistica, documento di programmazione quinquennale che fissa le priorità d’intervento per lo sviluppo e la promozione della lingua friulana.

Durante la precedente legislatura non era stato predisposto alcun Piano, mentre l’attuale Giunta, dopo aver sollecitato una revisione della bozza proposta dalla precedente dirigenza dell’Agjenzie Regjonâl pe Lenghe Furlane, da oltre un mese ha ricevuto il nuovo documento elaborato dall’ARLeF, ma non sembra avere fretta di approvarlo. La mancanza di tale documento blocca inoltre la predisposizione dei Piani con le priorità d’intervento per raggiungere gli obiettivi annuali e dei Piani Speciali di Politica Linguistica quinquennali che dovrebbero essere sviluppati dai singoli enti e dai concessionari di servizi pubblici. Ciò significa che per il momento la programmazione delle politiche linguistiche per il friulano rimane bloccata.

Se una valutazione attenta del documento è doverosa, sarebbe estremamente grave se a bloccarlo non fosse questo scrupolo, ma – come alcune indiscrezioni suggeriscono – l’indisponibilità a garantirne la copertura finanziaria, tanto più quando si consideri il “pragmatismo” evidenziato dal Piano anche sul fronte degli investimenti: si parla infatti delle basi necessarie per una politica seria, non certo di “libro dei sogni”. In tal modo, inoltre, si frustrano anche i segnali di dinamismo mostrati in questi mesi dalla nuova dirigenza dell’ARLeF e si rischia di annullare, di conseguenza, i riflessi positivi che ne derivano per la stessa Giunta regionale.

L’attuale esecutivo prosegue inoltre la pessima abitudine inaugurata dalla Giunta Tondo di non presentare in Consiglio regionale la relazione annuale sui progressi nell’attuazione della legge 29/2007.

Per ora, infatti, non è trapelata alcuna informazione sulla relazione per il 2013 così da offrire il fondato sospetto che tale documento non sia nemmeno mai stato redatto.

Istruzione: il plurilinguismo che ci manca

Una realtà naturalmente multilingue come il Friuli - Venezia Giulia offre anche sul piano degli apprendimenti e degli insegnamenti linguistici un enorme vantaggio competitivo che fino ad ora è stato esplorato solo marginalmente e in forma sperimentale (approccio CLIL o uso veicolare delle lingue in materie non linguistiche) quando invece dovrebbe diventare il principio cardine di tutte le scuole della regione con una presenza curricolare delle nostre lingue. Si creerebbero così dei veri “cittadini europei”, coscienti della propria identità ma anche aperti alle diversità, facilitati nell’apprendimento di altre lingue.

La strada da percorrere dovrebbe quindi essere quella dell’acquisizione di riconoscimenti istituzionali, competenze e risorse adeguate per intraprendere tale percorso. In parole povere l’assunzione da parte della Regione di competenze primarie in tale ambito. Purtroppo, se escludiamo pochi accenni da parte di alcuni esponenti della maggioranza, non ci risulta che l’Amministrazione regionale intenda intraprendere tale percorso.

Un cambiamento così radicale non può certo sostenersi sull’insegnamento curricolare della lingua friulana nelle scuole dell’obbligo così come previsto dalla legge regionale 29/2007 la cui introduzione è stata avviata solamente con l’anno scolastico 2012-2013 e in maniera parziale considerato che per le scuole secondarie di primo grado si procede ancora con il precedente sistema “a progetto”. A rendere l’applicazione della legge alquanto problematica contribuiscono poi, per fare alcuni esempi, la mancanza di una formazione sistematica per gli insegnanti di/in friulano e il loro giusto riconoscimento professionale attraverso la creazione di un’apposita classe di concorso come accade per quanti insegnano altre lingue.

Per quanto riguarda la formazione, una funzione primaria dovrebbe spettare all’Università degli studi di Udine. In questi ultimi anni ci si trova purtroppo di fronte a due fenomeni convergenti che non contribuiscono certo allo sviluppo di tale funzione: da un lato la riduzione/azzeramento delle risorse attribuite all’ateneo friulano per la lingua, dall’altro il disinteresse sempre più marcato della dirigenza dell’Università di Udine nei confronti dei destini della lingua e delle funzioni che la sua stesse legge istitutiva le attribuiva in proposito.

È chiaro tuttavia che, in mancanza di nuove competenze e di risorse adeguate, la Regione può fare abbastanza poco in tale ambito. Può e dovrebbe però impegnarsi politicamente per muoversi in tale direzione.

Nel frattempo la Commissione per la valutazione dello stato di applicazione dell’insegnamento e dell’uso della lingua friulana nelle istituzioni scolastiche ha concluso la sua analisi sull’andamento dell’attuazione della 29/2007 nelle scuole e rivolto all’Amministrazione regionale una decina di raccomandazioni che non possiamo non condividere.

Si va dalla necessità di “opportune modifiche ed integrazioni al Regolamento” per l’insegnamento della lingua friulana alla richiesta di “svolgere una stabile attività di consulenza nei confronti delle scuole e degli insegnanti”, dal “mettere in atto un piano di formazione continua in entrata e in servizio quale sostegno al miglioramento dell’insegnamento del friulano” allo sviluppo e alla distribuzione “a tutti gli studenti di lingua friulana di testi scolastici in concordanza con i piani scolastici e con le nuove conoscenze pedagogico-didattiche”.

La risposta dell’esecutivo a queste proposte d’intervento, per quanto ne sappiamo, deve ancora arrivare.

I media in friulano: non omologati, non allineati e… penalizzati

In una società come la nostra, per la vitalità di una lingua è fondamentale la sua presenza normale e paritaria anche nei mezzi di comunicazione: televisione, radio, carta stampata, settore digitale. La presenza di media in lingua propria è anche garanzia di una maggiore attenzione per le notizie locali e un presidio importante di democrazia oltre che di occupazione e di pluralismo informativo. È fondamentale allora non solo mantenere, ma piuttosto rafforzare i media attivi in tale ambito partendo da quanti hanno dimostrato in questi anni di essere in grado di offrire con continuità produzioni di qualità.

Per quanto si è visto fino ad ora, la Giunta regionale non condivide affatto questa visione. Ne fanno fede le decisioni e gli atteggiamenti palesati in questo primo anno di attività. Per quanto riguarda la carta stampata l’unica costante in questi anni è stata la mancanza da parte della Regione di una strategia chiara di valorizzazione del friulano. Le risorse hanno subito percorsi altalenanti, anche se generalmente in discesa, e spesso senza quella continuità che è fondamentale per la buona riuscita di un mezzo di comunicazione. Ne sono testimoni le vicende di due realtà molto diverse tra di loro – il mensile La Patrie dal Friûl e il quindicinale Il Diari – ma non per questo meno emblematiche per capire quanto poco importino alla politica regionale le sorti del giornalismo scritto in lingua friulana.

Le politiche per il settore radiotelevisivo però sono ancor più rivelatrici di questo disinteresse, che fa a pugni tra l’altro con la levata di scudi più che compatta da parte della Giunta e del Consiglio regionale in difesa della sede regionale della RAI del Friuli – Venezia Giulia.

Se è vero che con la finanziaria 2014 sono stati reintrodotti dei fondi per il settore radiotelevisivo in lingua friulana, è altrettanto vero che la decisione di suddividere tali risorse per il 90% alle televisioni e per il 10% alle radio significa penalizzare proprio chi più e meglio utilizza il friulano nella propria programmazione. Una scelta che fa il paio con il primo atto di “politica linguistica” per il friulano attuato lo scorso anno dall’Amministrazione regionale e rappresentato da una modifica alla legge 29/2007 che ripropone i meccanismi fallimentari previsti per il settore televisivo dalla precedente legge regionale annullando il peso dei produttori indipendenti.

La “logica” di tali decisioni penalizza dunque proprio i mezzi di comunicazione che più e meglio hanno lavorato in questi anni con e per la lingua friulana.

Non si è tenuto conto della qualità del servizio offerto, né della continuità del lavoro fatto e nemmeno delle professionalità impegnate.

Per assumere queste decisioni non sono stati ascoltati quanti in questi anni, con o senza fondi, hanno mantenuto in vita i media in lingua friulana e, a quanto ci risulta, nemmeno l’ARLeF. Si tratta di scelte che mettono di fronte a due opzioni: o chi le ha fatte non conosce minimamente il settore su cui interviene oppure, se fatte con piena coscienza della situazione, vogliono penalizzare i mezzi di comunicazione in friulano che in questi anni hanno dimostrato di continuare a operare in maniera non omologata e non allineata.

Così, nel mentre quanti fanno quotidianamente “servizio pubblico” in friulano vengono messi in ginocchio, Giunta e Consiglio non esitano a invocare la lingua friulana tra le ragioni per mantenere l’autonomia di una sede regionale RAI in cui tg e gr fanno capo direttamente a Roma e da cui il friulano rimane bandito.

Amministrazioni locali, associazionismo e cultura: tra criticità e immobilismo

La recente delibera della Giunta regionale che interviene sull’assegnazione delle (scarsissime) risorse statali per il friulano attribuite dal Governo italiano al Friuli – Venezia Giulia propone purtroppo la stessa mancanza di analisi della qualità del servizio, della continuità del lavoro e delle professionalità impegnate già segnalata parlando dei media in friulano.

Si eliminano, infatti, tutte le risorse per la cartellonistica e per la comunicazione istituzionale in lingua friulana interrompendo così percorsi positivi avviati in questi anni per concentrare tutti i fondi sugli sportelli linguistici degli enti pubblici, per altro con una scelta di assegnazione territoriale fatta a tavolino che rischia di cancellare esperienze positive e di premiare invece realtà in cui le attività di sportello linguistico non hanno prodotto i risultati sperati.

Viene inoltre confermato l’azzeramento dei fondi per la Biblioteca Civica “Joppi” di Udine deciso dalla precedente Amministrazione bloccando i percorsi di valorizzazione della lingua friulana avviati da tale istituzione in cui, tra l’altro, si conservano alcuni tra i principali monumenti della letteratura friulana.

Sul fronte dell’associazionismo, pur apprezzando la scelta attuata con la finanziaria 2014 di invertire il percorso di tagli lineari introdotto dalla Giunta Tondo per i soggetti ritenuti di primaria importanza per la promozione della lingua friulana, non si può non notare come manchi ancora un sistema chiaro nell’attribuzione di tali risorse così da evitare poi spiacevoli strumentalizzazioni da parte dei detrattori di ogni sforzo di politica linguistica per il friulano. Enti e associazioni, coscienti delle proprie capacità e della qualità del proprio lavoro, sono i primi a volere criteri trasparenti ed oggettivi di assegnazione dei fondi.

Va inoltre notato come, mentre la stessa politica regionale tende spesso a considerare la lingua friulana uno dei tanti componenti della “cultura del Friuli – Venezia Giulia” e non come una componente della vita quotidiana di centinaia di migliaia di cittadini che vivono in questa regione (attraversando cultura, ma anche lavoro, istruzione, salute, informazione, divertimento, ecc.), ci troviamo ancora di fronte a situazioni come quella riproposta dai bandi regionali per l’organizzazione di festival ed eventi culturali in cui, tra le ragioni di esclusione delle domande, troviamo la valorizzazione delle lingue minoritarie! Se su scala internazionale si utilizza il termine “discriminazione positiva” per indicare le politiche di “favore” nei confronti delle realtà minorizzate – siano esse linguistiche, etniche, religiose, di genere o altro – in questo caso il Friuli – Venezia Giulia mette in luce invece un comportamento sì di discriminazione, ma per nulla positiva…
 

Autonomia, specialità e lingua friulana: vonde ipocrisie!

Le “riforme” in discussione a Roma, i crescenti attacchi alle autonomie speciali evidenziati ed enfatizzati dalla stampa, le recenti vicissitudini dell’Ufficio Scolastico Regionale e della sede regionale della RAI sono tutti segnali dei rischi sempre più concreti che minacciano la specialità del Friuli – Venezia Giulia.

Da anni ripetiamo che, una volta analizzate con rigore le varie ragioni solitamente addotte per giustificare il mantenimento dell’autonomia speciale, l’unica a resistere è la presenza ancora maggioritaria in Friuli – Venezia Giulia di comunità che parlano una lingua propria diversa da quella statale.

Motivazione che, per altro, è alla base anche delle principali tra le autonomie “regionali” europee: dalle isole Åland alla Comunità Autonoma Basca, dalla Corsica al Galles…

La Provincia di Trento, pur con poche migliaia di ladini e ancor meno cimbri e mocheni, lo ha capito da tempo e si è mossa di conseguenza.

In Friuli – Venezia Giulia dopo improbabili richiami a confini che non sono più quelli di un tempo, a fantomatiche “piattaforme logistiche” e a opinabili virtù amministrative, si comincia a ragionare sul tema. Non è un caso che i richiami a friulano e sloveno (un po’ meno al tedesco) abbiano cominciato a moltiplicarsi sia con riferimento alle vicende dell’USR e della sede regionale della RAI, sia in occasioni solenni come il cinquantenario della prima seduta del Consiglio regionale.

È nostro dovere ribadire che proprio la pluralità linguistica e nazionale del Friuli – Venezia Giulia può costituire la base per difenderne e rilanciarne la specialità, ma dobbiamo essere altrettanto chiari sul fatto che richiami e proclami su friulano, sloveno e tedesco non sostanziati poi dai fatti sono pura e semplice ipocrisia.

La manifestazione più chiara di tale ipocrisia è certificata, nero su bianco, anche nella finanziaria 2014 dove per il friulano si investe appena lo 0,02% del bilancio regionale. Un dato umiliante se confrontato con quello di altre comunità autonome europee che fanno della loro lingua propria fonte e bandiera di autogoverno.

La recente adesione del Consiglio regionale alla rete europea per la promozione della diversità linguistica (NPLD) – decisione che non si può non guardare con favore – dovrebbe per altro evidenziare ancora di più questa discrepanza tra dichiarazioni d’intenti e fatti concreti. La coerenza impone un maggiore attivismo sul piano delle politiche linguistiche e un sostegno economico adeguato a tali politiche.

Non si dica, per piacere, che è tutta colpa della crisi, dei tagli ai trasferimenti dello Stato centrale o del Patto di stabilità perché per la lingua friulana la “crisi” c’è sempre stata: c’è sempre qualcosa di più importante o di più urgente da fare, c’è sempre qualche ragione par tagliare, ridurre o rinviare.

Un primo passo per invertire la rotta potrebbe arrivare dall’approvazione in tempi rapidi del Piano Generale di Politica Linguistica e dalla sua completa copertura finanziaria attraverso le variazioni di bilancio (permettendo così di superare l’inqualificabile 0,02% per la lingua friulana), accompagnati da una consultazione e da un coordinamento costante della Giunta regionale con l’ARLeF quando si tratta di assumere decisioni relative alla lingua friulana.

Un primo passo per nulla rivoluzionario, cui deve seguire però un cambio di mentalità significativo che permetta non solo di garantire i diritti linguistici di friulani, sloveni e germanofoni del Friuli – Venezia Giulia, ma anche di rendere il nostro patrimonio linguistico, culturale e identitario una marcia in più per tutta la regione. Per farlo mettiamo a disposizione, ancora una volta, le nostre forze, le nostre conoscenze e le esperienze maturate in anni di battaglie e di impegno quotidiano per la lingua friulana e per i diritti linguistici dei friulani (ma anche di sloveni e tedeschi del Friuli).

Sapranno la Giunta e il Consiglio regionale accettare la nostra disponibilità e intraprendere il percorso per una Regione che sia davvero autonoma e speciale?

Udin/Udine 27.06.2014



Comitât - Odbor - Komitaat - Comitato 482
il portavoce Carlo Puppo

Union Scritôrs Furlans
il presidente Renzo Balzan

Società Filologica Friulana
il presidente Federico Vicario

Serling soc. coop.
il presidente Alessandro Carrozzo

Radio Onde Furlane
il direttore Mauro Missana

Ladins dal Friûl, mensile
il direttore Renzo Balzan

La Vita Cattolica, settimanale
il direttore Roberto Pensa

La Patrie dal Friûl, mensile
il direttore Andrea Valcic

KappaVu, casa editrice
la responsabile Alessandra Kersevan

Istituto “Achille Tellini”
il presidente Luigi Geromet

Informazione Friulana soc. coop.
il presidente Paolo Cantarutti

Il Diari, quindicinale
il direttore Mauro Tosoni

Comitato per l’autonomia e il rilancio del Friuli
il presidente Paolo Fontanelli

Clape di culture Patrie dal Friûl
il presidente Romano Michelotti

CLAAP (Centri di Linguistiche Aplicade “Agnul Pitane”)
il presidente Luca Peresson

Associazione Glesie Furlane
il presidente Giovanni Pietro Biasatti

Associazione Colonos
il direttore Federico Rossi
 
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