sabato 30 dicembre 2017

RIFORMA SANITARIA REGIONALE - I TAGLI EFFETTUATI TUTTI IN FRIULI!!


RIFORMA SANITARIA REGIONALE

I TAGLI

EFFETTUATI TUTTI IN FRIULI!!

(Pn - Ud - Go)

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Dal sito del Consiglio regionale

Notizie




Pd: 20 milioni in legge di stabilità 2018

per area di Trieste

28/12/2017

http://www.consiglio.regione.fvg.it/pagine/comunicazione/comunicatistampa.asp?comunicatoStampaId=579752



"(...) In sanità - ha aggiunto - siamo l'unica regione in Italia che non ha un euro di debito. Se c'è un'area dove non è stato tagliato praticamente nulla è proprio Trieste, dove i servizi sono potenziati, anche con un incremento di personale. (...)"
 -
Franco Rotelli, presidente della III commissione salute e consigliere regionale del Pd eletto nella circoscrizione di Trieste


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COMMENTO DELLA

REDAZIONE DEL BLOG

  1. per non fare debiti basta non fare investimenti; tagliare posti letto, in Friuli naturalmente, ossia nelle provincie di Udine, Pordenone e Gorizia; chiudere ospedali friulani; ridimensionare e perfino chiudere  interi dipartimenti sanitari friulani (vedi i disastri effettuati negli Ospedali di Latisana, San Daniele del Friuli, Tolmezzo, Gemona e Cividale del Friuli, Gorizia e Monfalcone).
  2. Che alla sanità triestina non fosse stato tagliato nulla era un fatto stra-noto: non serviva ce lo dicesse il consigliere regionale triestino Franco Rotelli. Come noto  “tutti” i tagli alla sanità sono stati riservati al resto del territorio regionale, quello che si trova oltre Barcola (Ts). Ci conforta comunque che a confermarlo siano due consiglieri regionali del Pd eletti nella circoscrizione di Trieste. Quando eravamo noi friulani a denunciare questa pesantissima discriminazione territoriale  a danno del Friuli, eravamo accusati di essere “campanilisti” e di “avercela con Trieste”.

Ricordiamo infine ai due consiglieri regionali Pd, Franco Codega e Franco Rotelli, che la nostra regione nella sanità è stata declassata dal secondo posto al 20 posto (fascia bassa della classifica nazionale). Ma questo forse lo sanno già anche se fingono di non saperlo....

 
 http://comitat-friul.blogspot.it/2017/12/la-sanita-regionale-tra.html

 

(...) E per concludere, un recente articolo ci ricorda che: «Assieme ad altre regioni, il Friuli Venezia Giulia ha ottenuto la maglia nera della sanità: lo rileva la quinta edizione (2017) del ranking dei servizi sanitari regionali (Ssr), elaborata nell’ambito del progetto “Una misura di performance dei Ssr” condotto dal Crea Sanità – Università degli Studi di Roma Tor Vergata». ( http://www.infermieristicamente.it/articolo/7882/il-friuli-ottiene-la-maglia-nera-della-sanita/ ), ove si leggono pure le dichiarazioni del Coordinatore Regionale NurSind Gianluca Altavilla, che sostiene che non vi è stato in Regione Fvg, «Nessun investimento reale, soltanto parole di ottimismo. Peccato che non realizziamo elettrodomestici, ma produciamo salute». (...)" 

LA REDAZIONE DEL BLOG
 
 

venerdì 29 dicembre 2017

Convegno del 15 dicembre 2017 - Quali i destini per l'autonomia friulana? INTERVENTO DI ROBERTO DOMINICI


 
 
 
 
Convegno su:

NELLA EUROPA DI OGGI SI DIFFONDONO MOVIMENTI AUTONOMISTI INEDITI: PERCHE'? CON QUALI PROSPETTIVE? QUALI I DESTINI PER L'AUTONOMIA FRIULANA?
 
INTERVENTO DI ROBERTO DOMINICI

Udine, 15 dicembre 2017

Colgo parte dell'articolato tema del convegno per alcune considerazioni e riflessioni inerenti la dimensione nazionale ed, in via più specifica, quella regionale e locale.

Mi chiedo innanzitutto: ha senso oggi parlare in Italia di autonomia regionale?

La mia risposta è assolutamente sì se non altro perché siamo in presenza di una marcata tendenza “centralista” statale, alimentata anche da una gestione politica ispirata, spesse volte, alla semplificazione con “accentramento” dei poteri decisionali che porta, di fatto, a più Stato ed a meno autonomia.

La “tendenza centralista” sarebbe risultata ancor più netta se con il referendum di un anno fa fosse stata approvata la riforma costituzionale allora proposta, riforma che avrebbe comportato una vera “involuzione” rispetto al disegno dei Padri costituenti:

  • le Regioni ordinarie sarebbero divenute ancor più ordinarie con la totale spogliazione delle cosiddette competenze “ripartite”, cioè “miste” Stato-Regione su tematiche di diretto interesse locale;
  • le Regioni speciali avrebbero mantenutosi lo status quo ma in via transitoria fino alla revisione del proprio Statuto da farsi con l' “intesa” tra soggetti “ineguali” e, aggiungo io, ispirandosi necessariamente alla “filosofia” di quella riforma che è, lo ripeto, di accentramento
  • le Regioni tutte sarebbero state sottoposte alla cosiddetta “clausola di supremazia” che avrebbe implicato la possibilità dello Stato, a suo unico giudizio, di “invadere”, caso per caso, pure la stretta e diretta competenza statutaria regionale.

Pericolo, dunque, scampato, ma non illudiamoci che la vocazione del “più Stato” sia morta.

C'è allora la necessità di vigilare sempre affinché l'autonomia regionale in generale sia salvaguardata, non sia compromessa, sia anzi potenziata, seguendo la linea che i problemi siano governati dalle istituzioni più prossime alla gente.

Con riguardo alla nostra realtà regionale, mi chiedo: ha senso la “specialità”?

Certo che sì. È vero: alcune motivazioni originarie (confine particolare) sono superate, altre però permangono (presenza di ben tre minoranze riconosciute), altre sono attuali (possibilità di una politica di cooperazione transfrontaliera nell'interesse anche italiano ed europeo).

Francamente non capisco perché la politica, di tanto in tanto, si interroghi su questo dando così l'impressione che siamo noi stessi ad esternare dubbi.

La specialità c'è ed il miglior modo di difenderla è quello di esercitarla fino in fondo con riguardo anche ai temi indicati poco fa in relazione dal Prof. Tellia.

Circa i nostri rapporti con lo Stato due sono i temi che il mondo autonomista dovrebbe con urgenza sollecitare per una definizione: la acquisizione della competenza in capo alla Regione in materia di istruzione ciò che consentirebbe di affrontare più compiutamente la questione dell'insegnamento della lingua friulana alla luce della sentenza della Corte Costituzionale sulla l.r. n.29 del 2007, e la revisione della compartecipazione tributaria della Regione, che, come ben sappiamo, è la più bassa tra le Regioni ad autonomia differenziata.

Giunti a questo punto dobbiamo porci un tema di fondo che attiene alla prospettiva per la nostra Regione: deve continuare come è ora o si può pensare a qualcosa di diverso? E cosa?

Credo che si debba pensare a qualcosa di “diverso”, guardando sì alle aspirazioni antiche ed a quelle attuali, ma specialmente, con molto realismo, alla praticabilità, politica ed istituzionale, delle proposte.

A mio giudizio andrebbe rivisto il “modo di essere” della Regione ed il suo rapporto con le autonomie locali: la Regione si occupi della legislazione, dell'alta programmazione ed indirizzo e trasferisca le funzioni gestionali al sistema delle autonomie locali rapportandosi alla natura e portata delle funzioni stesse.

Quindi un sostanziale “decentramento” che stimola l'autogoverno locale, che valorizzerebbe le “specificità” presenti nei nostri territori.

Non è una idea nuova: D'Aronco, gran padre dell'autonomismo friulano, ne parlava ancora nelle sue “Opinioni Personali”. Ma è come fosse nuova, posto che non è mai stata attuata.

Questa operazione, ecco il realismo, è fattibile a statuto regionale vigente come previsto dal suo originario art. 11.

È vero che la riforma statutaria dello scorso anno ha modificato tale articolo, ma non al punto di disporre il contrario di quanto in precedenza stabilito.

La soluzione che ho appena detto avrebbe pure il pregio di non recare pregiudizio ad altre eventuali scelte future ed inoltre, nel suo contesto, potrebbe offrire l'occasione per “riaffrontare” con intelligente “rilettura” il tema dell'articolazione istituzionale locale, non con progetti calati dall'alto, ma partecipati, perché anche il metodo spesso è sostanza.

Dico spesso e ripeto: se ha ben funzionato il ricorso alla delega per la ricostruzione post-terremoto con la gravosità di quei problemi, perché non dovrebbe funzionare ora in situazioni per così dire “più tranquille”? Questo è uno dei concetti espressi nel documento di riflessioni e proposte predisposto dalla Associazione Consiglieri Regionali del FVG e della Associazione Comuni Terremotati e Sindaci della Ricostruzione nel maggio scorso, documento che ha avuto il positivo riscontro anche del Capo dello Stato.

Nella recente modifica dello statuto della Regione è stata introdotta la “Città Metropolitana”.

Considerata la fonte proponente vien da pensare all'Area Triestina, più o meno vasta.

E il Friuli? La mia opinione è che bisogna dar vita ad una “istituzione” anche per il Friuli con funzioni ben definite di area vasta.

Le due “articolazioni” devono essere, è sempre la mia opinione, contemporanee e non sfalsate nel tempo. Quindi un disegno articolato per elementari esigenze di equilibrio.

In Friuli non possiamo rimanere ancorati a quelle che D'Aronco ama chiamare “provincette”, cioè alle UTI e ciò al di là di ogni giudizio di metodo e di merito sulle stesse.

Mi chiedo ancora: l'autonomismo in questi tempi deve occuparsi solamente dei temi “classici”, o se volete “storici” in quanto fondativi del movimento o deve andare oltre guardando, senza venir meno alla mission antica, ai problemi e alle esigenze dei nostri territori?

Credo che quest'ultima sia una scelta doverosa e nello stesso tempo obbligata se vogliamo corrispondere alla domanda di autogoverno.

L'autonomismo deve allora elaborare proposte sulle grandi questioni che sono diverse.

Ne cito soltanto qualcuna:
  • l'economia dopo un decennio di crisi che lascia conseguenze
  • le grandi infrastrutture in chiave di sviluppo
  • i giovani, come ricordato poco fa da Giacomini, a fronte di una generazione che, in assenza di occupazione stabile, non può trovare stimoli all'impegno di comunità
  • l'Università legata al territorio dal mandato istitutivo, da non dimenticare mai, e dal Patto, patrocinato con la tenacia che ben conosciamo da Arnaldo Baraccetti stipulato dall'Università e dalle maggiori rappresentanze del Friuli in un momento piuttosto difficile dovuto alla legge di riforma Gelmini ed al ricomparire di dichiarazioni del tipo: due università in Regione sono troppe.

A giorni poi, nell'assordante silenzio della politica e delle istituzioni, del mondo economico, cesserà la operatività della Cassa di Risparmio, istituto che è stato per assai lungo tempo parte sostanziale della storia del Friuli.

Questo fatto deve stimolarci a riflettere circa la presenza delle banche sul nostro territorio e, soprattutto, sul tema del credito, elemento essenziale sia per l'economia, sia per il sociale.

Occorre, dunque, un “progetto” organico, elaborato possibilmente non in solitudine ma con l'apporto delle forze vive della società.

Può essere di esempio, sul piano metodologico, l'azione a suo tempo svolta dal Comitato per l'Autonomia del Friuli che, nel suo agire, si è sempre confrontato, sui grandi temi, con le istituzioni più rappresentative, le forze sociali e produttive.

Io sono per un Friuli che non si chiuda in se stesso e che, ben saldo nelle sue radici e con la cultura dei propri valori, si apra per inserirsi attivamente nel divenire della storia.

Un Friuli che guardi in particolare all'Europa, che ha sì bisogno di rigenerarsi riscoprendo la sua mission originaria, ma che comunque resta il nostro orizzonte più alto.

L'avvicinarsi delle elezioni regionali mi induce a porre un'ultima domanda: è possibile che le varie anime autonomiste, tutte preziose e valide, trovino sui problemi di oggi più che sui disegni di lunga prospettiva, elementi di unione per un cammino d'assieme, certamente autonomista, ma anche impegnato sui problemi della nostra comunità? Pensiamoci.

Occorre puntare ad una Regione “pensante” e “dialogante” che abbia l' “umiltà” dell'ascolto, la capacità di proposta, la disponibilità al dialogo.

Mi auguro che su questo si apra una sostanziale riflessione.

Consentitemi di concludere con un richiamo generale ad uno dei mali più diffusi nella politica di oggi: il populismo.

In una recente pubblicazione edita da Giulio Einaudi, Marco Revelli dell'Università del Piemonte orientale, scrive:” Il populismo si manifesta quando un popolo non si sente rappresentato. E' “malattia infantile” della democrazia quando i tempi della politica non sono ancora maturi. E' “malattia senile” della democrazia quando i tempi della politica sembrano essere finiti. Come ora, qui, non solo in Italia”.

E' necessario allora, nell'interesse di tutti, che la politica torni a volare alto.

Udine, 15 dicembre 2017

Roberto Dominici
 
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La Redazione del Blog ringrazia Roberto Dominici per averle concesso la pubblicazione del suo ottimo intervento al convegno sull'autonomismo del 15 dicembre a Udine. 
 
 
 

domenica 24 dicembre 2017

"LEGGERE E SCRIVERE" la LECTIO MAGISTRALIS di Gianfranco d'Aronco

 
18 dicembre 2017
 
Grande partecipazione oggi alla cerimonia nell’aula 3 di via Tomadini a Udine

A Gianfranco D'Aronco, uno dei “padri” dell'Ateneo friulano, la laurea ad honorem in Italianistica

 
 
 
 
Foto tratta da quiuniud
 
 
 
Lectio magistralis
di Gianfranco D’Aronco
 
Leggere e scrivere 

 
Comincio col ringraziare i principali responsabili dell’onore che mi viene riservato, a partire dall’attuale magnifico rettore Alberto Felice De Toni e da chi lo ha preceduto, Cristiana Compagno. Io ho il merito, diciamo così, di aver resistito alle intemperie dell’età, quando finalmente si smette di scrivere, ma non di leggere. C’è sempre da imparare qualcosa.
In realtà io mi sono sempre sentito scolaro, e anche oggi mi sento tale, pur se qualche cosa ho imparato, attingendo a quanto prodotto da maestri veri, che ho avuto la fortuna d’incontrare: mi riferisco alla Cattolica di Milano. Dopo la laurea e il perfezionamento o specializzazione (oggi si dice “master”), non ho fortunatamente interrotto i rapporti con chi avevo incontrato all’ombra di S. Ambrogio. Dico ad esempio Luigi Sorrento, Alberto Chiari, Aristide Calderini, Lorenzo Bianchi. I granelli di scienza da loro sparsi trovavano qualche piccola zolla fertile anche in me, e li ringrazio ancora col pensiero, se essi mi ascoltano dell’alto.
Anno dopo anno, mi avvenne di insegnare a mia volta, e di punto in bianco mi trovai a Padova, all’ombra di maestri come Diego Valeri, Carlo Tagliavini, Vittore Branca, Gianfranco Folena. Dopo vent’anni, e dopo una breve parentesi a Siena, passai a Trieste, dove avevo mosso i primi passi come assistente di Aurelio Roncaglia. E a Trieste trovai eccellenti colleghi come Bruno Maier e Claudio Magris.
Chiedo venia per l’autobiografia , per dire che ciò che possiedo è per metà farina del sacco altrui, e debbo in qualche modo ricambiare almeno un po’ del bene ricevuto. Quanto a farina mia, non sarò certo il giudice di me stesso. Rimando chi proprio lo volesse a una Miscellanea, pubblicata per merito di Giovanni Frau e arricchita da una generosa presentazione di Raimondo Strassoldo.
Lasciate ora che mi rallegri per aver visto nascere e crescere in tutti questi anni la nostra Università, e ricordi chi, interpretando voti precedenti, ha dedicato anima e corpo a una tenace e disinteressata azione volta a rivendicare i diritti di una terra. Era una voce fattasi presto voce di popolo, riconosciuta con legge di iniziativa popolare: dico di Tarcisio Petracco “cui nullum par elogium”, e ho detto tutto.
Ho visto nascere questa Università, dapprima come Facoltà staccata dall’ateneo di Trieste, e poi fattasi autonoma. Come è stato sottolineato, è sorta al servizio di schiere di giovani, che in passato dovevano attingere ad altri atenei di là della Livenza e del Timavo. Ma c’era stato un lontano precedente, rivendicato da un insigne storico del diritto, il nostro Pier Silverio Leicht: uno Studio generale, come si diceva allora, ovvero una scuola di diritto con sede a Cividale, che il patriarca Bertrando aveva voluto e che Carlo IV di Lussemburgo riconobbe con un documento che reca la data 1353 e che si può leggere ancora. Ma già da prima, forse dal 1344 almeno, la scuola funzionava. In Italia lo Studio bolognese, il più antico che si conosca, sorse nel 1158; quello padovano nel 1221. Nel resto d’Europa gli Studi sono tutti successivi. Ma la istituzione cividalese ebbe vita breve: meno di un secolo, scomparendo con la occupazione veneziana. Peccato. Lo Studio aveva uno scopo importante: attirare studenti dall’Italia, dalla Germania, dalla Ungheria, dalla Slavonia. E il particolare interesse che la nostra Università mostra verso la cultura dell’Est pare quasi sia nato dalla volontà di fare propria l’antica missione per la quale era sorto il glorioso Studium.
Non voglio abusare ancora della vostra cortesia. Delle mie opere e operette hanno già detto altri. Ho studiato la letteratura italiana. Mi sono occupato di letteratura friulana (insegnavo letterature popolari e filologia romanza). Ho pubblicato una versione inedita e pressoché ignorata, risalente alla fine del XIII secolo (come le cinque esistenti in Europa: a Parigi, Lione, Bruxelles, Londra, Oxford) e conservata nella biblioteca arcivescovile di Udine: dico della “Grande ricerca del santo Graal”. Quanto al settore friulano, ho dato una mano al risveglio di questa letteratura, che reca i nomi di Pier Paolo Pasolini, Riccardo Castellani, Franco de Gironcoli, Riedo Puppo, Novella Cantarutti, Nadia Pauluzzo e tanti altri ormai. Era la fine del dialettalismo nostrano. Contemporaneamente (e non poteva essere altrimenti) ho seguito le vicende che avrebbero portato non senza ostacoli al riconoscimento della nostra Regione autonoma. Anche qui potrei continuare: del resto è tutto già scritto. Non eravamo campanilisti; non eravamo chiusi in casa. Leggevamo tra l’altro i libri, a cominciare da“Mireio” di Mistral, sulla cui tomba ho letto cinquant’anni fa una sola parola: “Prouvenco”. E leggevamo Aubanel, di cui ci colpì un giorno (cito a memoria), un verso: “Spingendo la carretta sul monte Ventoux, non parlavamo di piccola o grande patria”. L’amor di patria è un sentimento, e all’amore non si comanda. Meglio sarebbe forse l’amor di patrie. Voler bene al Friuli non significa (figurarsi) disdegnare il resto del mondo. Il Friuli (confesso) è stato il mio primo amore. Le prime parole che sentii da neonato erano nel friulano di Gemona dei miei genitori: e il primo amore (altro detto) non si scorda mai. Sul Friuli ho scritto e soprattutto letto. Meglio così, meglio rimanere scolari. Grazie.
 
TO, 17.12.17   Gianfranco D’Aronco
 
 
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La Redazione del Blog nel ringraziare il prof. Gianfranco D'Aronco per averle concesso la pubblicazione  della sua  Lectio magistralis, rinnova nuovamente al Presidente onorario del "Comitât pe autonomie e pal rilanç dal Friûl" le più vive congratulazioni.
 

LA REDAZIONE DEL BLOG
 

giovedì 21 dicembre 2017

EMENDAMENTO MORANDO AL PATTO SERRACCHIANI-PADOAN: UN PATTO CHE DANNEGGIA LA REGIONE?

 

Emendamento Morando al

Patto Serracchiani-Padoan

 

UN PATTO CHE DANNEGGIA

LA REGIONE?


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Dal sito del Consiglio regionale:

Notizie

Pd: Moretti su emendamento per Patto Serracchiani-Padoan


15/12/2017, 19:51

(ACON) Trieste, 15 dic - COM/AB - Il capogruppo Pd in Consiglio regionale Diego Moretti interviene sulle critiche che sono piovute dai banchi dell'opposizione a seguito della presentazione in Commissione bilancio alla Camera dell'emendamento alla legge di stabilità nazionale che dà seguito all'accordo riguardante il Patto Serracchiani-Padoan.

Dall'inizio della legislatura spieghiamo che il Patto Serracchiani-Padoan ha messo in sicurezza i conti della Regione e la specialità del Friuli Venezia Giulia - afferma Moretti - mentre oggi in Aula abbiamo assistito a una sceneggiata. In Parlamento non si è consumato nessun complotto: l'emendamento presentato dal viceministro Morando alla legge di stabilità nazionale è il frutto di una trattativa avviata già in primavera dalla presidente Serracchiani, dall'assessore Peroni e dalla Ragioneria generale della Regione e che comunque dovrà essere confermato dalla sottoscrizione del Patto tra Governo e Regione.

Il Friuli Venezia Giulia - conclude il capogruppo Pd - esce rafforzato da quanto è stato inserito nella legge di stabilità nazionale. Abbiamo avuto conferma circa il possibile consolidamento del Patto Serracchiani-Padoan e dello "sconto" di 120 milioni per due anni, ma anche di un nuovo sistema di compartecipazione al gettito Irap, legato dal 2018 al territorio dove viene svolta l'attività delle imprese. Questi sono fatti, le polemiche e la propaganda le lasciamo agli altri.

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PATTO PER L'AUTONOMIA 

COMUNICATO STAMPA 
 

21 dicembre 2017
 

 
REGIONE, SOFFOCATA
 
L'AUTONOMIA FINANZIARIA
 

 

https://pattoperlautonomia.wordpress.com/2017/12/21/regione-soffocata-lautonomia-finanziaria/


Per sudditanza nei confronti del potere centrale, l’assenso rilasciato al Governo dalla Regione alla riscrittura dei patti finanziari grava il bilancio F-VG di prelievi inaccettabili da parte dello Stato.
 
L’emendamento Morando alla legge di stabilità finanziaria nazionale riscrive i rapporti finanziari tra Stato e Regione F-VG, creando illusioni e strumentalizzazioni. Le aliquote di compartecipazione ai tributi erariali verranno modificate in maniera sostanziale e complessiva, riducendo la misura di alcune quote (v.Iva) ed ampliando la platea dei tributi a cui attingere rispetto a quanto finora previsto. I criteri di gestione della nuova normativa dovranno essere specificati nell’ambito di decreti attuativi da convenire tra Stato e Regione secondo le procedure previste dallo Statuto.
 
Analizzando le conseguenze dell’emendamento Morando per il F-VG i flussi di entrata e uscita da e per Roma rimarranno gli stessi degli ultimi anni, con un prelievo da parte dello Stato (calcolato con precisione da parte della Corte dei Conti in occasione dei giudizi di parificazione relativi ai consuntivi 2015 e 2016) di 1,1-1,2 miliardi all’anno per obiettivi di risanamento della finanza pubblica e di abbattimento del debito pubblico.
 
Di fatto su un insieme di entrate, tra tributi propri e quelli di compartecipazione, di 5,2-5,4 miliardi di euro, il 25% viene prelevato dallo Stato riducendo drasticamente la potenzialità di spesa della stessa regione. Questa situazione è iniziata a partire dal 2010 aggravandosi ogni anno fino al 2015 per poi stabilizzarsi sul livello più alto di esproprio.
 
Il Patto Per l'Autonomia ritiene che gli investimenti non effettuati per questa enorme voragine nella nostra spesa pubblica, dilatata da altre norme relative al patto di stabilità ed anche operanti nei confronti degli enti locali, siano la concausa principale della crisi economica che ha colpito in questo decennio la Regione F-VG: e lo ha fatto in termini più forti che da altre parti dell’Italia, in termini di PIL e disoccupazione, anche perché la quota di prelievo statale per l’abbattimento del debito pubblico nella nostra Regione è del tutto spropositata in relazione alla sua popolazione e dimensione. La riduzione della spesa pubblica e di quella attivabile da essa per i privati ha superato i due miliardi di euro all’anno su un PIL complessivo di 35 miliardi di euro.
 
C’è quindi massima necessità di rinegoziare i rapporti finanziari con lo Stato, determinati anche dalla scadenza nel 2017 del patto di contribuzione Padoan-Serracchiani. Ma l’assenso dato nello spazio di un giorno alla proposta dell’emendamento Morando dimostra esplicitamente la totale sudditanza al governo centrale ed una incapacità di esprimere da parte delle forze politiche del F-VG le ragioni di un profondo disagio territoriale.
 
Il tutto è stato reso ancora più ridicolo dalla pantomima sui 120 milioni di euro di “sconto” che lo Stato dichiara di averci fatto e che saranno l’occasione per una finanziaria elettorale di spesa che la Giunta regionale gestirà nei prossimi mesi. In realtà si è trattato di uno “sconto” su un ingiustificato aumento, che fu di 370 milioni con Tondo e di “soli” 250 pagati da Serracchiani negli ultimi anni, in un quadro dove quello che conta è l’enorme cifra complessiva del taglio di entrate. Di fatto una solenne presa in giro.
 
Va anche segnalata la grave infrazione istituzionale commessa nella procedura di attribuzione del “consenso” all’emendamento Morando tenendo all’oscuro di tutto ciò il Consiglio Regionale. Su questo terreno, si è aperto un vero e proprio baratro di legittimità costituzionale, come è stato segnalato in questi giorni sulla stampa dal dottor Giovanni Bellarosa.
 
Se la Regione deve essere sentita, può farlo da solo la Giunta o addirittura il Presidente? Sulla ipotetica trattativa che dovrà aprirsi con il Governo chi e come agirà per conto della Regione? Va ricordato che gran parte delle leggi finanziarie dello Stato, che hanno ridotto le entrate della Regione F-VG negli ultimi anni per il risanamento della finanza pubblica, sono state approvate senza alcun assenso da parte della Regione e che la Corte Costituzionale con la sentenza 188/2016 ha richiamato con forza i nostri amministratori alla necessità di una INTESA, arrivando ad abrogare la normativa sul sovra-gettito IMU per questo motivo. Ed ha invitato la stessa Giunta Regionale ad occuparsi meglio degli interessi della società regionale.
 
Per il Patto per L'Autonomia siamo di fronte ad una vicenda politica determinante per il futuro della Regione. Al di sopra di ogni ragionamento tecnico, deve emergere come discriminante per la Regione F-VG l'intenzione di richiedere con forza la revisione con un drastico ribasso delle attuali contribuzioni allo Stato ed un recupero parziale ma sostanzioso delle disastrose contribuzioni di questi ultimi anni.
 
Tutto il resto è fuffa, propaganda che però rischia di costare cara a noi e ai nostri figli. Questo difatti è un accordo che aiuta ad ingabbiare definitivamente l'autonomia finanziaria della Regione, già gravemente compromessa dal Patto Tondo-Tremonti, e ridurla ai minimi termini: con le conseguenze sui servizi per i cittadini che tutto questo comporta.
 
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lunedì 18 dicembre 2017

LA SANITA' REGIONALE TRA AUTOREFERENZIALITA' POLITICA E LA REALTA' VISSUTA DAI CITTADINI.

 
 
REGIONE FRIULI-VG

La sanità regionale

tra autoreferenzialità politica

e la realtà vissuta dai cittadini

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Dal sito
 
www.nonsolocarnia.info

7 dicembre 2017
 

"La redazione del Blog ringrazia Laura Matelda Puppini  per averle  concesso  la  pubblicazione dell'articolo  a  sua  firma  già pubblicato sul sito “nonsolocarnia” e contenente l'interessantissimo  contributo  a  firma del  dott. Walter Zalukar, già primario per molti anni del Pronto Soccorso dell’ospedale di Cattinara a Trieste, con cui ci complimentiamo per la sua precisa e puntuale analisi sulla riforma sanitaria "imposta" dalla Giunta regionale Serracchiani.
 

Walter Zalukar

Ripensare la sanità regionale


 
http://www.nonsolocarnia.info/walter-zalukar-ripensare-la-sanita-regionale/

 
        
Vorrei introdurre queste righe di critica alla riforma della sanità e di proposta del dott. Walter Zalukar, primario per molti anni del Pronto Soccorso dell’ospedale di Cattinara a Trieste, riportando alcuni dati da un articolo di Gian Carlo Blangiardo intitolato: “Analisi. Picco di decessi nel 2017, sfida per il welfare e la società”, in: Avvenire 7 dicembre 2017. Ivi infatti si può leggere:
 
« Dalle statistiche dei morti nei primi sette mesi del 2017 (secondo quanto già disponibile da fonte Istat) prende corpo la convinzione che l’anno che sta per concludersi ci chiederà ragione del non aver sufficientemente affrontato quei segnali di debolezza, già evidenti due anni fa, relativi a un sistema sanitario che tende sempre più a far pagare il prezzo della sfida sulla sostenibilità dei costi soprattutto a chi è più fragile, economicamente e sul fronte delle reti sociali e familiari».

     
Walter Zalukar. Ripensare la sanità regionale.
 
L’ospedale di Gemona del Friuli chiude. Quale prospettiva?
 
Così inizia il dott. Walter Zalukar, il suo intervento, all’incontro tenutosi all’hotel Carnia il 1 dicembre 2017, intitolato: “Ricostruire la sanità in Alto Friuli. Criticità e proposte”, riferendosi all’ospedale di Gemona del Friuli. 
 
«L’ospedale chiude. Quindi il territorio, teoricamente, doveva andare verso felici destini progressivi, con un centro di assistenza primaria ogni 20- 30 mila abitanti, ma senza nessuna indicazione organizzativa, senza nessuna stima dei costi, con dati inesatti. Pertanto ben presto questa indicazione normativa si rivelava essere solo un annuncio: dei contenuti praticamente nulla. Per esempio a Trieste, dopo aver inaugurato dei cap che sono rimasti vuoti, hanno cercato di convincere i medici ad andarci almeno un giorno alla settimana, ma come avrebbero potuto fare? Il medico che stava nel rione ‘x’ avrebbe dovuto andare quel giorno in quel cap, ed i suoi pazienti tutti con l’autobus a rimorchio. Pertanto il tutto si configurava solo come un flusso di malati e medici per fare esattamente la stessa cosa che prima facevano in ambulatorio».
 
Fra pronto soccorso e punti di primo intervento: un pasticcio all’italiana che pesa sui cittadini.
 
«Ed andiamo ad una delle cose più tragiche: Il piano di emergenza. Ci avevano detto che avevano delle formule matematiche per calcolare il numero dei mezzi di soccorso ottimali. Siamo andati a cercare in letteratura: mai visto una formula del genere. Inoltre risulta che nel Friuli Venezia Giulia noi abbiamo, per 1.200.000 abitanti e 7.000 kmq., 6 automediche e forse neppure 6, perché a Tolmezzo non l’hanno data e quindi di fatto 5; nelle Marche, territorio un po’ più grande, hanno ben 31 automediche, cioè ne hanno una ogni 300 kmq e non ogni 1300, 1 ogni 250 abitanti e non ogni 205.000 abitanti. Per quanto riguarda la tipologia degli equipaggi dei mezzi di soccorso, ci hanno detto che tutti gli equipaggi saranno professionali. Ma non è vero nulla. Abbiamo metà delle ambulanze con personale volontario non dipendente. E qual è il risultato di questo depotenziamento, lasciando perdere per ora la centrale unica di Palmanova? Utilizzo per dimostrarlo i dati Sores, cioè della Centrale operativa della Regione. L’11% degli interventi in area urbana arriva in meno di 8 minuti che è il tempo di legge, il tempo normativo. Vuol dire che per codici rossi e gialli l’85% del soccorso arriva in ritardo. Questo non era mai successo in questa regione. Nell’extraurbano abbiamo solo il 36% che arriva in ritardo. Ma il 36% vuol dire che 3 persone su 10 sono in strada ad aspettare oltre magari i 20 minuti prima che giunga un’ambulanza. E non parlo dell’elicottero, perché staremmo qui fin oltre la mezzanotte.
I punti di primo intervento, cioè quello che è diventato o che dovrebbe diventare il pronto soccorso di Gemona, vogliono dire, in sintesi, un medico ed un infermiere in servizio, e basta. Il problema è che se avessero avuto un minimo di scrupolo, almeno avrebbero messo un numero sufficiente di ambulanze ed automezzi. Nulla. E per dire che il Pronto Soccorso di Gemona non serviva ci si è basati su dati falsati».
 
E mancano anche dati recenti e rete oncologica. Inoltre per ripartire si deve ripensare l’assetto istituzionale delle aziende sanitarie.
 
«Non c’è rete regionale oncologica, e così la gente deve andare in giro a fare chemioterapie, e, per quanto riguarda il monitoraggio dei tempi di attesa nelle strutture sanitarie, vediamo che gli ultimi dati per un intervento chirurgico, risalgono al 31 marzo 2015, il che significa o che non sanno immettere i dati o che si vergognano a darli.
 
Ora noi abbiamo avuto quattro anni veramente bui, e adesso si impone la ricostruzione e la rinascita del ssr. Non sarà facile, ci vorranno anni, … come per Dresda che fu distrutta in poche ore e per ricostruirla ci vollero anni, ed erano tedeschi … Quindi bisognerà lavorare su due settori: ridisegnare gli assetti istituzionali, cioè le aziende, perché come diceva prima qualcuno non è possibile che una azienda vada da Gorizia a Latisana, e si sviluppi come un serpente largo 20 chilometri e largo 150, come non è possibile che ci sia una azienda che abbia una conformazione come la vostra che va da Tolmezzo, o meglio da Sappada a Codroipo. Non è logico, non sono territori omogenei».
 
Limiti di assetto aziendale, e la riproposizione delle aree vaste, come elemento di territorialità.
 
«L’assetto istituzionale, cioè la geografia delle aziende, è stato preparato senza neppure una simulazione dei possibili impatti. E infatti le modalità di lavoro sono eterogenee. Per esempio nella Bassa, quelli di Latisana e Palmanova lavorano comunque diversamente dagli altri, e le aziende non sono ancora veramente unificate. Si dice che solo un terzo del processo è andato avanti, e ci vorranno ancora 5 o 6 anni, e converrebbe ritornare indubbiamente indietro. Inoltre vi è difficoltà a collegare ospedali spoke tra di loro, perché i flussi di mobilità dei pazienti e delle persone non si comandano con un tratto di penna.
E soprattutto il collegamento di questi ormai monconi di ospedali ha ridotto l’efficacia dei reparti di base, perché non si può pensare che ad un reparto venga un giorno diretto ed un giorno non diretto, cioè funzioni a giorni alterni a seconda degli spostamenti del primario. O i primari non servono ed allora si aboliscono, o se servono stanno lì ogni giorno.
Gli attuali assetti istituzionali non fanno riferimento ai bacini di utenza consolidati nella storia. E quella che dava un quadro accettabile era la cosiddetta area vasta che, se vi ricordate, coincideva con le province: la provincia di Udine, quella di Pordenone, quella di Trieste e Gorizia e Monfalcone insieme.
Quindi il modello di area vasta consente di progettare l’organizzazione dell’assistenza in ospedale corredandola al suo bacino di utenza. E consente di progettare l’assistenza dell’utenza in ospedale collegandola al suo bacino di utenza. E questo secondo me dovrebbe essere il messaggio da dare nel futuro. Ma prima di dire questo, per mesi ho consultato ex funzionari anche di alto livello della sanità regionale, operativi pure quando la sanità regionale funzionava; ho consultato colleghi, e sono tutti dell’idea che l’area vasta era un progetto intelligente.
 
Ed anche nel contesto di area vasta esistono gli ospedali Hub e spoke, esiste un ospedale principale ove gli ospedali di base possono inviare i casi più complicati: Udine, Trieste, Pordenone, dove si concentra la maggiore complessità di intervento, e quindi si trovano i reparti di neurochirurgia, e di chirurgia vascolare, ecc. ecc… Ma non si possono chiudere gli ospedali di base, non si possono chiudere i reparti di medicina, perché è ridicolo intasare un ospedale hub con pazienti di medicina provenienti dal territorio ove i reparti sono stati smantellati». 
 
Anche sul territorio l’assistenza deve essere rivista e deve essere riportata al distretto.
 
«Anche sul territorio l’assistenza deve essere rivista. Dobbiamo superare i cap, che sono solo degli sportelli che ripetono quello che dovrebbe fare il distretto, e giungere ad una gestione dei malati che avvenga per processi e non per competenze. Perché ora si opera per competenze. Per un problema si telefona ad uno, per un altro ad un altro… e Telesca è giunta fino a dire che se uno sta male deve prima autodiagnosticarsi se è codice bianco o se è codice giallo o rosso, e poi telefonare ad uno od all’altro … Siamo arrivati a questo, alla follia pura. Quello che invece bisogna dare ai pazienti è un progetto, e per questo parlo di gestione per processi che permetta la continuità di cura e la massima vicinanza delle cure ai luoghi di vita delle persone. Cioè il paziente deve essere curato a casa, non può andare a girare per gli sportelli. Questo è il discorso fondamentale. E quindi bisogna pensare ad un vero progetto di distrettualizzazione, perché deve essere il distretto quello che cura, ma non un distretto pieno di sportelli, perché ci sono i telefoni, perché c’è il sistema informatico, che non so se funzioni dappertutto, perché ci sono i telefoni, ed almeno quelli urbani, funzionano.
In questo ambito e contesto vanno progettati anche i percorsi di cura del malato cronico grave, che è quello che ora non vuole nessuno. Perché il territorio non è capace di curarlo, l’ospedale non ha più letti… E questo è il malato più fragile, che ha necessità di cure. Questo dovrebbe essere uno degli obiettivi della rinascita della sanità della nostra regione.
E soprattutto una riflessione dall’Anaao, che ha ripreso un editoriale del British Medical Journal nel 2013: non è detto che sempre le cure territoriali possono ridurre i ricoveri, perché ormai ci sono anziani molto fragili, con pluripatologie complesse, che quando sono instabili devono essere ricoverati, non si possono curare a casa! Quello che si possa curare gli anziani sempre a casa, fa parte di ideologie prive di fondamento e di scientificità».
 
Ancora sui problemi dell’emergenza – urgenza.
 
«Ed ancora sull’emergenza. E qui bisogna rifar tutto, perché avevamo una buona emergenza e l’hanno distrutta totalmente. Questo è il centro di Dresda: bombardamento a tappeto. Bisogna tornare al dipartimento di emergenza, che non è una nostra invenzione, perché tutto il mondo ce l’ha, noi siamo invece riusciti ad eliminarlo, un dipartimento dell’emergenza urgenza che sia responsabile di tutta l’attività dell’area vasta; perché adesso non si sa da chi dipenda il punto di primo intervento di Gemona, non si sa da chi dipendano le ambulanze perché la centrale è a Palmanova, neanche si sa da chi dipenda Palmanova, e probabilmente neppure loro sanno da chi dipendono, e intanto la gente muore perché uno o l’altro non sanno da chi dipendono.
Cosa bisogna fare? So che sarà difficile, però la situazione attuale non è emendabile, non si può correggere. Io ho lavorato 30 anni nell’emergenza, e credo di sapere qualcosa nel merito. Secondo me bisognerebbe ritornare alle centrali operative provinciali, perché non è sostenibile il sistema attuale. Oppure il personale delle 4 province lo si deve mandare a lavorare a Palmanova, facendogli fare ogni giorno il viaggio su e giù, perché non è possibile che prenda la chiamata qualcuno che non conosce dove mandare il mezzo.
Infine l’Europa dice una cosa molto semplice. Oltre l’emergenza 118, ci deve essere anche un telefono, non una centrale a parte, che risponde pure all’urgenza diciamo più lieve, in sintesi qui la guardia medica o similare. Ma allora io dico, la centrale dovrebbe essere una centrale unica anche con più numeri, dove si processano le varie chiamate. Perché tra urgenza e non urgenza c’è una zona grigia, non c’è una separazione netta. Questo sta malissimo, questo non sta malissimo: fra loro c’è tutto un intermedio. E certo il malato non ci può dire al telefono a quale settore appartenga. Talvolta anche noi medici con il malato vicino, abbiamo difficoltà a capire cos’ha: ma vi immaginate rispondendo solo al telefono se io so posso sapere se chi chiama è un codice bianco giallo o rosso, ed ho buone probabilità di capirlo solo sovrastimando, e questo dovrebbe fare una centrale. Tra l’altro una centrale di questo genere diventerebbe il centro di coordinamento, il cervello dei centri di soccorso e della continuità assistenziale, perché si compenetrano, perché il malato cronico che ha una riacutizzazione diventa un’emergenza, non so di che grado, ma so che in questo settore non vi è o bianco o nero.
Quindi si impone un riferimento unico per tutti, il che comporta il ridisegnare la rete dei mezzi di soccorso e la rete dei presidi dell’emergenza. Però sempre con la responsabilità di un dipartimento di emergenza che è il garante, il responsabile, dell’emergenza nell’area vasta, e che permette di sapere chi sbaglia. Ed ai politici dico che devono scegliere dei tecnici che sappiano fare i tecnici, non devono farlo loro, ovviamente. Questa è la cosa essenziale».
 
L’importanza di costruire un piano fattibile.
 
«Per ridisegnare la sanità bisogna fare un piano, e io ne ho fatti di piani. Fare un piano significa produrre un documento programmatico, nero su bianco, non fare gli annunci della Telesca, non fare dichiarazioni del dover essere, che deve avere le caratteristiche della fattibilità, cioè che deve poter essere realizzabile. e servono degli studi che simulino e prevedano l’impatto organizzativo, perché quando hanno deciso di far chiamare prima il 112 che passa poi al 118 per le chiamate di emergenza, chiunque capisce che avvengono due passaggi e tutti comprendono che il tempo per inviare il soccorso raddoppia: non è possibile diversamente. E non mi possono dire che la centrale 118 è in rodaggio! Perché in questo caso rodaggio vuol dire: quanti morti? E poi, dato che i soldi sono quelli che sono, ci sono delle priorità».
 
Il problema di ridisegnare il ssr implica un approccio tecnico valutativo, non ideologico.
 
«Il problema del ridisegnare il ssr implica un approccio non ideologico ma tecnico valutativo, deve partire dall’analisi anche spietata dei dati, il che implica di non dire che tutto va bene, ma invece di riconoscere che alcune cose vanno male e non possono essere nascoste. Pertanto devono esser individuati obiettivi misurabili e raggiungibili. Prima vi ho mostrato i tempi di attesa per interventi chirurgici bloccati al 2015. Perché non ce li vogliono dire? Invece io devo sapere quali sono le cause del fatto che prima operavo uno entro tre mesi e ora entro quattro. Perché se prima si operava in tre mesi, devo ritornare indietro a quel tempo di attesa, ma per farlo devo avere dei dati, devo avere qualcosa di trasparente. Solo con un sistema trasparente, senza paura del dato anche se denuncia un insuccesso, si può attivare la spirale virtuosa della qualità. Ed a proposito di qualità, anche a Gemona hanno tolto la Joint Commission che era un modo per controllare la qualità, ed adesso la mantiene solo Udine, e dovremo trovare il modo di riaverla per tutta la regione».
 
Walter Zalukar.


Ma per ritornare all’articolo citato in premessa, esso riporta che, tra gennaio e luglio del 2017, le statistiche segnalano ben 389.133 decessi, un dato che supera di 28.174 unità quanto registrato nei primi sette mesi del 2016. E se dovesse continuare così, il bilancio finale dell’anno che sta per chiudersi potrebbe essere di 663.284 morti, con un incremento di ben 48 mila casi rispetto allo scorso anno, aumento che, unito alla natalità decrescente, potrebbe avere forti riflessi sugli aspetti demografici. (Gian Carlo Blangiardo, op. cit.). E se è indubbio che negli ultimi anni si è assistito a un generale miglioramento dello stato di salute della popolazione italiana, «è anche vero che non tutti i cittadini hanno beneficiato e beneficiano tuttora allo stesso modo di questi progressi. Continuano infatti a persistere importanti differenze in termini di salute e di mortalità entro i diversi gruppi sociali. Mentre chi dispone di buone condizioni economiche, possiede un elevato livello di istruzione, risiede in aree non deprivate si caratterizza per un profilo generalmente più sano e vede ridursi, anche nelle età più avanzate, il rischio di morte, sul fronte opposto si collocano milioni di soggetti che vivono in condizioni di fragilità. Una fragilità che va spesso formandosi e accentuandosi col progredire dell’età e che, se non adeguatamente contrastata, finisce col risultare letale». (Ivi). «In ultima analisi, si ha l’impressione che i 27 mila morti in più – quelli non giustificabili con l’invecchiamento della popolazione – contabilizzati nel corso del 2017, siano la logica conseguenza di un atteggiamento e di una cultura (anche politica) distratta dall’illusione che sul piano sanitario tutto possa andare sempre e comunque nel segno del progresso. Ma il picco di mortalità del 2015 non è stato un fatto episodico. È stato solo un primo segnale, inascoltato, del nuovo corso di una sanità alle prese con la crescente difficoltà nel sostenere, purtroppo con risorse limitate, una popolazione sempre più anziana, entro cui i soggetti fragili si riformano instancabilmente. I dati statistici del 2017 confermano l’avvio di una sfida impegnativa e dall’esito incerto. Una sfida che potremo vincere solo chiamando all’appello il contributo di tutte le componenti della nostra società e solo se sapremo dare priorità e valore al principio e agli attori della solidarietà». (Ivi).
 
Per questo motivo ho riportato l’interessantissimo contributo del dott. Walter Zalukar, per iniziare la via in salita per vincere la sfida.
 
Ringrazio il dott. Walter Zalukar, che vi invito a leggere anche sul suo sito Costituzione 32, per il permesso di pubblicazione concessomi. L’immagine che accompagna l’articolo ritrae il dott. Walter Zalukar ed è tratta solo per questo uso, da: http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2013/12/31/news/zalukar-resta-al-lavoro-fino-al-2019-1.8390301
 
Laura Matelda Puppini.

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E sempre dal sito "nonsolocarnia.info", LEGGI ANCHE l'ottimo articolo:


"FVG. AAS3 E SANITÀ IN MONTAGNA"

pubblicato il 17 dicembre 2017

http://www.nonsolocarnia.info/fvg-aas3-e-sanita-in-montagna/

(.......)

Caratteristiche territoriali della nuova AAS3.

La nuova Aas 3, figlia della riforma Marcolongo – Telesca, è caratterizzata da un territorio molto vasto: 3104 Kmq, circa il 40% del territorio regionale e circa il 63% della provincia di Udine, e comprende aree montane, collinari e di pianura. (...)

L’Aas3 era, e forse è, penalizzata nelle entrate.

Si sa che i bilanci sono fatti da entrate ed uscite. Alcuni aspetti mi hanno particolarmente colpito rispetto al budget di entrata per le aziende regionali ed in particolare per l’Aas3. Infatti nel 2015 il riparto del fondo sanitario tra le nuove Aas continuava a vedere in testa alla classifica per finanziamento regionale a paziente l’area triestina. A lei, infatti, spettavano 1.916 euro pro capite. Al secondo posto veniva la Aas4 Medio Friuli, con 1.845 euro; al terzo l’Aas 2 Isontino-Bassa Friulana con 1.484 euro per paziente; a cui seguiva la Aas 5 Friuli occidentale con 1.417 euro, ed infine, fanalino di coda, la Aas 3 Alto Friuli con 1.383. (Elena Del Giudice, Sanità, friulani penultimi in Italia, in: Messaggero Veneto, 27 aprile 2015, dati da me ripresi in: Laura M Puppini. Governo, regione, sanità, delle entrate e delle spese, in. www.nonsolocarnia.info). (...)
 
 
Sanità on the road

Ultima novità della riforma Marcolongo – Telesca: la perdita della territorialità dei servizi. Infatti noi della montagna, con la riforma, abbiamo iniziato ad avere proposte di visite ambulatoriali “dai monti al mare” senza assicurazione di continuità medico/ospedaliera; e ci troviamo le liste di attesa dell’ospedale più vicino riempite da residenti anche al di fuori del territorio dell’ aas3, e io, un paio anni fa, abitando a Tolmezzo, per una visita ortopedica con priorità, non riuscendo quasi a camminare, mi sono sentita proporre, come da lista di posti disponibili,  Palmanova, mentre la mia anziana madre ha trovato posto per una visita specialistica a Gorizia, pur essendo domiciliata presso il centro anziani di Moggio Udinese. Inoltre il trasporto costa, quello pubblico spesso non c’è o per fruirne devi star fuori, per una consulenza specialistica che potevi avere sotto casa, una giornata intera, con ulteriori spese e disagi. Se poi sei anziano è possibile che tu rinunci alla visita stessa. Si impone quindi una distrettualizzazione dei servizi tra Gemona/Tolmezzo/San Daniele/ con priorità di accesso per visite ecc. dei residenti nel territorio aziendale. Non si può infatti, in ipotesi, doversi spostare da Forni di Sopra o Tolmezzo a Pineta del Carso, come faceva notare, al convegno del 14 dicembre 2017, il dott. Beppino Colle. (....)

Ed infine, relativamente alla sanità Fvg, vi è chi sottolinea che …
 
E per concludere, un recente articolo ci ricorda che: «Assieme ad altre regioni, il Friuli Venezia Giulia ha ottenuto la maglia nera della sanità: lo rileva la quinta edizione (2017) del ranking dei servizi sanitari regionali (Ssr), elaborata nell’ambito del progetto “Una misura di performance dei Ssr” condotto dal Crea Sanità – Università degli Studi di Roma Tor Vergata». ( http://www.infermieristicamente.it/articolo/7882/il-friuli-ottiene-la-maglia-nera-della-sanita/ ), ove si leggono pure le dichiarazioni del Coordinatore Regionale NurSind Gianluca Altavilla, che sostiene che non vi è stato in Regione Fvg, «Nessun investimento reale, soltanto parole di ottimismo. Peccato che non realizziamo elettrodomestici, ma produciamo salute». (...)
 
Laura Matelda Puppini
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Come Redazione del Blog, nel complimentarci con Laura Matelda Puppini per gli ottimi servizi sulla sanità regionale, e montana in particolare, pubblicati sul sito ""nonsolocarnia.info" non possiamo che fare nostra la dichiarazione del Coordinatore Regionale NurSind Gianluca Altavilla: "Peccato che non realizziamo elettrodomestici, ma produciamo salute". 

LA REDAZIONE DEL BLOG