REFERENDUM,
ALCUNI
QUESITI FONDAMENTALI
di
Roberto
Dominici
Quando
i cittadini sono chiamati ad esprimersi esercitando la propria
sovranità, il nostro invito è di
informarsi personalmente, al fine di avere chiari tutti gli elementi
di giudizio circa la posta in gioco e le sue durature conseguenze”.
Così
il Presidente della Cei nella prolusione al Consiglio episcopale a
proposito del prossimo referendum. Ricordo poi che il Presidente
Einaudi era solito dire che per decidere bisogna prima conoscere. Nel
caso del referendum, dunque, è bene ascoltare tutti ma poi
riflettere e decidere in proprio senza lasciarsi trascinare da
logiche di appartenenza, da slogans spesso superficiali, dalla sola
formulazione dei quesiti.
La
materia oggetto di referendum è vasta e complessa e, pertanto,
richiederebbe un esame articolato ed approfondito che, purtroppo, non
è possibile fare in un intervento di estrema sintesi.
Ad
esempio: Senato sì, Senato no, Senato diverso. Credo
però che ciò che interessa di più sia il tema
della autonomia regionale
con riguardo specifico alla nostra. Ed
allora proviamo a porci insieme alcuni interrogativi.
La
nuova disciplina costituzionale definisce le materie di esclusiva
competenza dello Stato e quelle di competenza delle Regioni. Ciò, in
linea di principio, è positivo. Ma tra
le competenze dello Stato sono inserite pure le materie
cosiddette “ripartite”,
cioè quelle che oggi sono a competenza “mista” dello Stato e
delle Regioni. Si dice che ciò avviene per evitare
conflitti di attribuzione. Se questa è la ragione, è da ritenersi
positiva la soluzione adottata (tutto in capo allo Stato) o si
poteva pensare altrimenti, per esempio mantenere la competenza
“mista” e precisare bene, per entrambi i soggetti istituzionali,
i termini dell'esercizio delle competenze ripartite? Eppoi:
è
un bene che il territorio non abbia “potere” alcuno su questioni
e problemi che comunque lo riguardano? È da ritenersi positiva
questa “recisione” dell'autonomia regionale in genere con
conseguente riaccentramento in sede nazionale?
Per
le Regioni a statuto speciale, quindi anche il F.V.G., la legge a
giudizio referendario precisa (art.
39, comma 13) che “le
disposizioni di cui al Capo IV (tra esse quelle suindicate) non si
applicano alle Regioni a statuto speciale … fino alla revisione dei
rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni ….”.
Dunque un
“regime transitorio” durante il quale si va avanti con lo statuto
vigente. È pacifico che prima o poi tale regime dovrà avere
conclusione;
credo più prima che poi poiché tutto l'assetto istituzionale dovrà
allinearsi alle nuove disposizioni costituzionali.
Che succederà in
quel momento con riguardo alle nostre competenze? Saranno mantenute?
Saranno ampliate come vorrebbero i cultori della specialità o
saranno ristrette in ossequio alla “filosofia” ispiratrice
dell'attuale riforma e cioè più Stato?
La
norma dice che la revisione dello statuto speciale avviene “d'intesa”
con la Regione,
il che, secondo alcuni, è elemento di garanzia per la
specialità e, secondo altri, è addirittura occasione di revisione
in meglio della stessa. Ma sarà così? Che rapporto si instaurerà
con lo Stato nel momento in cui si andrà a definire l'”intesa”?
Regione e Stato saranno veramente nei fatti e non solo formalmente
sullo stesso piano negoziale o lo Stato tenderà a prevalere? Per i
reggenti della Regione sarà determinante, come è decisamente
auspicabile, il dovere di rappresentare le esigenze dei nostri
territori o esso, per necessità comprensibili ancorché non
giustificabili, cederà il passo ad altre ragioni od esigenze?
Ed
ancora: che
“peso” avrà l'”intesa” nei confronti del Parlamento chiamato
poi a legiferare? Ed ai fini dell'”intesa” si potrà prescindere
dai principi ispiratori della riforma che sono volti a potenziare il
ruolo dello Stato, non quello delle Regioni?
A
mio giudizio meglio sarebbe stato se la norma, senza addentrarsi sul
territorio della revisione dello statuto speciale, si fosse limitata
a prevedere l'“intesa” per l'attribuzione alla Regione di
ulteriori competenze rispetto a quelle già in essere. Con una norma
così non avrebbero spazio gli interrogativi prima posti. Ma così
non è.
C'è
poi la “clausola
di supremazia”
(art. 31 della legge costituzionale) secondo la
quale la legge nazionale può intervenire anche sulle materie di
competenza regionale “quando lo richieda il Governo per la tutela
dell'unità giuridica ed economica della Repubblica, ovvero la tutela
dell'interesse nazionale”. Come
dire a ciascuna Regione: hai sì la competenza su questa o quella
materia ma essa può essere “espropriata” caso per caso
ricorrendo le situazioni appena dette. È la classica “spada di
Damocle”. Va
bene così? Va bene rischiare la “compressione” della specialità
nel suo complesso ed il possibile “svuotamento”, nei casi
suindicati, di competenze già proprie?
Questi
sono ovviamente solo alcuni spunti per stimolare la riflessione e
sono riferiti, come dicevo all'inizio, esclusivamente a temi che
attengono l'autonomia regionale.
Dobbiamo
essere consapevoli del fatto che col referendum sono gli elettori,
cioè ciascuno di noi, e non altri ad assumere la decisione finale.
Ciascuno con la propria valutazione e con la propria visione del
futuro assetto istituzionale.
La
risposta agli interrogatori posti può aiutare a decidere. Almeno me
lo auguro.
Roberto
Dominici
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Il
documento a firma di Roberto Dominici è stato pubblicato sul settimanale dell'Arcidiocesi di Udine, LA VITA CATTOLICA,
mercoledì 9 novembre 2016 – Rubrica “Giornale aperto”; è' stato pubblicato sul quotidiano IL MESSAGGERO VENETO (Ud), mercoledì 16 novembre 2016, rubrica "Idee" a pagina 41
La
Redazione del Blog ringrazia Roberto Dominici, già Assessore regionale alla
ricostruzione (post terremoto del 1976) della regione Friuli – Venezia Giulia, per averle
concesso la pubblicazione del suo documento.
Colori, grassetto e sottolineato sono della Redazione del Blog.
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