La colonia
Dinamiche
di aggressione linguistica
sulla comunità friulana
di Alessandro Carrozzo
1. Elementi fondamentali del colonialismo
Il sistema colonialistico, come si è imposto successivamente alle esplorazioni europee che inaugurano l’Età Moderna, è stato assai studiato e, visto che in diverse forme perdura tuttora, è possibile studiarlo oggigiorno nelle sue dinamiche.
In genere il paese colonizzatore ha maggior forza e la pone come unico piano di confronto rispetto al paese colonizzato: tale forza può reggersi su una base tecnologica (p.es. armi da fuoco), demografica (p.es. sovrappopolazione in Europa che trova una valvola di sfogo in America, laddove i nativi avevano una densità demografica molto bassa), economica (p.es. potere economico nordamericano che intende mantenere posizioni di vantaggio rispetto al Sudamerica).
Visto che però un rapporto tra gruppi di persone che si fondi esclusivamente sulla forza, senza il riconoscimento di nessun diritto, in generale viene considerato inumano e inaccettabile in paesi che si vantano di essere civili, il colonialismo, per trovare una giustificazione necessita di uno sforzo ideologico: così si teorizza la superiorità intrinseca dei colonizzatori sui colonizzati, affinché l’imposizione della forza possa essere fatta passare per civilizzazione.
L’obiettivo fondamentale del colonialismo è la maggior predazione possibile dei beni del paese colonizzato: ove la differenza di forza sia grande il saccheggio si svolge con violenza libera e palese, non c’è bisogno di sovrastrutture complesse, in caso per fiaccare ulteriormente i colonizzati si fa in modo che lottino tra di loro creando pretesti di conflitto e sostenendo ora l’una, ora l’altra parte; laddove invece la differenza di forza tra colonizzatori e colonizzati è minore i primi possono comprare l’appoggio di una élite locale (spesso nuova rispetto a quella tradizionale) che si lascia corrompere e diviene collaborazionista. L’accordo con una classe privilegiata locale è spesso lo strumento più utile per dominare un territorio, ma rende più complesso il quadro delle dinamiche del colonialismo e, alla lunga, può anche diventare uno dei fattori che portano alla decolonizzazione. Infatti tale accordo obbliga i colonizzatori a rispettare almeno qualche patto: grazie alla collaborazione della classe privilegiata locale, la maggior parte della ricchezza può essere sottratta al paese, ma è sempre possibile che da tale élite emerga qualche esponente che, per brama di potere, ambizione o anche per spirito patriotico, innesca dinamiche di rivolta. Per di più, perché il sistema colonialista possa permanere, è importante che al paese dominato venga preclusa qualsiasi possibilità di sviluppo autonomo. Infatti se si lascia aperta la via dello sviluppo, sia a opera dei nativi che dei coloni stessi, potranno avviarsi processi di liberazione dal potere colonialista originario: per fare un esempio, è quanto accadde negli Stati Uniti d’America, in cui i coloni europei cominciarono a sentirsi sfruttati (sebbene nello stesso tempo fossero colonizzatori rispetto ai nativi) e grazie alle ricchezze che a producevano furono in grado di organizzarsi e di conquistare l’indipendenza dalla corona britannica.
Coerentemente con tale descrizione elementare si può asserire che il colonialismo è un’attività violenta:
- contraria ai diritti umani individuali e collettivi
- contraria ai principi dell’economia produttiva (e infatti è stato condannato da vari liberisti)
Perciò, a dispetto dello sforzo compiuto per giustificarla con la superiorità dei colonizzatori sui colonizzati e di travestirla da “civilizzazione”, l’attività coloniale è considerata, oggigiorno, un qualcosa di negativo e criminale. Ciò nonostante è ancora praticata, a causa degli enormi profitti che permette di acquisire in poco tempo.
Esiste poi anche un altro tipo di colonialismo, quello “culturale”, generalmente connesso con quello economico e politico: in pratica la cultura di chi che si impone come “superiore” passa anche ai colonizzati, che sebbene si trovino in una condizione di sudditanza o addirittura di schiavitù, finiscono per essere talmente condizionati culturalmente e psicologicamente da identificarsi con i dominatori, col giustificarli, e quindi finiscono per disprezzare e odiare se stessi e la propria tradizione e cultura originaria (si può definire questo atteggiamento “auto-odio”).
Una forma specifica di colonialismo culturale è quella del colonialismo linguistico, che tende a segregare una lingua, fino a farla scomparire, a favore della lingua dei dominatori, con un processo denominato “sostituzione linguistica”.
2. Il colonialismo culturale e linguistico in Friuli
Nonostante i proclami di democrazia e rispetto dei diritti fondamentali, riconosciuti anche a livello costituzionale, l’attività coloniale viene tuttora praticata nel cuore stesso dell’Europa. Nei paragrafi che seguono saranno presentati elementi che denunciano chiaramente un episodio particolare di colonizzazione: la colonizzazione culturale e linguistica praticata dall’Italia ai danni della comunità friulana.
2.1 L’invasione veneziana: colonialismo militare, economico e politico, ma non linguistico.
Il primo episodio di colonialismo in Friuli (centro-occidentale) è stato quello compiuto dalla Repubblica di Venezia nel 1420 e durato fino alla morte della Repubblica stessa. In questa circostanza l’attività coloniale è stata prevalentemente militare, economica e politica: gli storici più onesti sono concordi nel riconoscere che Venezia invadendo la Patria del Friuli la svuotò dei suoi poteri, pur lasciandola formalmente in piedi, e impedì il suo sviluppo economico autonomo, utilizzò il suo territorio come margine di sicurezza militare e tuttalpiù come riserva di caccia o zona boschiva, fonte del legname per le sue navi. L’invasione veneziana ebbe effetti anche a livello linguistico: la lingua friulana perse qualsiasi valore ufficiale (che prima invece deteneva, essendo usata per iscritto accanto al latino e al toscoveneto). Oltre a ciò, però, in generale finché durò il dominio veneziano, non si verificò une sostituzione linguistica di massa e i pochi episodi documentati (Marano, la Bisiaccheria) sono il risultato di ripopolamenti piuttosto che di un programma di colonizzazione linguistica, anche a causa del fatto che gli stati dell’Età Moderna possedevano mezzi assai meno incisivi sulla società rispetto agli stati dell’Età Contemporanea.
2.2 Il Friuli sotto l’Austria
Il Friuli orientale, sotto il dominio dell’Austria dal 1500, non subì colonialismo, restò vincolato al mondo germanico, come lo era stato già prima, sotto la dinastia dei conti di Gorizia, ma senza perdere la fratellanza col resto del Friuli. Il suo sviluppo autonomo non fu impedito, anche se nel complesso, trattandosi di una zona periferica dell’Impero, non fu neppure sostenuto con cura: come in altre regioni dell’Impero Austriaco le riforme giunsero in ritardo e spesso furono condotte con difficoltà e corruzione (come nel caso delle bonifiche dell’aquileiese). Dopo gli sconvolgimenti dell’età napoleonica anche il Friuli che si trovava sotto Venezia fu annesso, con tutto il Veneto e la Lombardia, ai domini asburgici: in tali territori, come al solito, la politica linguistica imperiale fu pluralista e tollerante, le lingue dei popoli dell’impero non erano discriminate né perseguitate. In Friuli, nella fattispecie, si ebbe da una parte une politica inerziale rispetto alla situazione vigente, quindi la posizione dominante dell’ “italiano” che si era instaurata nell’uso scritto sotto Venezia non fu intaccata; d’altra parte, anche col progredire degli studi glottologici e della coscienza che l’idioma era un fattore fondamentale d’identità nazionale, fu riconosciuta al friulano la dignità di lingua, fu usato talvolta anche nell’istruzione e non fu minacciato negli ambiti in cui era presente (per esempio nell’uso orale in tutti gli organi amministrativi o nel rituale religioso).
2.3 L’invasione italiana
L’unificazione d’Italia fu portata a termine in un ambiente ideologico molto contraddittorio: principi monarchici, repubblicani, liberali, cattolici, laici, federalisti ecc. si mescolavano e si scontravano in diverse proporzioni nel pensiero degli intellettuali che sostenevano l’unità d’Italia, che infine fu realizzata con la forza politica, economica e militare di piemontesi e lombardi (e dei loro alleati). A dispetto di tante aspirazioni alla libertà e al progresso, il nuovo Regno d’Italia nacque e rimase di impostazione conservatrice e reazionaria e si fondò su principi nazionalisti di derivazione francese. La repressione delle classi popolari, la guerra terroristica contro la resistenza borbonica, la distruzione delle possibilità di sviluppo dell’Italia meridionale e delle isole e la concentrazione del potere economico in Piemonte e in Lombardia sono fatti storici ben noti. Al contrario sono sotto gli occhi di chiunque, sono ancora spesso negati, i fenomeni di colonialismo culturale verificatisi nei vari territori dello stato italiano unitario e in particolari in quelli in cui era presente una minoranza linguistica ben distinta.
Il Friuli, popolato maggioritariamente da genti di lingue assai differenti dall’italiano (friulano, sloveno, tedesco) è un esempio limpido e mostra come il colonialismo linguistico segua gli stessi modelli di quello economico.
2.4 Gli obiettivi e i sistemi del colonialismo culturale e linguistico in Friuli
Se l’obiettivo del colonialismo è il saccheggio delle ricchezze, il colonialismo culturale e linguistico gli fanno da supporto, oppure possono avere applicazioni specifiche: si può affermare che senza dubbio un Friuli diverso per lingua e cultura da un modello italiano è malvisto dal nazionalismo italiano, che si è sempre posto l’obiettivo territoriale minimo dello spartiacque alpino. In tale prospettiva i territori in cui sono insediati popoli differenti devono essere snazionalizzati e italianizzati.
I sistemi più brutali sono stati riservati certamente alla popolazione del Friuli orientale, conquistato solamente nel 1918, in particolare contro quella di lingua slovena: violenze e prevaricazioni che hanno fatto che questa zona fosse definita “la seconda Irlanda” da qualche rappresentante politico indignato, che si riferiva ai sistemi analoghi utilizzati dagli inglesi per reprimere le aspirazioni di libertà degli irlandesi.
Rispetto alla comunità linguistica friulana si possono individuare le seguenti linee strategiche, che a vengono presentate per come si sono originate e per la situazione in cui si trovano attualmente.
2.4.1 Limitazione pratica degli ambiti in cui la lingua friulana può essere usata
a) Proibizione di qualsiasi uso ufficiale – L’unica lingua ufficiale dello stato italiano unitario fu l’italiano letterario, di matrice toscana, che nel XIX secolo non era parlato come prima lingua praticamente da nessuno e che era parlato come lingua colta da una minoranza di intellettuali (il Manzoni stesso o Camillo Benso di Cavour parlavano come lingua colta il francese); le lingue autoctone diverse dall’italiano sono state considerate “malerba dialettale” o peggio, lingue degli invasori. Sebbene la costituzione repubblicana abbia garantito pari diritti ai cittadini dello stato e sebbene dichiarasse di tutelare le minoranze linguistiche, si sono dovuti attendere oltre 50 anni per avere una legge che desse applicazione a tali principi, peraltro con livelli che in Europa sono considerati minimi. Per di più l’applicazione concreta è stata elusa o impedita, soprattutto negli ambiti strategici della scuola e della comunicazione radiotelevisiva. Questa situazione di illegalità e si mantiene tuttora.
b) Proibizione perfino dell’uso liturgico – Nel 1915, col pretesto che la truppa che si recava a messa non poteva capire il friulano, il Regno d’Italia impose ai preti di predicare solo in italiano. Tale imposizione rimase anche dopo la fine del conflitto. Attualmente la messa in friulano non è vietata, ma è ostacolata, anche dalle autorità ecclesiastiche romane, che per esempio ritardano ingiustificatamente il permesso all’uso del messale in friulano.
c) Esclusione dall’insegnamento – Essendo l’italiano l’unica lingua ufficiale, questa è stata la sola lingua insegnata a scuola, eventualmente con l’aggiunta di poche ore di una lingua straniera (in genere inglese, francese o tedesco) e delle lingue classiche (greco e latino); con l’avvento della democrazia e dell’autonomia scolastica diversi insegnanti friulani hanno approfittato della facoltà di insegnare “cultura locale” per sperimentare anche l’insegnamento della lingua friulana. Nonostante le leggi dello stato (dal 1999) e della regione (dal 2007) prevedano l’insegnamento curricolare del friulano, questo non è stato ancora mai applicato e sono stati permessi e finanziati al massimo progetti sperimentali.
d) Punizione anche dell’uso privato e al di fuori delle lezioni nelle scuole e in altri ambiti pubblici – La lingua friulana è stata proibita a scuola perfino a ricreazione e in momenti non didattici, come che si può leggere nei libretti personali, neppure tanto vecchi, che prescrivono che l’unica lingua ammessa a scuola era l’italiano, mentre a parlare in friulano (o peggio ancora in sloveno), si poteva essere soggetti a una sanzione. Per fortuna questa situazione è stata superata dalle leggi di tutela.
e) Interruzione della trasmissione da genitori a figli - In particolare gli insegnanti sono stati indotti a convincere i genitori (contro qualsiasi evidenza didattica, pedagogica e linguistica) che se avessero parlato in friulano ai figli, questi non avrebbero potuto apprendere l’italiano. Già da anni intellettuali friulani anche altamente titolati, che hanno trovato il sostegno di ricerche anche a livello internazionale, hanno dimostrato che tale pratica ha inferto un grave danno alla comunità linguistica friulana, ma anche a quella italiana, per un verso portando il friulano a perdersi da una generazione a quella successiva, per l’altro verso moltiplicando gli errori nell’uso della lingua italiana, appresa dalle labbra di chi non la dominava abbastanza (fenomeno verificatosi in tutta Italia).
f) Trasferimento di un gran numero di lavoratori pubblici da altre zone d’Italia (militari, funzionari, insegnanti...), mentre i friulani dovevano emigrare – Tale fenomeno, pilotato con il fine di mescolare i diversi “italiani” per sfumarne le differenze, è stato attivo per un secolo, abbinato al sottosviluppo economico del Friuli, che obbligava molti friulani a emigrare, mentre, almeno in parte, avrebbero potuto essere istruiti per svolgere le stesse mansioni fatte dai funzionari portati da altre parti d’Italia.
2.4.2 Elaborazione di una teoria e di una propaganda della superiorità
a) Associazione della lingua italiana a valori positivi (eleganza, ricchezza, potere, sapienza, gioventù, modernità, tecnologia) e della lingua friulana a valori negativi (miseria, maleducazione, alcolismo, vecchiaia) – Parzialmente l’associazione dell’italiano a valori positivi si generava in modo spontaneo, a causa del suo status di lingua ufficiale e unica lingua usata nella scuola e nell’università, in parte però è stata sforzata; del tutto sforzata è stata l’associazione della lingua friulana a valori negativi, affinché i friulani si vergognassero di parlare la loro lingua. Con la crisi dei valori borghese e con la crescita di status della lingua friulana che si è attuata negli ultimi 20 anni, questa linea strategica ha perso in grande misura la sua efficacia, ma è ancora attiva.
b) Presentazione di una storia deformata – Attraverso la scuola, ma anche attraverso i libri e i mezzi di comunicazione di massa, è stata diffusa la conoscenza della grande Storia d’Italia, gloriosa e eroica (anche quando la realtà era tutt’altra), e invece è stata ignorata del tutto la storia del Friuli, ad eccezione della romanità di Aquileia, funzionale agli ideali nazionalisti italiani, che rivendicano l’eredità di Roma.
Ancora al giorno d’oggi l’insegnamento della storia friulana, nelle scuole del Friuli, è rimessa alla buona volontà degli insegnanti o a pochi progetti sperimentali.
L’obiettivo di questa dinamica è evitare che i friulani conoscano la loro storia, si vergognino di essere tanto piccoli di fronte alla grandezza d’Italia, perdano la loro identità per interiorizzare valori nazionalisti.
c) Diffusione dell'idea della Piccola Patria (il Friuli) all’interno della Grande Patria (l’Italia) – Tale concetto, nato dell’incongruenza di intellettuali friulani “collaborazionisti” è stata una delle trovate più riuscite: facendo leva sul sentimento di affetto naturale dei friulani per la loro terra (il Friuli) e la loro oggettiva distinzione dal resto d’Italia, è stato duplicato in concetto di Patria, in una più piccola, quindi minore e inferiore, che deve lottare e sacrificarsi per la Grande Patria (l’Italia), seguendo quella che è quasi la suo funzione unica e predestinata: la guardia dei sacri confini. In questa chiave va interpretata anche la particolare relazione tra friulanità e nazionalismo italiano degli Alpini friulani. Tale concetto è stato straordinariamente vivo soprattutto nella prima metà dal secolo XX, in corrispondenza con le guerre, ma resta decisamente presente, specialmente nei mezzi di comunicazione, ancor oggi.
d) Diffusione dell’ideale del friulano “salt, onest e lavoradôr” – Anche questo concetto è stato elaborato da intellettuali friulani “collaborazionisti”; di primo acchito sembra del tutto incoerente col punto a), visto che lega la friulanità a valori positivi; in realtà tale associazione è funzionale e complementare alla prima, visto che intende diffondere un’identità di ubbidienza, di sottomissione, di sacrificio, per indebolire al sentimento di ribellione che potrebbe nascere dall’associazione esclusiva a valori negativi. Questo stereotipo, seppur criticato, è tuttora assai presente nell’immaginario collettivo.
e) Diffusione dell’idea che il friulano è una lingua talmente bella da poter essere usata solo per la poesia – Si tratta di uno degli ultimi sviluppi dell’ideologia che cerca di sottrarre al friulano l’estensione “normale” di una lingua, quindi la possibilità di essere usata per qualsiasi tipo di comunicazione, a tutti i livelli. Il punto a) aveva cercato di far pensare che il friulano è solo un “dialettaccio da stalla e da osteria”; visto che però questa linea non è più accettata, si ripiega asserendo che per onorare il friulano non servono pianificazione linguistica, insegnamento, traduzioni, libri, segnaletica e tutto ciò di cui dispone ogni lingua: servono esclusivamente le poesie.
2.4.3 Sobillamento di lotte interne
a) La questione della grafia e della koinè – Rispetto alla disattenzione generale della stampa di sistema per la lingua friulana e per una grande quantità di iniziative interessanti e positive che sono state realizzate, hanno sempre avuto una grande evidenza le polemiche sulla grafia e sulla koinè, che in realtà avevano estenuato i friulanisti già agli inizi del Novecento. Infine, grazie all’impegno politico, tecnico e anche tecnologico di militanti per la lingua friulana, la questione della grafia e della koinè si è chiusa nel 1996, per legge, e si è sigillata negli anni successivi con l’elaborazione di strumenti quali dizionari, correttore ortografico, traduttore automatico. In ogni caso l’importanza di fattori di divisione impediscano ai friulani di disporre di una lingua standard (pur nel rispetto di tutte le varietà) fa che il sistema colonizzatore e i suoi collaborazionisti cerchino di rimettere in discussione ancor oggi queste grandi conquiste. Per di più le campagne d’informazione, volte ad esaltare le divisioni e i contrasti, hanno diffuso nell’immaginario collettivo anche il concetto che i friulani, e in particolar modo i friulanisti, sono “attaccabrighe”, cosa che forse è vera, ma che è comune a tutti gli altri “umani”, e che è in contrasto con lo stereotipo del suddito “salt, onest e lavoradôr”.
2.4.4 Accordo con una classe privilegiata “collaborazionista”
a) Costituzione della Società Filologica Friulana – Nel 1919 nasceva a Gorizia, città appena conquistata dall’Italia, la Società Filologica Friulana; le finalità erano quelle dello studio e della valorizzazione della friulanità, ma in un ambito nazionalista italiano, in particolare antisloveno e antiaustriaco, ma anche, in definitiva, antifriulano. La SFF, con un’evidenza che è stata ammessa perfino da suoi stessi soci che hanno delineato una sintesi della sua storia, si è sempre compromessa con il potere politico dominante, che era ed è antifriulano, moderando e compensando in parte le forme del colonialismo culturale e linguistico, ma in realtà sostenendolo e rendendolo più sottile. La SFF e diventata in tal modo non un ente per lo sviluppo della lingua friulana, ma uno strumento per il controllo e per la sottomissione dei friulani: perciò, mentre tutte le associazioni non fasciste sono state chiuse dal fascismo, la SFF ha potuto continuare la sua attività, a patto, naturalmente, di far propaganda al regime e di ridurre la lingua friulana a elemento folclorico. Una funzione primaria della SFF è stata quella della diffusione degli stereotipi di “Piccola Patria” e di “furlan salt, onest e lavorador”. D’altra parte, com’è sempre possibile che dalla classe collaborazionista, privilegiata dai colonizzatori, emerga qualche esponente che, per spirito patriotico, innesca dinamiche di rivolta, così è successo che esponenti della SFF abbiano avuto un’importanza eccezionale per lo sviluppo della lingua friulana (si pensi per esempio a Giuseppe Marchetti o a Giovanni Frau), o che la Filologica intera, ufficialmente, abbia sostenuto campagne di rivendicazione dei diritti linguistici, in genere però restando su posizioni moderate. Anche attualmente il vincolo tra Società Filologica Friulana e potere dominante è molto forte: lo dimostra per esempio il fatto che nella discussione della legge regionale 29/2007 sulla lingua friulana, una discussione realmente tormentata da scontri trasversali, l’unico comma approvato all’unanimità sia stato proprio quello del riconoscimento alla SFF.
b) Costituzione degli Enti per gli emigranti - Parallelamente alla costituzione della SFF, che si è occupata dei friulani in Friuli, con la stessa prospettiva di controllo e di potere sono stati costituiti gli enti per gli emigranti, in particolare l’Ente Friuli nel Mondo (1953), legato alla Società Filologica Friulana e alla Democrazia Cristiana, l’EFASCE, ricostutuito dopo la seconda guerra mondiale, di orientamento cattolico e specifico della zona di Pordenone, e dopo (1968) la ALEF, legata ai partiti di sinistra. Sia da un punto di vista politico che linguistico la finalità di tali enti è sempre stata chiara: dietro l’assistenza e l’organizzazione degli emigranti, che per altro si erano già organizzati da soli in “fogolârs furlans” e “fameis furlanis”, ciò che interessava era estendere all’estero le stesse dinamiche che si verificavano in patria. Questi enti, ognuno con una responsabilità proporzionale alle proprie risorse, hanno avuto une grande importanza a livello politico nell’impedire la adesione di molti emigranti alle idee politiche autonomiste friulane. A livello linguistico si sono sempre impegnati nell’offrire corsi di italiano ai friulani all’estero e ai loro discendenti. Anche se essi domandavano e domandano di imparare il friulano, l’Ente Friuli nel Mondo e la ALEF non hanno mai soddisfatto queste richieste (con scarse eccezioni sperimentali e solo negli ultimi anni).
c) Istituzione della Regione “Friuli (-) Venezia Giulia” – Nel colonialismo linguistico contro la comunità friulana riveste un grande peso il fatto che non sia stata istituita la regione “Friuli” come richiesto dalla grande maggioranza dei friulani dopo la seconda guerra mondiale, bensì la regione “Friuli-Venezia Giulia”, con capitale Trieste, città non friulana. In tal modo, con la scusa che tutti i servizi erogati a livello regionale non sono rivolti solo ai friulani, qualsiasi iniziativa a pro della lingua, anche se permessa dalla legge diventa più complessa. L’identità stessa e addirittura il nome del “Friuli” corrono il pericolo di perdersi nella confusione, come dimostra anche la sparizione, di dubbia legalità, del trattino che divideva nella denominazione ufficiale le due componenti geografiche della regione, che è diventata “Friuli Venezia Giulia”, o l’invenzione di indicazioni geografiche quali “Isontino”, “Liventino”, “Destra Tagliamento” per evitar, soprattutto a livello giornalistico, di usare il termine “Friuli”. Il sistema di potere italiano, con caste privilegiate, fa in modo che proprio tra i politici e tra i funzionari regionali sia facile trovare “collaborazionisti”, che non fanno nulla per cambiare la situazione e per permettere che le leggi, ottenute a stento e dopo oltre 50 anni di lotta, vengano concretamente applicate.
2.4.5 I trucchi della falsa tutela
a) Istituzione di enti deboli e sottofinanziati – Una volta che il processo di sostituzione linguistica è ben avviato, l’impegno colonialista può anche ridursi e accettare di indossare la maschera della falsa tutela (fenomeno parallelo al comportamento degli stati colonialisti che hanno concesso una libertà politica teorica alle loro ex colonie, ma le mantengono assoggettate a livello economico). Il trucco, che riflette il proverbio “fatta la legge, trovato l’inganno” è quello di approvare leggi o di istituire enti di tutela della lingua friulana che non funzionano: basta non dotarle di personale, di risorse economiche, di regolamenti ecc. Tutte cose che sono avvenute puntualmente e che hanno impedito anche a persone competenti e motivate di applicare norme che in teorie erano valide.
b) La persona sbagliata nel posto giusto – Un altro impedimento all’applicazione delle leggi è il sistema della scelta di qualche figura chiave di un servizio e di un ente, che non deve per forza essere “collaborazionista” per principio: talvolta può anche solo essere scelta per la sua obbedienza o per la sua incapacità, in modo da bloccare tutto. Così per esempio è successo che per anni interi l'Agenzia Regionale della Lingua Friulana non abbia funzionato, permettendo che proseguisse senza ostacoli la perdita di parlanti da parte della lingua friulana, a une velocità già acquisita di almeno 1% all’anno (6.000 persone).
3. Conclusione
L’attitudine aggressiva mantenuta dall’Italia (anche negli ultimi 65 anni, mentre vigeva una costituzione democratica) contro la comunità linguistica friulana è palese e segue i modelli più classici del colonialismo: nonostante le opposizioni che vengono dalla gran parte dei friulani, ma anche da molti altri italiani democratici, contrari al sistema colonialista, tali dinamiche, magari trasformate per adeguarsi al cambiare dei tempi e delle situazioni, perdurano ancora.
Può darsi che questo atteggiamento dell’Italia nei confronti dei friulani, ma anche di tutte le altre minoranze linguistiche e perfino nei confronti delle proprie varietà dialettali, sia conseguenza di un’inerzia storica: una sorta di risorgimentalismo insaziabile.
Di fatto però il colonialismo culturale e linguistico generalmente si abbina al colonialismo economico e politico, che per sua natura intrinseca è incompatibile con le libertà democratiche e coi diritti fondamentali, individuali e collettivi, delle persone. Se il Friuli viene trattato dal sistema dominante che vige in Italia alla stregua di una colonia linguistica, c’è una grande probabilità che venga considerato un territorio di sfruttamento coloniale anche negli altri aspetti.
Di conseguenza qualunque minaccia alla lingua friulana, inquadrata in una dinamica colonialista, va intesa come una minaccia anche alle risorse e alle ricchezze complessive del Friuli e dei friulani e al loro diritto inalienabile di autogoverno e di libertà.
DAL BLOG DI SANDRI CARROZZO
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