domenica 24 dicembre 2017

"LEGGERE E SCRIVERE" la LECTIO MAGISTRALIS di Gianfranco d'Aronco

 
18 dicembre 2017
 
Grande partecipazione oggi alla cerimonia nell’aula 3 di via Tomadini a Udine

A Gianfranco D'Aronco, uno dei “padri” dell'Ateneo friulano, la laurea ad honorem in Italianistica

 
 
 
 
Foto tratta da quiuniud
 
 
 
Lectio magistralis
di Gianfranco D’Aronco
 
Leggere e scrivere 

 
Comincio col ringraziare i principali responsabili dell’onore che mi viene riservato, a partire dall’attuale magnifico rettore Alberto Felice De Toni e da chi lo ha preceduto, Cristiana Compagno. Io ho il merito, diciamo così, di aver resistito alle intemperie dell’età, quando finalmente si smette di scrivere, ma non di leggere. C’è sempre da imparare qualcosa.
In realtà io mi sono sempre sentito scolaro, e anche oggi mi sento tale, pur se qualche cosa ho imparato, attingendo a quanto prodotto da maestri veri, che ho avuto la fortuna d’incontrare: mi riferisco alla Cattolica di Milano. Dopo la laurea e il perfezionamento o specializzazione (oggi si dice “master”), non ho fortunatamente interrotto i rapporti con chi avevo incontrato all’ombra di S. Ambrogio. Dico ad esempio Luigi Sorrento, Alberto Chiari, Aristide Calderini, Lorenzo Bianchi. I granelli di scienza da loro sparsi trovavano qualche piccola zolla fertile anche in me, e li ringrazio ancora col pensiero, se essi mi ascoltano dell’alto.
Anno dopo anno, mi avvenne di insegnare a mia volta, e di punto in bianco mi trovai a Padova, all’ombra di maestri come Diego Valeri, Carlo Tagliavini, Vittore Branca, Gianfranco Folena. Dopo vent’anni, e dopo una breve parentesi a Siena, passai a Trieste, dove avevo mosso i primi passi come assistente di Aurelio Roncaglia. E a Trieste trovai eccellenti colleghi come Bruno Maier e Claudio Magris.
Chiedo venia per l’autobiografia , per dire che ciò che possiedo è per metà farina del sacco altrui, e debbo in qualche modo ricambiare almeno un po’ del bene ricevuto. Quanto a farina mia, non sarò certo il giudice di me stesso. Rimando chi proprio lo volesse a una Miscellanea, pubblicata per merito di Giovanni Frau e arricchita da una generosa presentazione di Raimondo Strassoldo.
Lasciate ora che mi rallegri per aver visto nascere e crescere in tutti questi anni la nostra Università, e ricordi chi, interpretando voti precedenti, ha dedicato anima e corpo a una tenace e disinteressata azione volta a rivendicare i diritti di una terra. Era una voce fattasi presto voce di popolo, riconosciuta con legge di iniziativa popolare: dico di Tarcisio Petracco “cui nullum par elogium”, e ho detto tutto.
Ho visto nascere questa Università, dapprima come Facoltà staccata dall’ateneo di Trieste, e poi fattasi autonoma. Come è stato sottolineato, è sorta al servizio di schiere di giovani, che in passato dovevano attingere ad altri atenei di là della Livenza e del Timavo. Ma c’era stato un lontano precedente, rivendicato da un insigne storico del diritto, il nostro Pier Silverio Leicht: uno Studio generale, come si diceva allora, ovvero una scuola di diritto con sede a Cividale, che il patriarca Bertrando aveva voluto e che Carlo IV di Lussemburgo riconobbe con un documento che reca la data 1353 e che si può leggere ancora. Ma già da prima, forse dal 1344 almeno, la scuola funzionava. In Italia lo Studio bolognese, il più antico che si conosca, sorse nel 1158; quello padovano nel 1221. Nel resto d’Europa gli Studi sono tutti successivi. Ma la istituzione cividalese ebbe vita breve: meno di un secolo, scomparendo con la occupazione veneziana. Peccato. Lo Studio aveva uno scopo importante: attirare studenti dall’Italia, dalla Germania, dalla Ungheria, dalla Slavonia. E il particolare interesse che la nostra Università mostra verso la cultura dell’Est pare quasi sia nato dalla volontà di fare propria l’antica missione per la quale era sorto il glorioso Studium.
Non voglio abusare ancora della vostra cortesia. Delle mie opere e operette hanno già detto altri. Ho studiato la letteratura italiana. Mi sono occupato di letteratura friulana (insegnavo letterature popolari e filologia romanza). Ho pubblicato una versione inedita e pressoché ignorata, risalente alla fine del XIII secolo (come le cinque esistenti in Europa: a Parigi, Lione, Bruxelles, Londra, Oxford) e conservata nella biblioteca arcivescovile di Udine: dico della “Grande ricerca del santo Graal”. Quanto al settore friulano, ho dato una mano al risveglio di questa letteratura, che reca i nomi di Pier Paolo Pasolini, Riccardo Castellani, Franco de Gironcoli, Riedo Puppo, Novella Cantarutti, Nadia Pauluzzo e tanti altri ormai. Era la fine del dialettalismo nostrano. Contemporaneamente (e non poteva essere altrimenti) ho seguito le vicende che avrebbero portato non senza ostacoli al riconoscimento della nostra Regione autonoma. Anche qui potrei continuare: del resto è tutto già scritto. Non eravamo campanilisti; non eravamo chiusi in casa. Leggevamo tra l’altro i libri, a cominciare da“Mireio” di Mistral, sulla cui tomba ho letto cinquant’anni fa una sola parola: “Prouvenco”. E leggevamo Aubanel, di cui ci colpì un giorno (cito a memoria), un verso: “Spingendo la carretta sul monte Ventoux, non parlavamo di piccola o grande patria”. L’amor di patria è un sentimento, e all’amore non si comanda. Meglio sarebbe forse l’amor di patrie. Voler bene al Friuli non significa (figurarsi) disdegnare il resto del mondo. Il Friuli (confesso) è stato il mio primo amore. Le prime parole che sentii da neonato erano nel friulano di Gemona dei miei genitori: e il primo amore (altro detto) non si scorda mai. Sul Friuli ho scritto e soprattutto letto. Meglio così, meglio rimanere scolari. Grazie.
 
TO, 17.12.17   Gianfranco D’Aronco
 
 
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La Redazione del Blog nel ringraziare il prof. Gianfranco D'Aronco per averle concesso la pubblicazione  della sua  Lectio magistralis, rinnova nuovamente al Presidente onorario del "Comitât pe autonomie e pal rilanç dal Friûl" le più vive congratulazioni.
 

LA REDAZIONE DEL BLOG
 

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