domenica 6 maggio 2012

ELETTRODOTTI, LAGO DI CAVAZZO E QUESTIONE ENERGETICA: CIO' CHE GLI INDUSTRIALI NON DICONO.




Lago di Cavazzo oggi,

e domani?
-------------

Elettrodotti,

lago di Cavazzo

 e questione energetica
--------------


(…) L'ambientalismo, hanno denunciato diversi importanti imprenditori friulani, sarebbe nientemeno che all'origine del declino industriale della nostra terra.

L'oggetto del contendere è soprattutto la questione energetica, che negli ultimi anni ha visto sorgere, da Paluzza a Monfalcone, numerosi comitati locali contrari al proliferare degli elettrodotti. Colpa loro - è questa la tesi - se oggi le industrie friulane devono pagare l'elettricità anche il 30% in più dei loro «competitor» in Austria e Slovenia, e quindi sono costrette a delocalizzare in Serbia e in tanti altri posti nel mondo. (…)

(…) L'idea, infatti, che in Friuli gli ambientalisti tengano in ostaggio lo sviluppo è a dir poco fantasiosa. E lo dimostra il fatto che negli ultimi anni sono stati realizzati importanti progetti in campo energetico praticamente senza alcuna opposizione e ostacolo da parte del territorio. (…)

(…) Nel caso del lago di Cavazzo sono stati posti importanti interrogativi sulla sopravvivenza di quell'ecosistema che non hanno trovato risposta convincente. Nel caso degli elettrodotti - val la pena ripeterlo - nessuno si è mai opposto «tout court» alle nuove infrastrutture elettriche: sono stati proposti correttivi di tracciato e soprattutto è stata manifestata contrarietà alla soluzione «aerea» a vantaggio di quella sotterranea. Per il Redipuglia-Udine Ovest, «Terna» addirittura sostiene che in un territorio di pianura e non intensamente antropizzato come la pianura friulana, sarebbe «tecnicamente impossibile» realizzare la struttura in cavo interrato, perché significherebbe realizzare una linea non sicura, mentre in tutta Europa ogni anno vengono realizzate centinaia di chilometri di elettrodotti interrati, anche nelle città o in zone di montagna! Il gestore della rete elettrica nazionale ha preferito spendere soldi in una discutibile campagna pubblicitaria, commissionare una fuorviante indagine d'opinione al noto sondaggista Renato Mannheimer, querelare il responsabile del Comitato per il Friuli rurale piuttosto che approfondire tecnicamente le ipotesi prospettate dagli «oppositori». (…)

(…) chi importa l'energia non può venderla a chi vuole e al prezzo che vuole, ma deve farlo attraverso la borsa elettrica italiana; quindi, dall'elettrodotto, l'industriale della valle del Bùt avrebbe gli stessi «vantaggi» del collega di Reggio Calabria (…)



Leggi tutto l’editoriale



CIO’ CHE

GLI INDUSTRIALI


NON DICONO


Editoriale
di Roberto Pensa

Settimanale “la Vita Cattolica”
Arcidiocesi di Udine
giovedì 3 maggio 2012


Gli industriali friulani hanno scelto di dedicare la loro annuale assemblea ad un tema cruciale: «Efficienza, innovazione, ambiente:  il nostro futuro». La massima assise di Confindustria Friuli, in programma giovedì 3 maggio ai Teatro Nuovo, vedrà la presenza anche del ministro all'Ambiente, Corrado Clini. Si tratta davvero di un tema importante che, pure in tempi recentissimi, ha provocato dibattiti animati, quindi la scelta del presidente Adriano Luci è stata quanto mai opportuna.

L'ambientalismo, hanno denunciato diversi importanti imprenditori friulani, sarebbe nientemeno che all'origine del declino industriale della nostra terra.

L'oggetto del contendere è soprattutto la questione energetica, che negli ultimi anni ha visto sorgere, da Paluzza a Monfalcone, numerosi comitati locali contrari al proliferare degli elettrodotti. Colpa loro - è questa la tesi - se oggi le industrie friulane devono pagare l'elettricità anche il 30% in più dei loro «competitor» in Austria e Slovenia, e quindi sono costrette a delocalizzare in Serbia e in tanti altri posti nel mondo.

L'auspicio che vorremmo lanciare da queste colonne, è che dall'assemblea di Confindustria si possano alzare «parole nuove» su questo spinoso tema, ragionamenti più aperti in grado di inaugurare un più proficuo dialogo tra imprese e territorio sul futuro industriale del Friuli, auspicabilmente con un forte e determinante ruolo della politica nella giusta composizione dei legittimi interessi che sono coinvolti.

L'idea, infatti, che in Friuli gli ambientalisti tengano in ostaggio lo sviluppo è a dir poco fantasiosa.

E lo dimostra il fatto che negli ultimi anni sono stati realizzati importanti progetti in campo energetico praticamente senza alcuna opposizione e ostacolo da parte del territorio. In tema di produzione elettrica, va ricordato l'avvio della moderna centrale a turbogas diTorviscosa, una delle più grandi d'Italia di nuova generazione; e in tema di elettrodotti, va rimarcato che proprio tra Italia e Austria ha preso avvio, poco più di un anno fa, uno dei primi elettrodotti transfrontalieri autorizzati direttamente da Bruxelles in Italia, che unisce le reti elettriche friulana e carinziana tra Tarvisio e Arnoldstein. In entrambi i casi le società proponenti hanno saputo lavorare con trasparenza, trovando l'accordo con il territorio.

Altri progetti, invece, è vero, hanno incontrato grandi resistenze: il raddoppio della centrale idroelettrica di Somplago, l'elettrodotto di Terna Udine Ovest-Redipuglia e quello proposto da Alpe Adria Energia tra Somplago e la Carinzia attraverso la Valle del Bùt. Ma di chi è la colpa? Chi sono i tanto vituperati «ambientalisti»? Qui in Friuli l'ideologia c'entra ben poco: si tratta di comitati locali di cittadini - al cui fianco spesso si sono poste anche le rispettive amministrazioni comunali - che difendono i loro paesi e le loro valli da progetti che presentano parecchie «opacità», che i proponenti non hanno mai saputo o voluto dissipare, dando l'impressione di puntare sulla «soluzione di forza» calata dall'alto piuttosto che sul dialogo.

Nel caso del lago di Cavazzo sono stati posti importanti interrogativi sulla sopravvivenza di quell'ecosistema che non hanno trovato risposta convincente. Nel caso degli elettrodotti -val la pena ripeterlo - nessuno si è mai opposto «tout court» alle nuove infrastrutture elettriche: sono stati proposti correttivi di tracciato e soprattutto è stata manifestata contrarietà alla soluzione «aerea» a vantaggio di quella sotterranea. Per il Redipuglia-Udine Ovest, «Terna» addirittura sostiene che in un territorio di pianura e non intensamente antropizzato come la pianura friulana, sarebbe «tecnicamente impossibile» realizzare la struttura in cavo interrato, perché significherebbe realizzare una linea non sicura, mentre in tutta Europa ogni anno vengono realizzate centinaia di chilometri di elettrodotti interrati, anche nelle città o in zone di montagna! Il gestore della rete elettrica nazionale ha preferito spendere soldi in una discutibile campagna pubblicitaria, commissionare una fuorviante indagine d'opinione al noto sondaggista Renato Mannheimer, querelare il responsabile del Comitato per il Friuli rurale piuttosto che approfondire tecnicamente le ipotesi prospettate dagli «oppositori».

Nella valle del Bùt da una parte si è puntato sugli eccessivi costi che renderebbero antieconomica la soluzione interrata, dall'altro si è solleticato il territorio facendo balenare forti vantaggi economici: grazie alle compensazioni ai Comuni e al minor costo dell'energia la Carnia potrebbe vivere un «rinascimento». Entrambe le cose si sono rivelate «fasulle». I costi di realizzazione di un elettrodotto in realtà non li sostiene il realizzatore. Questo, infatti, li recupera gestendo per un certo numero di an­ni (stabilito dall'Unione Europea) l'impianto, che poi diventa pubblico. Perché allora non progettare una infrastruttura con i più elevati standard ecologici invece che un «mostro» ambientale che deturpa una intera valle? Si tratterebbe solo di «diluire» il rientro degli investimenti e dei profitti per un tempo maggiore...

Per il secondo aspetto, chi importa l'energia non può venderla a chi vuole e al prezzo che vuole, ma deve farlo attraverso la borsa elettrica italiana; quindi, dall'elettrodotto, l'industriale della valle del Bùt avrebbe gli stessi «vantaggi» del collega di Reggio Calabria.

Tutte queste facezie hanno riempito i mass media locali - noi, come settimanale, abbiamo sempre cercato di ricondurre il tema sul piano razionale - e monopolizzato il dibattito politico per anni, mentre nessuno si è occupato dei veri problemi.

Chi vuole sapere davvero perché gli imprenditori italiani pagano l'elettricità molto di più dei concorrenti esteri, lo può leggere comodamente su internet sulle relazioni dell'Autorità per l'energia. I motivi sono tre.

Innanzitutto, a differenza degli altri Paesi, in Italia gli impianti alimentati a gas naturale (più efficienti) rappresentano una tecnologia marginale. In secondo luogo il gas in Italia costa in media il 25% di più che nel resto d'Europa. Infine sopportiamo maggiori oneri per l'acquisto dei certificati verdi a causa delle emissioni di anidride carbonica dagli obsoleti impianti termoelettrici italiani. In tutto questo, gli elettrodotti transfrontalieri sono sì importanti perché «aprono» i mercati a maggiore concorrenza, ma non sono affatto determinanti. I «prezzi» al consumo, comunque, si creano a livello nazionale, quindi il ruolo delle singole Regioni, soprattutto quelle medio-piccole come la nostra, è relativo: si tratta di una grande questione che va affrontata dal governo.

È corretto allora il richiamo degli industriali alle necessità dell'ammodernamento della rete; è del tutto legittimo anche che qualche gruppo industriale friulano possa ambire a fare profitti realizzando e gestendo un elettrodotto transfrontaliero sul nostro territorio: ma da una impresa moderna, «sostenibile» dal punto di vista ambientale crociale (come è di moda dire negli ambienti che contano) i friulani si attendono come minimo proposte all'altezza delle migliori tecnologie disponibili e caratterizzate dalla massima trasparenza sull'entità e la distribuzione dei costi e dei benefici tra industria e territorio.

Queste oggi sono le precondizioni per un nuovo patto di sviluppo tra impresa, cittadini e istituzioni che possa portare il Friuli fuori dalle secche di questa crisi epocale.

Un progetto percorribile, perché l'imprenditorialità, il lavoro, la responsabilità fanno parte della cultura della nostra gente, che è pronta a sostenere la nostra industria in questa difficile fase anche assumendosi i necessari sacrifici.

roberto pensa

Nessun commento:

Posta un commento