sabato 10 marzo 2012

Università, «in rete» - con o sotto Trieste?





Università,

«in rete»

con o sotto Trieste?

di

Roberto Pensa


Ci passa una bella differenza tra il «mettersi in rete» con qualcuno e il «cadere nella rete» delle strategie di qualcun altro. Il concetto richiamato è lo stesso, ma la sostanza è ben diversa. Ed è proprio questa la discriminante con cui valutare le prospettive dell’autonomia dell’Università di Udine di fronte alle «università federate» previste dall’art. 3 della legge 240/2010 (riforma Gelmini degli atenei).

Il tema è stato al centro negli ultimi giorni dell’assemblea della Società filologica friulana e di altri preoccupati interventi.

Per dare un giudizio ponderato, bisogna prima cogliere appieno il disegno strategico rappresentato dal rettore Cristiana Compagno alla recente inaugurazione dell’anno accademico. Di fronte ad una legge statale che parla di «federazioni» e «fusioni» «in un’accezione che suona essenzialmente punitiva, quasi come uno spauracchio per le sedi e i corsi che non raggiungano gli standard», ha spiegato la rettora, e che – queste sì – potrebbero spingere Udine verso un pericoloso «abbraccio» con Trieste, dal Friuli viene una proposta di più ampio respiro che invita a guardare fuori dagli angusti confini regionali per accorgersi che i possibili partner sono molti, nella direzione di quella macroregione di Alpe Adria che così bene dovrebbe calzare agli eredi di Aquileia.

La proposta – ha spiegato la prof. Compagno –, è quella di costruire «nell’autonomia di ciascun ateneo, un grande spazio di cooperazione nell’area alpino-adriatica, con Trieste, il Veneto e i Paesi confinanti. Udine vuole essere motore di questo processo, che porterebbe a università più focalizzate e competitive a livello internazionale e ancor più forti nella promozione dello sviluppo territoriale».

Insomma, se per essere eccellenti in futuro non si potrà più restare piccoli, meglio diventare partner di una «compagnia» più articolata e variegata, piuttosto che «sposarsi» con chi 35 anni prima ha cercato di costringere tua madre ad abortirti.

 Certo, si tratta di un progetto ambizioso e non privo di rischi, ma che alternativa c’è? Il tema di alleanze più vaste per garantire la didattica e la ricerca di alto livello è reale. In questo contesto giocare solo in difesa è insufficiente e controproducente. Ce lo dimostra proprio Trieste, che in occasione delle contemporanee inaugurazioni dell’anno accademico in Friuli e in Venezia Giulia ha fatto partire una vasta campagna di stampa a sostegno della sua visione strategica, compresa una doppia paginata sul «Corriere della Sera» che decanta l’Ateneo giuliano come una delle «migliori università del mondo».

Ma lo specchio più limpido di questa strategia triestina è stato, come sempre, il Tgr regionale della Rai.

Lunedì 27 febbraio, telegiornale delle ore 14.30: la cerimonia di apertura dell’anno accademico a Udine, col ministro Profumo, si è appena conclusa, quella di Trieste, invece, si terrà solo nel pomeriggio. I titoli del notiziario dettano subito il «leit motiv» della «sinfonia» che caratterizzerà la giornata: «Il ministro Profumo elogia la sinergia tra Udine e Trieste». Per la verità il ministro aveva elogiato al mattino l’Ateneo friulano, l’unico ad essere nato in Italia da una iniziativa popolare e «dunque frutto della scommessa di un popolo sul proprio futuro». Il «respiro europeo» proposto dalla Compagno? Desaparecido... Il resto viene di conseguenza. I servizi aprono sì con il ministro Profumo a Udine, ma prima c’è ben 1 minuto e 10 secondi sulla sua visita al «Malignani» e poi ben 40 secondi del presidente Tondo che risponde ad una domanda sugli insegnanti nelle scuole di montagna. L’apertura dell’anno accademico a Udine? Solo 35 secondi di servizio filmato. Segue, nell’ordine, 1 minuto e 35 secondi dedicati al nuovo presidente della triestina Area Science Park, Adriano De Maio, e poi ben un minuto e 50 secondi di intervista al rettore triestino Francesco Peroni, dalla quale emerge che «Trieste è penalizzata, sebbene virtuosa. C’è un problema di distribuzione dei fondi». In effetti, un problema c’è, ma riguarda soprattutto Udine, ateneo sottofinanziato (per 16.500 studenti, riceve 74 milioni di euro dal fondo statale, mentre Trieste con 21 mila studenti ne riceve 96 milioni, che a livello pro capite fanno il 2% in più).

Nel Gr delle 19.30, la musica non cambia, anzi. Il lancio è: «Patto federativo tra le università regionali». Stavolta, i due servizi filmati hanno pressoché la stessa durata (1 minuto e 55 secondi per Trieste, 1 minuto e 40 per Udine), ma la gerarchia dice molto: in apertura c’è Trieste, ma soprattutto al secondo posto c’è l’inaugurazione dell’anno accademico della Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati) di Trieste, solo terza Udine.

Il problema del Friuli, quindi, è fare squadra al suo interno, elaborare una strategia comune e condivisa. Una spinta importante può venire dalla gente, come è stato per la fondazione dell’Università. Ma un ruolo fondamentale deve giocarlo il mondo culturale, economico e soprattutto politico. Questo è il fattore critico, perché in entrambi gli schieramenti ci sono dei punti di debolezza. È nota la «idiosincrasia» di una importante parte del centrodestra per tutti i temi che riguardano l’autonomia, la tutela e la valorizzazione della lingua e della cultura friulana. Ma anche nel centrosinistra c’è poco da sorridere: non sono pochi quelli che (forse affezionati alla lezione marxiana, nella quale cultura e identità sono solo delle "sovrastrutture" secondarie rispetto ai rapporti economici), in nome dell’efficienza, sarebbero pronti a sacrificare ogni autonomia. Un esempio? Il comunicato della Cgil del Friuli-V.G. che sabato 3 marzo, nel plaudere «al percorso di federazione tra i due atenei della regione», auspica che la politica, «superando ogni retaggio campanilistico», si assuma «l’onere di compiere scelte precise nel campo della conoscenza». Quali? «Da tempo sosteniamo che due atenei di dimensioni medio piccole non possono continuare a competere tra loro», spiegano alla Cgil, e che va posto un correttivo ad «un’offerta formativa spesso duplicata in due sedi poste a 70 chilometri di distanza»
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Che tristezza! È proprio quello che negli anni ’70 rispondeva l’establishment politico regionale per respingere le 125 mila firme raccolte a sostegno della fondazione dell’Università del Friuli.

Invece, oggi, la ragion d’essere dell’Ateneo friulano è ancora più forte di allora: lo sviluppo economico fiorisce solo dove la ricerca è viva, l’identità di un popolo vive solo dove si produce cultura, e la vicinanza delle sedi didattiche è condizione fondamentale per l’accesso di tanti giovani all’istruzione accademica: in tempi di crisi, solo «70 chilometri di distanza» bastano abbondantemente per rendere insostenibili i costi degli studi dei propri figli a molte famiglie.
Ecco perché il tema dell’università va posto al centro della prossima campagna elettorale per le elezioni regionali e la proposta del rettore Compagno deve essere discussa e rielaborata da tutte le forze politiche fino a divenire strategia territoriale condivisa, come ben sa fare Trieste. È su questo terreno, infatti, che si gioca una fetta fondamentale del futuro del Friuli.
Roberto Pensa

La Vita Cattolica
giovedì 6 maggio 2012

Editoriale di Roberto Pensa
Direttore Responsabile
 
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A pagina 15 del settimanale La Vita Cattolica, segue poi un'intera pagina di approfondimento del tema.


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