domenica 27 dicembre 2015

"LE 18 UTI E L'IMPASSE ISTITUZIONALE" di Prof. Sandro Fabbro


 
 
CON LA RIFORMA REGIONALE

DEGLI ENTI LOCALI

L.r. 26/2014
 
 
SCOMPARE IL FRIULI

A TRARNE VANTAGGIO

E' TRIESTE

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Di seguito pubblichiamo l'articolo apparso sul quotidiano IL MESSAGGERO VENETO (Ud) lunedì 21 dicembre 2015 - prima pagina e “continua” a pagina 9 - con il titolo Con le Uti scompare il Friuli. A trarne vantaggio è Trieste” a firma del Prof. Sandro Fabbro.
 
La Redazione del Blog ringrazia il Prof. Sandro Fabbro per averci concesso la pubblicazione dell'articolo a sua firma.


Le 18 UTI

e l’impasse istituzionale

 
di Sandro Fabbro


Sembra che in Consiglio Regionale si sia riaperto uno spiraglio per discutere come migliorare la legge sull’ordinamento delle autonomie locali, meglio conosciuta come “legge Panontin” o legge delle “18 Unioni intercomunali” (o UTI). Questa riforma, infatti, coraggiosa negli intenti (altri tentativi precedenti erano comunque falliti), si è incartata nel percorso attuativo forse perché ha accumulato troppe criticità di fondo. Ma prima di discutere di miglioramenti è opportuno ripercorrere il dibattito su obiettivi ed esiti di una riforma che, nell’interesse di tutti, va comunque fatta.

Per il riordino dell’amministrazione del territorio regionale, quasi tutte le forze politiche, quale più quale meno, hanno puntato, negli ultimi dieci anni, su un modello duale puro: Regione e Comuni senza Province. Con una visione forse un po’ miope, perché limitata ai soli aspetti di risparmio di spesa pubblica, volevano avere, cioè, solo due livelli amministrativi invece di tre. Ma siccome i comuni sono troppi e spesso troppo piccoli e per governare validamente il territorio si devono raggiungere dimensioni comunali maggiori, per realizzare il modello duale in maniera coerente c’era davanti solo una strada: promuovere forti aggregazioni comunali dal basso, ovvero arrivare a 60/70 macro-comuni aggregati con vere e proprie “fusioni” (è, peraltro, anche la proposta della Società Geografica Italiana nel suo rapporto 2014). Si tratta comunque di una strada lunga e difficile e che implica anche i referendum comunali sulle fusioni (dall’esito sempre incerto).

Con la legge 26 del 2014 si è perseguito invece un modello “dall’alto” e “non puro”, chiamiamolo «2 e ½ o 2 e 3/4» e cioè Regione + Comuni + 18 unioni comunali (le UTI). E’ il risultato che ci si poteva aspettare?

Le 18 UTI della legge regionale 26/2014 non sono né aggregazioni dal basso (anche se la maggioranza dei Comuni vi ha aderito senza particolari resistenze) né «aree vaste strutturate per politiche di sviluppo territoriale». Sono troppe e, escluso Trieste, sono senza polarità forti: Udine, Pordenone e Gorizia sono depotenziate ed «amputate» di parti significative dei loro tradizionali hinterland. Non possono essere, quindi, «motori di sviluppo» territoriale. Alcune unioni, inoltre, includono comuni “esterni” al sistema locale; altre escludono comuni da sempre “interni” al sistema locale. I Comuni si sentono “espropriati” di loro competenze, a vantaggio delle Unioni, mentre la Regione, di suo, ci ha messo molto poco. L’idea di territorio che emerge da queste UTI è, quindi, quella di un territorio fatto di comunità locali un po’ artificiali destinate a gestire servizi comunali in riduzione e senza alcuna capacità di incidere sul futuro dei territori. Il Friuli, nel frattempo, con una sorta di rimozione freudiana -di cui nessuno sembra essersi accorto-, come istituzione è scomparso (ridotto solo ad una «assemblea di comunità linguistica»).

Le 18 UTI, valide a tavolino, nella verifica pratica si sono dimostrate un “tertium non datur” perché non perseguono efficacemente né la coesione dal basso né la competitività territoriale promossa dall’alto.

Fanno emergere, invece, tre criticità serie:

a. le UTI riaggregano solo poteri comunali;

b. solo Trieste, come area vasta, si rafforza (e giustamente ambisce ad essere “città metropolitana”) mentre Udine, Gorizia e Pordenone si indeboliscono (basta guardare i dati degli abitanti delle relative unioni).

c. il Friuli, spacchettato in numerose UTI, sparisce dalle carte della geografia istituzionale.

La riforma Regione-autonomie locali, coraggiosa negli intenti, alla fine si è impantanata in soluzioni sostanzialmente burocratiche ed autoritarie: priva di un progetto di territorio, fa pagare la riforma solo ai comuni e la impone anche con la forza. E’ chiaro che la somma di queste criticità produce lo stallo nel quale siamo finiti e il Friuli, intanto, non ha più alcuna rappresentanza istituzionale (con buona pace degli autonomisti alla Tessitori, Pasolini, D’Aronco ecc.)! Ma una riforma delle istituzioni del territorio riguarda tutti e per lungo tempo e, quindi, ricercare un più ampio consenso non è un optional ma un dovere.

Si può quindi fare qualcosa per correre ai ripari anche se in extremis? La politica regionale, nel suo complesso, dovrebbe esprimere una mossa coraggiosa, capace di superare l’impasse, di modificare giochi contrapposti e di allargare il consenso alla riforma. Ma come? Torniamo alle alternative che abbiamo discusso all’inizio. O dal territorio, dai sindaci sostanzialmente, nasce la proposta di un percorso per arrivare in poco tempo ad un certo numero di fusioni che porti a 60-70 macro-comuni (ma questa, temo, sia una soluzione un po’ complessa e che richiederebbe una riforma completamente diversa). O si deve cambiare approccio ed immettere «risorse» nuove (non necessariamente finanziarie) nella riforma in essere. Prima di tutto andrebbe rimosso l’approccio burocratico ed autoritario per sostituirlo con un approccio che ricrei fiducia reciproca tra Regione e territori. Bisogna, cioè, dare un senso a queste Unioni! Ci vorrebbe un progetto strategico che, per me, non può che essere di “rigenerazione del capitale territoriale” (come spiegherò in un prossimo libro).

Sulla base di un progetto strategico condiviso (e non di operazioni a tavolino) si devono poi assicurare ai territori:

a. più garanzie sulle grandi invarianti identitarie e storico-culturali;

b. più «diritti» territoriali (riconoscimento di particolari valenze strategiche o criticità ambientali);

c. più poteri, più strumenti amministrativi, più personale (trasferendoli dalla Regione!) per promuovere nelle Unioni “piani di rigenerazione territoriale”.

Solo un progetto strategico, allora, potrebbe riequilibrare la forza coercitiva dell’alto e far uscire le Unioni (magari riviste un po’ nei confini e ridotte di numero) dallo stallo in cui le ha cacciate una visione troppo burocratica. Ma c’è tempo e c’è, soprattutto volontà politica per una operazione di questo genere? A questa domanda non spetta certo a me rispondere.

Rimane comunque aperto il problema istituzionale del Friuli che merita una soluzione sua propria ma che ormai non può certo darsi nel contesto di questa riforma amministrativa.



Prof. Sandro Fabbro

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Il Prof. Sandro Fabbro è docente di Tecnica e Pianificazione Urbanistica presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell'Università degli Studi di Udine.
 
 

6 commenti:

  1. E questo ciò che sta succedendo a livello nazionale:

    COMUNICATO ANCI - 24 dicembre 2015

    “Un risultato importante per l’ANCI e per tutti i Comuni, non solo quelli più piccoli”. Così Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e vicepresidente ell’Associazione dei Comuni, commenta la proroga dei termini per le gestioni associate dei piccoli Comuni, inserita nel Decreto ‘Milleproroghe’ varato ieri dal Consiglio dei Ministri.

    “Ci auguriamo – aggiunge Ricci – che LA PROROGA AL 31 DICEMBRE 2016 possa essere il primo passo verso la definizione di bacini omogenei per la gestione associata dei servizi, a prescindere dalle dimensioni dei Comuni coinvolti e per arrivare quindi a un riassetto complessivo del governo territoriale.

    Siamo pronti già a partire da Gennaio a contribuire a scrivere con il Governo una legge che metta insieme i Comuni per davvero, in maniera efficace ed efficiente. I Comuni saranno protagonisti del cambiamento’’.

    ‘’L'empasse normativa in cui versano i piccoli Comuni – afferma Massimo Castelli, Coordinatore ANCI piccoli Comuni – ha dimostrato che l'UNIONE OBBLIGATORIA DEI SERVIZI NON FUNZIONA in molte parti del Paese.

    È chiaro che questa situazione blocca il processo invece di portarlo avanti, così come è chiaro che l'obbligatorietà per legge è servita a far metabolizzare la necessità per i Comuni di unire le forze e diventare più forti. Ora però facciamo scegliere ai Sindaci il come’’.

    “I TEMPI SONO MATURI PER PER UN CAMBIAMENTO DI ROTTA – aggiunge Dimitri Tasso, Coordinatore nazionale Anci Gestioni Associate e Unioni -. Abbiamo dimostrato in questi anni che i Comuni possono si stare insieme ma c’è bisogno di un disegno organico e per questo motivo abbiamo proposto al Governo una riforma con la DEFINIZIONE DI AMBITI OMOGENEI DOVE SI PREVEDA FLESSIBILITA' ED AUTONOMIA E NON L'OBBLIGO A FARE TUTTO ASSIEME, per questo esistono le fusioni”.

    “In questi ultimi anni abbiamo metabolizzato bene il cambiamento e la necessità per i piccoli territori di lavorare insieme, ma sappiamo anche che così non si può andare avanti – fa eco Roberto Pella, Vicepresidente ANCI in rappresentanza dei piccoli Comuni –.

    DOBBIAMO ANDARE OLTRE L'ASSETTO ATTUALE, FACENDO PERNO SU DUE PUNTI: FLESSIBILITA' E AUTONOMIA.

    Il tutto tenendo in considerazione le diverse realtà territoriali e le conseguenti istanze ed esigenze’’.

    Tornando alle altre richieste che l’ANCI aveva formulato alla vigilia del varo del ‘Milleproroghe’ e che non hanno trovato spazio, il Governo ha fornito “ampie rassicurazioni’’ rispetto alla possibilità per le Province e le Città metropolitane di provvedere alla stipula dei contratti di lavoro a tempo determinato oltre il termine previsto, per le per le strette necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi che rientrano nelle loro funzioni fondamentali.
    Per tutte le altre istanze, l’Associazione auspica che possano essere recepite in sede di conversione del Decreto.

    http://www.unioni.anci.it/index.cfm?layout=dettaglio&IdSez=821212&IdDett=54307

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  2. "Rimane comunque aperto il problema istituzionale del Friuli che merita una soluzione sua propria ma che ormai non può certo darsi nel contesto di questa riforma amministrativa." prof. SANDRO FABBRO

    COMMENTO

    Come non essere d'accordo con il Prof. Sandro Fabbro. La nostra regione (a statuto speciale!!!) ha la competenza (nel rispetto però della Costituzione italiana!!!) sul riordino degli enti locali e poteva prevedere in legge una istituzione che rappresentasse tutto il Friuli. Invece ha "scopiazzato" malamente la legge statale peggiorandola NOTEVOLMENTE e creando rigidità e imposizioni coercitive dall'alto che NON POTEVANO "NON" ESSERE RIFIUTATE: E COSI' INFATTI E' STATO....

    ALTRO CHE "SINDACI RIBELLI"....

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  3. E questa sarebbe la "GRANDE RIFORMA DEGLI ENTI LOCALI" targata Avv. Debora Serracchiani, riforma che dovrebbe FARE SCUOLA IN ITALIA e di cui tanto si vanta la Presidente di regione nei dibattiti televisivi?

    Ma per carità....siamo realisti!

    La riforma è giustamente IMPANTANATA e dovrà essere totalmente ripensata!

    Come del resto IMPANTANATA è anche la riforma statale (ieri prorogata dal Governo al 31 dicembre 2016!!!; dopo essere già stata prorogata al 31.12.2015). Con la differenza che in tutto in resto d'Italia esistono ancora le Provincie (anche se enti di secondo grado) che stanno esercitando ancora importanti funzioni di area vasta mentre da noi in regione la situazione è drammatica:

    1) UTI, del tutto IMPANTANATE e con nessuna possibilità reale di avere attuazione: ben 85 Comuni (su 216 Comuni regionali totali, ossia più di un terzo!!!) non hanno approvato Statuto e Atto costitutivo dell'UTI a cui la regione in maniera COERCITIVA li ha collocati e ben 57 Comuni (un quarto di tutti i Comuni regionali!!!) hanno fatto ricorso al TAR.

    2) Unica regione in Italia, avremo eliminate le Provincie nello Statuto di autonomia: e chi svolge le funzioni di area vasta? Avessero avuto in Giunta regionale almeno il buon senso di attendere l'attuazione dell'UTI!!!. Tutte le funzioni delle provincie saranno gestite dunque dalla solita regione "asso piglia tutto"?

    3) L'ente regione sta violando la Costituzione italiana (art. 5 e art. 114) e l'art. 11 dello Statuto di autonomia speciale, trasformandosi in un ente che AMMINISTRA TUTTO, ma PROPRIO TUTTO, direttamente o attraverso agenzie regionali che spesso sono dei "baracconi" costosissimi...

    Risultato finale?

    IL CAOS AMMINISTRATIVO E BUROCRATICO CON PERDITE NOTEVOLI DI CONTRIBUTI EUROPEI E STATALI..

    Che poi è ciò che sta succedendo alle Comunità montane regionali da anni ormai commissariate....

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  4. Dal sito internet del settimanale LA VITA CATTOLICA - 23 dicembre 2015

    TITOLO - La Provincia: «Uti in ritardo, addio fondi Ue. Ridateci le competenze»

    TESTO:
    «Le complicazioni connesse alla riforma delle Uti (Unioni territoriali intercomunali, ndr) si riverberano anche sull’accesso ai fondi comunitari per i Comuni medio-piccoli. Per molte amministrazioni comunali che avevano intravisto nelle Uti la possibilità di intercettare risorse comunitarie, sarà molto difficile accedere in autonomia ai fondi europei, competenza assegnata dalla legge Panontin alle Unioni intercomunali. Le amministrazioni locali non hanno la struttura per partecipare ai bandi che partiranno nella prossima primavera per quanto riguarda la programmazione Italia-Austria e Italia Slovenia. Risultato: il territorio perderà con molte probabilità importanti risorse»: lo afferma il presidente della Provincia di Udine Pietro Fontanini che denuncia l’ennesima ripercussione della riforma degli enti locali targata Giunta Serracchiani evidenziando però il ruolo che, in questa partita, può giocare l’amministrazione provinciale.

    “Per evitare di perdere questi importanti finanziamenti cui si accede tramite parternariati internazionali, diventa strategico il ruolo della Provincia che in questa materia ha dimostrato di poter ricoprire un ruolo non secondario, almeno fino al trasferimento della stessa alle Uti, la cui entrata in vigore però è attualmente in stand-by a conferma delle gravi lacune di tutto il provvedimento. L’Ente di area vasta, infatti, può partecipare ai prossimi bandi e consentire così a tutto il territorio di beneficiare delle risorse per iniziative di promozione e valorizzazione come è stato fatto finora.

    (SEGUE)

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  5. Dal sito internet del settimanale LA VITA CATTOLICA - 23 dicembre 2015

    TITOLO - La Provincia: «Uti in ritardo, addio fondi Ue. Ridateci le competenze»

    TESTO: (SECONDA E ULTIMA PARTE)

    (...) Insomma: la Provincia può sopperire all’impasse delle Uti e quindi alle difficoltà di partecipazione ai bandi per i piccoli Comuni, per intercettare risorse a favore del territorio. E pensare che siamo destinati a chiudere…».

    Poiché come previsto dalla legge Panontin, la competenza sulla programmazione comunitaria è destinata alle Uti e anche alla luce dell’evoluzione sulla loro entrata in vigore, l’assessorato al coordinamento dei finanziamenti europei ed interistituzionali della Provincia di Udine ha avviato un confronto con la Direzione centrale autonomie locali ed il Servizio per la cooperazione territoriale europea della Regione Friuli-Venezia Giulia per verificare i passi da compiere in relazione ai nuovi bandi ma soprattutto per garantire la prosecuzione delle progettualità che dovessero ricevere i finanziamenti, a prescindere dal processo di riforma istituzionale in corso.

    “È grazie al nostro ruolo che possiamo competere con altri partner e ambire a beneficiare di risorse comunitarie, altrimenti difficilmente accessibili, che ritornano a vantaggio dei territori del Friuli attraverso la realizzazione delle attività progettuali”, spiega il presidente Pietro Fontanini. Una conferma, dunque, di quanto risulti fondamentale per i Comuni la certezza che l’amministrazione provinciale riesce ad attingere ai fondi comunitari, consentendo lo svolgimento di progetti, all’interno del programma di cooperazione transfrontaliera con Austria e Slovenia, i cui risultati concreti ricadono all’interno dei territori stessi in termini di promozione turistica (declinata in ecosostenibile, slow tourism, turismo rurale, prodotti enogastronomici collegati all’identità di una terra), infrastrutture ciclabili, itinerari della Grande Guerra, economia sociale (con progetti di inclusione sociale e lavorativa per soggetti svantaggiati).
    Nel settennato 2007-2013 la Provincia di Udine ha preso parte a ben 12 progetti transfrontalieri di cui due nel ruolo di capofila, ottenendo complessivamente un finanziamento pari a 1 milione 848 mila euro e ha collaborato con circa 90 partner provenienti da Austria, Italia, Slovenia (soggetti afferenti al mondo politico-istituzionale, imprenditoriale ed accademico). Sette i progetti che rientrano nel programma di cooperazione transfrontaliera Italia-Slovenia e cinque nel programma Italia-Austria

    http://www.lavitacattolica.it/stories/economia/9531_la_provincia_uti_in_ritardo_addio_fondi_ue_ri

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  6. Dal sito internet del settimanale LA VITA CATTOLICA (Udine)

    http://www.lavitacattolica.it/stories/regione/8570_strade_provinciali_col_passaggio_alla_regione_costi_al_159/#.VbxINnkVjcs

    29.07.2015

    TITOLO - PIU' COSTI E MENO SERVIZI NELLE AREE PIU' MARGINALI, COME LA MONTAGNA. QUESTO POTREBBE ACCADERE TRA UN ANNO SULLE STRADE FRIULANE.

    TESTO:
    Le Province del Friuli-Venezia Giulia gestiscono attualmente oltre 2 mila chilometri di strade utilizzando circa 200 dipendenti, con un costo medio del personale che si attesta al di sotto dei 4 mila euro per chilometro.

    A partire dal 1° luglio 2016, come previsto dalla legge regionale n.26/2014, la proprietà delle strade provinciali verrà trasferita alla Regione, ai Comuni e alle Uti (Unioni territoriali intercomunali). Entro il 1° marzo 2016 la Regione dovrà individuare quelle di interesse regionale, che verranno affidate a FVG Strade, e quelle di interesse locale.

    Come scrive il compianto Giuseppe Bortolussi, direttore Cgia di Mestre recentemente scomparso, nell’indagine da lui curata «Le Province: operazione verità, l’attuale costo al chilometro» per FVG Strade è di 10 mila euro; pertanto, quelle strade provinciali che verranno gestite dalla società di proprietà della Regione potrebbero subire UN’ESPANSIONE DELLA SPESA DI CIRCA IL 159%

    Gli standard di FVG STRADE prevedono, infatti, una presenza di personale, rapportato al chilometro, ben superiore a quella delle attuali province: il rapporto chilometro/operaio è di 1 operaio ogni 22 chilometri per le Province rispetto ad 1 operaio ogni 13 chilometri in FVG Strade, il 40 per cento in più.

    Ma non è solo questa proiezione a preoccupare il Presidente dell'Unione Province italiane del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Fontanini, relativamente al frazionamento della viabilità provinciale, seppure il dato finanziario potrebbe risultare pesantissimo per le casse pubbliche.

    La preoccupazione vale anche per la parte di rete stradale che verrà ceduta ai Comuni e alle loro Unioni.

    Con la moltiplicazione dei centri di spesa (si passerà da 4 a 18 Uti) e lo smembramento delle attuali strutture amministrative verranno a cadere tante economie di scala ma, soprattutto, si profilano serie difficoltà per le Uti situate nei territori più periferici che dovranno sostenere un peso gestionale rilevantissimo per le modeste risorse di cui potranno disporre.

    In sostanza, proprio le Unioni di montagna, quelle meno dotate finanziariamente di risorse proprie, saranno chiamate a sostenere i costi maggiori per assicurare la fruizione di assi viari che, per la condizioni geografiche e meteorologiche, necessitano di una manutenzione costante e molto onerosa.
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