giovedì 15 luglio 2010

IL FRIULI CHIEDE PIÙ ATTENZIONE

Messaggero Veneto — 14 luglio 2010

Signor Presidente, mesi or sono Lei rispondeva con estrema cortesia a un invito giuntoLe da Udine. Il rettore dell’Università, il presidente della Provincia, il sindaco del Comune, il vicario generale dell’Arcidiocesi, il presidente del Comitato per l’autonomia e il rilancio del Friuli La invitavano a una visita, durante la quale ci sarebbe stato modo di esporLe alcuni impellenti problemi della nostra gente. Lei, signor Presidente, oggi è qui, sia pure per una visita fugace dopo i due giorni dedicati a Trieste, con relative cerimonie e manifestazioni d’uso. Osiamo esporLe sommariamente, a mezzo di questo quotidiano, ciò che avremmo potuto manifestarLe di persona in un più disteso incontro: e ciò anche a eventuale completamento di quanto prospettatoLe da altri. Cittadini di una regione autonoma a statuto particolare, dobbiamo dolerci per il persistente centralismo: sia su scala nazionale, sia su quella regionale. A parte i reiterati annunci di federalismo, le stesse autonomie non sono tuttora realizzate in pieno, e sono anzi contrastate
La nostra regione è fatta di due realtà nettamente distinte e riconosciute sulla Carta costituzionale: il Friuli e la Venezia Giulia (ovvero Trieste). Nonostante la sua specialità di regione confinaria, con la presenza di minoranze linguistiche (friulana, germanica, slovena), essa non vede riconosciuto nella giusta misura il suo diritto all’autonomia. Di più: in alcuni settori le relative prerogative vengono a risultare addirittura ridotte, rispetto a quelle in atto nelle regioni normali. Il Friuli, con la sua storia antica e recente, ha dato prove in ogni campo, nel lavoro e nel sacrificio: prove del resto ampiamente riconosciute e citate a modello da ogni parte politica. I più recenti echi delle nostre iniziative e imprese nel mondo, per citarne due sole, vengono dalla costruzione del grandioso stadio di Città del Capo per i Mondiali di calcio, e da Shanghai per la larga e apprezzata presenza all’Esposizione universale. Ma prima ha fatto storia la rapida ricostruzione dopo il disastroso terremoto del 1976, affidata con ampia delega dello Stato alla Regione, che si avvalse autonomamente degli enti locali, evitando dannose burocrazie e vergognosi sperperi. Il Friuli chiede e richiede maggiore attenzione ai suoi problemi. Oggi ci permettiamo di prospettarli a Lei, signor Presidente, massimo custode della legge fondamentale dello Stato, la Costituzione. La lingua friulana è una delle specificità che ci caratterizzano. «Il fatto che il Paese conservi una sua differenziazione» quanto a lingue e dialetti, ha scritto Tullio De Mauro, «è un elemento di grande ricchezza». La legge nazionale 482 del 1999 e la legge regionale 29 del 2007 per la «tutela, la valorizzazione e la promozione» del friulano (minoranza linguistica riconosciuta dalla citata legge 482) ci sono, ma chi “pon mano ad elle”? La lingua materna non è in contrapposizione ad altre, ma va conservata con altre. Essa è un documento che è anche un monumento, ricco di valori e di tradizioni, che costituiscono le nostre radici e il nostro patrimonio genetico. I friulani, lungi dal rinchiudersi in sé stessi, sono aperti al mondo (è necessario ricordare la diaspora dei nostri lavoratori e del nostro lavoro?), ma vogliono vedere concretamente riconosciuta la loro identità. Questi i motivi per cui riproponiamo l’esigenza di un adeguato finanziamento della legge 482, andato negli anni gradatamente scemando. Occorre provvedere alla riscrittura delle norme di attuazione, per ampliare i poteri regionali in materia di minoranze, e all’applicazione della legge regionale 29, che la Corte costituzionale ha convalidato nelle sue linee di fondo. Guardiamo ora alla situazione attuale della crisi economica. Il Friuli ha bisogno estremo di uscire da quello che è stato chiamato un “cono d’ombra”. Si parla tanto di infrastrutture: di corridoi da ovest a est, da nord a sud. Data la nostra collocazione geografica, essi sono più che necessari. Ma pensiamo che si debbano rafforzare preferibilmente le linee ferroviarie e le arterie stradali esistenti, prima di violentare nuove aree e di snaturare paesi, distruggendo valori ambientali che fanno parte della nostra vita. Tanto più che nell’intero territorio così attraversato verrebbe a crearsi una pura e semplice servitù di passaggio con zero benefici: una sosta sola, forse, tra Venezia e Trieste, altrimenti che alta velocità sarebbe? Riteniamo inoltre che, quanto a nuove infrastrutture, i termini di una soluzione non possono mai venire imposti d’imperio, contro la volontà delle popolazioni direttamente interessate. Lo stesso circa i ventilati elettrodotti. In ogni caso e sul piano generale, l’intervento dello Stato a sostegno della locale economia è indispensabile, anche per l’impatto derivato dall’allargamento dell’Unione europea a Paesi di nuova adesione: e ciò in coerenza con le politiche e i programmi comunitari a sostegno delle regioni frontaliere. Ancora, se permette. L’Università di Udine, per volontà del legislatore (legge 546 del 1977, articolo 26), «si pone l’obiettivo di contribuire al progresso civile, sociale, alla rinascita del Friuli e di divenire organico strumento di sviluppo dei filoni originali della cultura, della lingua, delle tradizioni e della storia del Friuli». È un compito al quale l’ateneo si è sempre attenuto, sviluppando un positivo rapporto con il territorio di cui Udine è il centro naturale e storico, e qualificandosi sul piano dello studio e della ricerca. Oggi la nostra Università, nella classifica Campus, è al sesto posto in Italia tra quelle di media grandezza, e nella classifica Censis la facoltà di Medicina mantiene da diversi anni il primo posto. Lo stesso vale per Lingue e per altre facoltà, che nel corso degli anni si sono trovate in vetta alla classifica. Per questo, e a maggior ragione, vanno assicurati dallo Stato adeguati sostegni finanziari, con riguardo alla qualità che l’Ateneo offre e ai risultati che esso ottiene. Non possono esistere ancora in Italia università sovrafinanziate e università sottofinanziate, tra cui quella friulana, nonostante le economie che essa ultimamente si è autoimposta e i riconoscimenti di eccellenza a essa riconosciuti. Sollecitiamo infine il trasferimento delle funzioni amministrative regionali agli enti locali, e la valorizzazione della Comunità delle province del Friuli (Udine, Pordenone e domani Gorizia), che deve potersi far carico dei persistenti problemi di queste terre. Non c’è contrapposizione tra area friulana e area triestina, ma occorre consentire che il Friuli possa decidere da sé per ciò che esclusivamente lo concerne. In sintesi: una Regione con ampia “devolution” alle autonomie locali. Lasciate alle spalle visioni centralistiche e nazionalistiche, siamo per lo sviluppo della democrazia, dei diritti costituzionali, del plurilinguismo, del decentramento e dell’autonomia amministrativa. Siamo autonomisti perché vogliamo rispettare la Costituzione. Ne citiamo alcuni tratti: non certo per Lei, ma per chi non li conoscesse ancora: «Articolo 5. La Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento». «Articolo 6. La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». «Articolo 114. La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione». «Articolo 116. Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale». Signor Presidente, più di qualcuno tra noi (ma il vizio è antico, quanto meno dai tempi di Dante) il “libito fa licito in sua legge”. I centralisti vorrebbero un’Italia centralista e magari piattamente uniforme; ma sono renitenti alla realtà delle cose. I friulani sono rispettosi della legge, a cominciare da quella fondamentale dello Stato. Non chiedono l’impossibile, non ricorrono alle proteste violente, che magari altrove raggiungono lo scopo. Desideriamo ripetere a Lei la nostra rispettosa fiducia e il ringraziamento più vivo.
Presidente del Comitato per l’autonomia e il rilancio del Friuli



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