Messaggero Veneto — 12 luglio 2010 pagina 13
Qui serve una squadra, assieme ad una visione più ampia della lingua friulana, del mondo che l’ha espressa e ancora l’esprime, una maggiore consapevolezza del ruolo della scuola e dell’università, ma anche una riflessione sulle assenze della politica, sulle pressioni di un certo establishment triestino che più volte ha tentato di frenare il processo di crescita del friulano, sia sul piano normativo sia su quello delle applicazioni pratiche: dalla scuola alle istituzioni pubbliche. Nel dibattito aperto da Lorenzo Pelizzo, presidente della Filologica, interviene ora il grande saggio dell’autonomismo Gianfranco D’Aronco, che parla a ruota libera e serenamente su politica, Filologica, scuola e università, e, più in generale, sulle prospettive della cultura friulana. – Professor D’Aronco, avrà certo seguito i pubblici e preoccupati interventi di questi giorni in favore della difesa e del rafforzamento della lingua friulana, a cominciare dalle scuole. Che ne pensa? «Contrariamente a quel che succede altrove, quasi per un’atavica eredità è sempre mancato e manca ai friulani il fare squadra per sostenere i propri interessi.
Perciò i risultati sono generalmente deboli. Più che appoggiare questa o quella iniziativa (lo si è detto e ripetuto), si è pronti a criticarle, dato che ciascuno di noi si ritiene nel giusto.
È vero che ogni idea innovativa nasce da una minoranza, e che la maggioranza tarda a farla sua: ma da noi si esagera. Tiziano Tessitori (1945) lancia l’idea del Friuli regione? Commento di un ineffabile friulano: «Si viôt ch’al à il so interes». – Ci sono, anche nel caso attuale, una certa sfiducia e un vago scetticismo? «Tutto ciò che riguarda la cerchia degli ideali non è di facile accettazione, e lo si capisce. I discorsi degli intellettuali non sono pane per tutti i denti. Meglio che la lingua friulana, con annessi e connessi studi, richiama immediate simpatie il frico , voglio dire il concreto materiale». – C’è una coscienza popolare innata, ma c’è anche una qualche resistenza da parte di alcuni gruppi? «È sotto gli occhi di tutti noi. Una tale resistenza alla riscoperta di un patrimonio linguistico come il nostro – di cui a livello popolare si ha, come lei dice, un’indistinta e sotterranea ma tenace coscienza – ha un riflesso negativo in ambienti a cui è estranea la scienza della glottologia, ma presente la scienza della politica. Emergono in tale campo non gli innovatori coraggiosi, preoccupati di rispondere alla propria coscienza, né gli equilibrati ma gli equilibristi. Alla ricerca continua (e in certo senso comprensibile: humanum est ) dei compromessi, attuano una strategia o meglio una tattica, giorno per giorno, da Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore: “Io vorrei, ma sono gli altri che mi trattengono”». – Quali i meriti della Società Filologica Friulana? «Io sono nella Filologica dal 1942 e nella università dal 1950. Conosco bene i rispettivi ambienti. Quanto alla Filologica – nonostante le costrizioni del ventennio che si sa, e certa retorica patriottarda emersa a tratti nel dopoguerra –, è stata l’unica organizzazione a tenere accesa la lum dal 1919 in poi. Oggi la seguo da vicino per ragioni anagrafiche, ma guai se non ci fosse stata e non ci fosse». – E l’università?
«Quanto all’università (quella di Udine l’ho vista sorgere da un luogo, per così dire, privilegiato), si è fatta dal nulla come ben si sa, per la pronta rispondenza degli enti locali. Ed è cresciuta nonostante la straordinaria resistenza dall’Oriente, e nonostante le restrizioni finanziarie dalla città eterna, tali da dover cercare risorse in loco con la creazione di un Consorzio. L’opera dell’attuale rettore Cristiana Compagno è esemplare, e ha trovato nuova rispondenza nelle istituzioni udinesi, a cominciare dalla Fondazione Crup presieduta da Lionello D’Agostini». – A chi dunque i richiami espressi ultimamente? «Caso strano, i richiami e i solleciti manifestati dal valido presidente della Filologica Lorenzo Pelizzo, gli echi dei quali hanno forse dato luogo a errate interpretazioni, erano indirizzati non certo a chi è una protagonista nella difesa e nella valorizzazione della lingua friulana, come a dire l’università di Udine, ma alle inaccettabili resistenze – diciamolo chiaro – di certo establishment municipale della città adriatica, in ricerca perpetua di gratificazioni sostanziose e di monopoli. Ciò mi procura meraviglia. Ho frequentato a suo tempo colleghi di quell’ateneo (sarò stato fortunato), molto aperti verso le esigenze udinesi: c’è lavoro per tutti, dicevano, e potrei fare i nomi». – Quanto poi all’organizzazione didattica? «Non conosco i dettagli, ma l’organizzazione didattica e i necessari impianti, quanto all’inserimento del friulano, sono stati realizzati rapidamente tra mille difficoltà. Quanto alla creazione di docenti (non si tratta di aule o di scaffali), si va naturalmente più adagio. Tuttavia, ne sono stati creati un centinaio, senza contare un master che ha coinvolto sessanta maestri e professori. I limiti sono da attribuire unicamente alle risorse finanziarie: a proposito delle quali Udine, come si sa, è ingiustamente e incredibilmente penalizzata. La nostra università è solo da ringraziare». – Riunire le forze dunque, fare squadra? «Ciascuno deve fare la sua parte. Un anno fa il Comitato per l’autonomia e il rilancio del Friuli ha favorito un incontro fra tutte le principali istituzioni e organizzazioni nostre – dalla Provincia al Comune all’Università, alle società culturali, sindacali e industriali, all’Arcivescovado –. È stato sottoscritto un patto, con un impegno unanime: sarà rispettato». – Gli studenti, le famiglie e le scuole nell’assoluta maggioranza vogliono l’insegnamento complementare del friulano. E quanto ai fondamenti scientifici? «La lingua è un documento e un monumento. Alla base di questa nostra rivendicazione – emersa dopo un soffocamento di marca centralista durato un secolo e mezzo – vi sono i fondamenti scientifici, che recano i nomi di Walter von Wartburg, di Graziadio Isaia Ascoli, di Theodor Gartner tanto per cominciare, per finire con Tullio De Mauro. Il friulano con il ladino è una lingua romanza. Esattamente come il sardo, il rumeno, il provenzale, il francese, lo spagnolo, il catalano, il portoghese. La conseguenza di questa innegabile realtà sta negli interventi della comunità europea, da cui la legge nazionale 482 del 1999 e la legge regionale 27 del 2007. Chi ostacola, apertamente o nascostamente, l’attuazione di queste leggi è contro la legge. Non so quanto possa essere stata soddisfatta la delegazione del Consiglio europeo per la protezione delle minoranze linguistiche, venuta l’altro giorno da Bruxelles, per constatare quanto fatto e non fatto sinora in Friuli». – E i dialetti locali, che pare abbiano alzato la testa, che ne è di loro? Lasciarli perdere? «Le varie parlate minori, diffuse pure tra noi, come il veneto nelle sue varietà, vanno pure difesi. Ma, vedi caso, sono stati scoperti ultimamente da avversari del friulano – chi lo sa? – per creare difficoltà chiedendo a loro volta sostegni finanziari. Dov’erano prima d’ora costoro? Non vengano a insegnare a noi l’apprezzamento dei dialetti. Questi friulanofobi non sanno forse che l’unica raccolta edita di poesie nel veneto-udinese, salvandolo dall’oblio, è dovuta a un’autrice friulana. Si diano da fare dunque, se amano i loro dialetti: anche per il bisiaco (cui a suo tempo, tanto per informazione, ho assegnato una tesi). Conoscono poi Biagio Marin e Virgilio Giotti?». – Le risorse dei vari enti, a cominciare dalla Regione, vengono a spizzichi. Non sarebbe il caso che ad amministrarle provvedesse un solo ente? «Quando l’Unione delle province friulane si consoliderà, speriamo anche con l’adesione del Goriziano, potrebbe venire demandata ad essa – insieme con la realizzazione dei progetti di esclusivo interesse friulano – la gestione dei fondi a pro della nostra lingua. Sarebbe la sede naturale, tanto più logica di quella sotto il Carso. La Provincia di Udine, presieduta da Pietro Fontanini, si è già mossa, stanziando una prima congrua cifra a favore di soggetti impegnati a valorizzare la lingua materna». – Infine, quali i vantaggi da tutto questo? «Quanti i vantaggi per tutti noi? Lenti ma sicuri. Quelli nati da un senso di dignità, dalla rafforzata coscienza di una identità e di una forza: quella dell’amore – come ha scritto una persona a me vicina – verso il Friuli: dolce, insostituibile patria ».
Perciò i risultati sono generalmente deboli. Più che appoggiare questa o quella iniziativa (lo si è detto e ripetuto), si è pronti a criticarle, dato che ciascuno di noi si ritiene nel giusto.
È vero che ogni idea innovativa nasce da una minoranza, e che la maggioranza tarda a farla sua: ma da noi si esagera. Tiziano Tessitori (1945) lancia l’idea del Friuli regione? Commento di un ineffabile friulano: «Si viôt ch’al à il so interes». – Ci sono, anche nel caso attuale, una certa sfiducia e un vago scetticismo? «Tutto ciò che riguarda la cerchia degli ideali non è di facile accettazione, e lo si capisce. I discorsi degli intellettuali non sono pane per tutti i denti. Meglio che la lingua friulana, con annessi e connessi studi, richiama immediate simpatie il frico , voglio dire il concreto materiale». – C’è una coscienza popolare innata, ma c’è anche una qualche resistenza da parte di alcuni gruppi? «È sotto gli occhi di tutti noi. Una tale resistenza alla riscoperta di un patrimonio linguistico come il nostro – di cui a livello popolare si ha, come lei dice, un’indistinta e sotterranea ma tenace coscienza – ha un riflesso negativo in ambienti a cui è estranea la scienza della glottologia, ma presente la scienza della politica. Emergono in tale campo non gli innovatori coraggiosi, preoccupati di rispondere alla propria coscienza, né gli equilibrati ma gli equilibristi. Alla ricerca continua (e in certo senso comprensibile: humanum est ) dei compromessi, attuano una strategia o meglio una tattica, giorno per giorno, da Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore: “Io vorrei, ma sono gli altri che mi trattengono”». – Quali i meriti della Società Filologica Friulana? «Io sono nella Filologica dal 1942 e nella università dal 1950. Conosco bene i rispettivi ambienti. Quanto alla Filologica – nonostante le costrizioni del ventennio che si sa, e certa retorica patriottarda emersa a tratti nel dopoguerra –, è stata l’unica organizzazione a tenere accesa la lum dal 1919 in poi. Oggi la seguo da vicino per ragioni anagrafiche, ma guai se non ci fosse stata e non ci fosse». – E l’università?
«Quanto all’università (quella di Udine l’ho vista sorgere da un luogo, per così dire, privilegiato), si è fatta dal nulla come ben si sa, per la pronta rispondenza degli enti locali. Ed è cresciuta nonostante la straordinaria resistenza dall’Oriente, e nonostante le restrizioni finanziarie dalla città eterna, tali da dover cercare risorse in loco con la creazione di un Consorzio. L’opera dell’attuale rettore Cristiana Compagno è esemplare, e ha trovato nuova rispondenza nelle istituzioni udinesi, a cominciare dalla Fondazione Crup presieduta da Lionello D’Agostini». – A chi dunque i richiami espressi ultimamente? «Caso strano, i richiami e i solleciti manifestati dal valido presidente della Filologica Lorenzo Pelizzo, gli echi dei quali hanno forse dato luogo a errate interpretazioni, erano indirizzati non certo a chi è una protagonista nella difesa e nella valorizzazione della lingua friulana, come a dire l’università di Udine, ma alle inaccettabili resistenze – diciamolo chiaro – di certo establishment municipale della città adriatica, in ricerca perpetua di gratificazioni sostanziose e di monopoli. Ciò mi procura meraviglia. Ho frequentato a suo tempo colleghi di quell’ateneo (sarò stato fortunato), molto aperti verso le esigenze udinesi: c’è lavoro per tutti, dicevano, e potrei fare i nomi». – Quanto poi all’organizzazione didattica? «Non conosco i dettagli, ma l’organizzazione didattica e i necessari impianti, quanto all’inserimento del friulano, sono stati realizzati rapidamente tra mille difficoltà. Quanto alla creazione di docenti (non si tratta di aule o di scaffali), si va naturalmente più adagio. Tuttavia, ne sono stati creati un centinaio, senza contare un master che ha coinvolto sessanta maestri e professori. I limiti sono da attribuire unicamente alle risorse finanziarie: a proposito delle quali Udine, come si sa, è ingiustamente e incredibilmente penalizzata. La nostra università è solo da ringraziare». – Riunire le forze dunque, fare squadra? «Ciascuno deve fare la sua parte. Un anno fa il Comitato per l’autonomia e il rilancio del Friuli ha favorito un incontro fra tutte le principali istituzioni e organizzazioni nostre – dalla Provincia al Comune all’Università, alle società culturali, sindacali e industriali, all’Arcivescovado –. È stato sottoscritto un patto, con un impegno unanime: sarà rispettato». – Gli studenti, le famiglie e le scuole nell’assoluta maggioranza vogliono l’insegnamento complementare del friulano. E quanto ai fondamenti scientifici? «La lingua è un documento e un monumento. Alla base di questa nostra rivendicazione – emersa dopo un soffocamento di marca centralista durato un secolo e mezzo – vi sono i fondamenti scientifici, che recano i nomi di Walter von Wartburg, di Graziadio Isaia Ascoli, di Theodor Gartner tanto per cominciare, per finire con Tullio De Mauro. Il friulano con il ladino è una lingua romanza. Esattamente come il sardo, il rumeno, il provenzale, il francese, lo spagnolo, il catalano, il portoghese. La conseguenza di questa innegabile realtà sta negli interventi della comunità europea, da cui la legge nazionale 482 del 1999 e la legge regionale 27 del 2007. Chi ostacola, apertamente o nascostamente, l’attuazione di queste leggi è contro la legge. Non so quanto possa essere stata soddisfatta la delegazione del Consiglio europeo per la protezione delle minoranze linguistiche, venuta l’altro giorno da Bruxelles, per constatare quanto fatto e non fatto sinora in Friuli». – E i dialetti locali, che pare abbiano alzato la testa, che ne è di loro? Lasciarli perdere? «Le varie parlate minori, diffuse pure tra noi, come il veneto nelle sue varietà, vanno pure difesi. Ma, vedi caso, sono stati scoperti ultimamente da avversari del friulano – chi lo sa? – per creare difficoltà chiedendo a loro volta sostegni finanziari. Dov’erano prima d’ora costoro? Non vengano a insegnare a noi l’apprezzamento dei dialetti. Questi friulanofobi non sanno forse che l’unica raccolta edita di poesie nel veneto-udinese, salvandolo dall’oblio, è dovuta a un’autrice friulana. Si diano da fare dunque, se amano i loro dialetti: anche per il bisiaco (cui a suo tempo, tanto per informazione, ho assegnato una tesi). Conoscono poi Biagio Marin e Virgilio Giotti?». – Le risorse dei vari enti, a cominciare dalla Regione, vengono a spizzichi. Non sarebbe il caso che ad amministrarle provvedesse un solo ente? «Quando l’Unione delle province friulane si consoliderà, speriamo anche con l’adesione del Goriziano, potrebbe venire demandata ad essa – insieme con la realizzazione dei progetti di esclusivo interesse friulano – la gestione dei fondi a pro della nostra lingua. Sarebbe la sede naturale, tanto più logica di quella sotto il Carso. La Provincia di Udine, presieduta da Pietro Fontanini, si è già mossa, stanziando una prima congrua cifra a favore di soggetti impegnati a valorizzare la lingua materna». – Infine, quali i vantaggi da tutto questo? «Quanti i vantaggi per tutti noi? Lenti ma sicuri. Quelli nati da un senso di dignità, dalla rafforzata coscienza di una identità e di una forza: quella dell’amore – come ha scritto una persona a me vicina – verso il Friuli: dolce, insostituibile patria ».
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