domenica 31 maggio 2015

UNIVERSITA' DEL FRIULI - LA FACOLTA' DI MEDICINA NON E' UN CLAMOROSO DOPPIONE!


UNIVERSITA' DEL FRIULI

LA FACOLTA' DI MEDICINA

NON E' UN
 
 CLAMOROSO DOPPIONE!

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Dal sito internet del settimanale

LA VITA CATTOLICA

(Udine)


 
I primari del S. Maria:

Facoltà di Medicina?
 
 Un doppione


Ottenuta dai Friulani dopo una dura lotta, sarebbe «la più clamorosa delle duplicazioni» 


"Con l'acqua sporca (i problemi organizzativi del Santa Maria della Misericordia, per la mai completata fusione tra Ospedale e Università) si vuol buttare via anche il bambino (la Facoltà di Medicina dell'Università di Udine, grande conquista, frutto di lunghe lotte dei Friulani contro il centralismo triestino).
Così si potrebbe sintetizzare il comunicato con cui il Collegio dei primari dell'Ospedale di Udine commenta oggi il «taglio» dei primariati disposto dalla Giunta regionale.
Un comunicato che, purtroppo, nell'intento di polemizzare contro la componente universitaria del S. Maria della Misericordia fa propri gli argomenti più retrivi degli ambienti triestini che ancor oggi non hanno digerito l'emancipazione accademica del Friuli. (…)"
    
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29 maggio 2015
 
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domenica 24 maggio 2015

PRIMA GUERRA MONDIALE IN FRIULI: NIENTE DA CELEBRARE!

 
24 maggio 2015

PRIMA GUERRA MONDIALE 
IN FRIULI
 
NIENTE DA CELEBRARE!
 
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Dal sito internet del settimanale
dell'Arcidiocesi di Udine
LA VITA CATTOLICA


 
NIENTE DA CELEBRARE
 
di Duilio Corgnali
 
 
"Editoriale" pubblicato giovedì 21 maggio 2015 sul settimanale "La Vita Cattolica", pagina 1 e seguito a pagina 7
 

 
 
 
"Qualcuno vorrebbe si celebrasse il 24 maggio quale anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia in quella che vien detta comunemente «la grande guerra», ma che il papa Benedetto XV definì allora «inutile strage». Quest’anno ricorrono i cento anni di quel tragico evento. Se celebrare significa, come spiegava F. Petrarca nel 1374, «lodare pubblicamente con parole e scritti», quell’evento di cento anni fa non può essere celebrato, semmai del tutto esecrato.
 
(...) Fu una grande «strage»: 70 milioni di uomini mobilizzati per la guerra, 9 milioni di soldati e 7 milioni di civili uccisi, 21 milioni di feriti e migliaia di orfani di guerra.
Se il fronte della guerra contava 600 chilometri, il Friuli fu il palco centrale di questo spettrale teatro.
 
Invaso dall’esercito italiano prima, da quello austriaco dopo, il Friuli fu la regione che più pagò il fio di questa «inutile strage». Non soltanto 15 mila i caduti friulani, 5 mila gli invalidi, il 2 per cento della popolazione gli orfani di guerra, ma anche il 21 per cento dei friulani costretti a prendere la strada dell’esodo, ma anche il 55 per cento della superficie agraria inutilizzabile, ma anche l’industrializzazione riportata indietro di trent’anni. Nel 1921 in provincia di Udine si contavano 58.981 disoccupati, cioè il 20 per cento dei disoccupati di tutta Italia. Distrutta l’industria, compromessa l’agricoltura, perduto il patrimonio zootecnico, distrutte molte case, il Friuli piombò in una marginalità socio-economica e culturale da cui potè uscire soltanto dopo il terremoto del 1976.

Quella guerra, iniziata il 28 luglio del 1914 ebbe termine soltanto l’11 novembre 1918, dopo aver fatto scorrere fiumi di sangue. «Umanità e ragionevolezza», richieste dal Papa per scongiurare quei fiumi, furono sotterrate da irragionevoli interessi di parte e di pochi. Sulle trincee furono mandati anche i giovani di 18 anni a irrobustire la carneficina.(...)
 
La Prima guerra mondiale è stata dunque una tremenda calamità per il Friuli, e non solo. Quella guerra, detta anche «guerra nostra» fu combattuta soprattutto sul territorio friulano.(...)
 
Ma proprio in nome della «veritas» e della «pietas» si deve dire che quel 24 maggio di cento anni fa non ha nulla da «celebrare».
 
Quel giorno va certo ricordato, perché la memoria è e deve essere il grembo del futuro.
 
Una memoria dunque depurata da ogni tentazione edulcorante, da ogni brivido di esaltazione idiota, da ogni retorica stolida, una memoria invece densa di tutta la tragicità che quell’evento ha comportato soprattutto per il popolo, in particolare per il popolo friulano.

Dunque, per favore, nessuna celebrazione per quel giorno. Memoria e riflessione sulle conseguenze tragiche di quella guerra sì e rimpianto anche per le tante giovani vite sacrificate in nome di una guerra assurda.(...)
 
 
Duilio Corgnali
 
22 maggio 2015
 
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Dal sito internet

www.portalenordest.it


SEZIONE "CONOSCERE"
 
 
 
 
LA PRIMA GUERRA MONDIALE
 
   

"Non è questa la sede adatta per studiare la prima guerra mondiale sotto il profilo politico e militare, anche perché il Friuli non ebbe voce in capitolo se non come vittima di una guerra decisa da altri per interessi che gli erano estranei e contrari. Contrari, vogliamo dire, al popolo, non certo a pochi interventisti immigrati dal Friuli orientale o da Trieste, che avevano in Udine la loro base operativa, nel Giornale di Udine, diretto da dalmata Isidoro Furlani, il loro portavoce e fra i borghesi di città i loro simpatizzanti.
 
Estranei agli interessi di un popolo che aveva solo bisogno di posti di lavoro, non di "spallate" sull'Isonzo, e che seppe pagare "per Trento e Trieste" un tributo di sangue e di danni morali e materiali che trova forse riscontro solo in qualche regione francese, non certo in altre regioni italiane.
   
In questa storia friulana vista dall'interno, dobbiamo rispondere solo alla seguente domanda: quale fu il prezzo pagato dai Friulani per partecipare alla prima guerra mondiale?
   
La grande guerra cominciò indirettamente per il popolo friulano nell'agosto del 1914, quando ottantamila emigranti furono costretti a rientrare dalla Germania, dall'Austria e dall'Ungheria con mesi di anticipo rispetto al ciclo normale di lavoro.
   
Ciò significò, in pratica, che molte famiglie si trovarono a dover sfamare una bocca in più, con un reddito più basso delle annate precedenti e in un periodo di prezzi crescenti. La situazione era già pesante nella tarda estate del 1914, sicché l'Ufficio Provinciale del Lavoro di Udine propose al Governo di accelerare l'esecuzione dei lavori pubblici già progettati nei vari comuni del Friuli ma non ottenne grandi risultati.

Nel febbraio del 1915, secondo i dati di una meticolosa indagine eseguita dal citato Ufficio, c'erano in Friuli 83.575 emigranti, dei quali 57.191 disoccupati. A giudizio dei rilevatori la situazione era "grave" nei collegi elettorali di Pordenone, Spilimbergo, Tolmezzo, Gemona-Tarcento e San Daniele; "difficile" nel collegio di Udine. (Da La Patria del Friuli del 2 maggio 1915).

La Cassa Depositi e Prestiti concesse mutui sufficienti per finanziare poco più della metà dei lavoro pubblici progettati, che erano già di per sé insufficienti per dar lavoro a tutti i disoccupati. Evidentemente il governo non aveva intenzione di impegnarsi a fondo in costruzioni che dovevano sorgere proprio su uno dei più sanguinosi campi di battaglia dell'immane conflitto.

A nulla valsero i comizi socialisti, le manifestazioni di piazza, le petizioni: la guerra si avvicinava ormai a grandi passi e avrebbe dato un fucile in mano a tutti i disoccupati.

A partire dal 24 maggio 1915 l'Esercito italiano raggiunse rapidamente la tragica linea della guerra di posizione sulle Alpi Carniche e Giulie e lungo l'Isonzo. Nel frattempo venivano deportati molti preti del Friuli orientale in base alla semplice presunzione che sarebbero potuti essere "austriacanti", e sulla piazza di Villesse vennero fucilati alcuni civili sospettati di sabotaggio. In Carnia furono "sgomberati" interi paesi per zelo poliziesco del tutto ingiustificato.

Su questa linea fino all'ottobre del '17, e sul Piave fino al 4 novembre 1918, i Friulani seppero bere fino in fondo l'amarissimo calice del sacrificio. Il battaglione Val Natisone fu l'unico a non avere disertori e in Carnia duecento donne, molte delle quali erano ancora adolescenti, portarono a mano o sul dorso migliaia e migliaia di pesantissimi proiettili in prima linea.
 
A guerra finita rimarranno quattordicimila orfani a testimoniare, accanto a migliaia di feriti e mutilati, il tributo dei Friulani a quella che Benedetto XV definì "inutile strage" (Rimarrà anche il record assoluto e relativo delle medaglie d'oro e delle altre decorazioni).

Bisognerebbe ancora dire che il numero degli orfani di guerra della provincia di Udine può essere scomposto come segue:
  • - figli orfani di contadini 6.903
  • - figli orfani di operai 6.025
  • - figli orfani di industriali e commercianti 182
  • - figli orfani di professionisti 262
(Dati ricavati da una comunicazione del Prefetto di Udine al ministero dell'interno, pubblicati da Il Lavoratore Friulano del 20 febbraio 1921).

Giovanni della Porta scrive che, fra il 24 maggio 1915 e il 27 ottobre 1917, la Città di Udine subì 68 incursioni aeree e sette bombardamenti. Le bombe caddero il 20 agosto e il 19 novembre 1915; il 19 gennaio, il 16 maggio e il 29 giugno 1916; il 31 maggio e il 25 ottobre 1917 (Archivio di Stato di Udine, busta 11).

Ma la guerra, per quanto sanguinosa e lunga, non avrebbe avuto il potere di distruggere il sistema economico regionale, se non ci fosse stata la ritirata di Caporetto, la fuga di 134.816 persone e l'invasione del Friuli ad opera di un esercito letteralmente affamato e assetato di bottino.

I profughi attribuirono alla fuga il valore di prova della loro superiore "italianità" ed accusarono i rimasti di collaborazione con il nemico, ritenendoli anche responsabili di furti commessi in realtà dagli invasori. È vero, invece, che non pochi profughi fuggirono per paura del nemico, dipinto come crudelissimo dalla stampa, perché incoraggiati alla fuga dalle autorità militari italiane oppure per spirito di gregge. Ed è altrettanto vero che i rimasti seppero difendere il difendibile e porre un argine alla fame austro-tedesca anche a vantaggio dei profughi.

Il danno maggiore non fu tuttavia demografico e psicologico: fu economico.

La grande guerra ebbe l'effetto di distruggere (letteralmente) il sistema economico friulano, determinando un insanabile ritardo della nostra regione nei confronti di altre regioni settentrionali, le cui industrie avevano tratto enorme profitto proprio dalle commesse militari e dall'economia bellica.

In un libro intitolato: L'industria nella Provincia di Udine, pubblicato dall'editore Giuffré per una collana diretta dal prof. Francesco Vito, si legge: "...il valore delle industrie friulane alla fine del 1918 é stimato pari al 14.3% del valore di quelle esistenti alla fine del 1917". Secondo il Tessitori, autore di uno splendido saggio intitolato: "II Friuli alla fine della guerra 1915-18", pubblicato su "Memorie storiche forogiuliesi 1967-68", "le distruzioni furono tali da riportare il settore industriale ad un livello di capacita produttiva inferiore a quello di trenta anni prima e da costringere a ricominciare tutto da capo, vale a dire dalla creazione dei presupposti primari per una ripresa industriale".
 
Il Parmeggiani, fine, nella pubblicazione più volte citata, scrive: "Quando infatti nel 1927 si poté fare finalmente il punto sulla nostra situazione industriale complessiva, si constatò che, praticamente, non s'era arrivati molto al di sopra del livello già raggiunto nel periodo antebellico".

Non sono naturalmente compresi nel conto i danni subiti dalle case private, dagli edifici pubblici, dalle strade e dalle ferrovie, ma anche tali beni subirono danni spaventosi.

   
Gaetano Salvemini, nel suo Le origini del Fascismo in Italia, scrive: "Le zone adiacenti al vecchio confine austro-ungarico, che erano state il teatro delle operazioni militari, erano in uno stato di rovina: 163.000 case di abitazione, 435 municipi, 255 ospedali, 1156 edifici scolastici, 1000 chiese, 1222 cimiteri erano stati distrutti o danneggiati; 80 imprese di bonifica agraria interessanti un'area di 120.000 ettari erano andate in rovina; 350 chilometri di strade erano fuori uso...".
   
Questi dati si riferiscono a tutte le zone adiacenti al vecchio confine, e quindi anche al Trentino, al Cadore e a una piccola parte del Veneto, ma é certo che per la metà circa riguardavano il Friuli.

L'agricoltura, infine, aveva perso quasi tutto il bestiame, molte infrastrutture, un anno intero di raccolti. Complessivamente, secondo i dati stimati dall'ispettore agricolo provinciale di Udine, pubblicati dal Giornale di Udine del 2 giugno 1918, l'agricoltura delle zone invase aveva subìto danni per un miliardo di lire dell'epoca. Il Friuli, essendo la zona più estesamente coltivata fra quelle invase, subì non meno della metà del danno complessivo.

A. BATTISTELLA, Il Comune di Udine durante l'anno dell'occupazione nemica, Udine 1927.
G. DEL BIANCO, La guerra e il Friuli, vol. 3, Udine 1952.
HORVATH-MAYERHOFER, L'Amministrazione militare austro-ungarica dall'ottobre 1917 al novembre 1918, (traduzione di una tesi di laurea dell'Università di Vienna), a cura di Arturo Toso, Udine 1985.
G. PIETRA, Gli esodi in Italia durante la guerra mondiale, Roma 1939”

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giovedì 21 maggio 2015

IL FRIULI AUSTRIACO NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE 1914 -.1918

 
 
 
Filo spinato e resti di legno
 raccolti nelle trincee di Cima Bocche, a formare una Croce
a ricordo "dell'INUTILE STRAGE" (1914-1918)
che massacrò l'Europa aprendo la strada
al Regime fascista,
al Nazismo e alla Seconda Guerra mondiale.
 
Foto scattata in cima a "Cima Bocche", 
fronte Prima guerra mondiale in Val di Fassa (Trentino).
(Foto di Roberta Michieli -  PROPRIETA' RISERVATA) 
 

PRIMA GUERRA MONDIALE
IN FRIULI
1914 - 1918


La storia “cancellata” di 30 mila friulani
del Friuli austriaco
che combatterono lealmente
in difesa dell'Impero Austroungarico
e in circa 3.000 anche morirono 
 fedeli al loro Imperatore. 
 

Dal quotidiano il Messaggero Veneto – 17 maggio 2015 


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COMUNICATO STAMPA

Comitato per l'Autonomia e il Rilancio del Friuli
Udine

 
Cervignano del Friuli
e la storia del popolo friulano


Scriveva bene prè Checo Placereani che i friulani sono un popolo che non conosce la propria storia!

Quello che sta accadendo a Cervignano del Friuli è difficile da capire: i caduti friulani con la divisa austroungarica non hanno la stessa dignità di quelli caduti in grigioverde!

A essere precisini - e rispettando la storia - i friulani di Cervignano, sudditi di Francesco Giuseppe, dovevano difendere i confini della loro patria, combattendo in Galizia contro gli zaristi o dove veniva loro comandato: erano nel giusto e facevano il loro dovere. E' noto del resto che non è vero – come invece ci racconta il nazionalismo italiano - che i sudditi asburgici, anche se di lingua italiana, non fossero fedeli alla Casa d'Austria e non ne apprezzassero l'amministrazione.

Altri friulani di Cervignano - pochi a dire il vero - combatterono contro l'esercito austroungarico cioè contro l'esercito di quella che era o era stata la loro patria. Erano irredentisti (oggi una cattiva propaganda li chiamerebbe terroristi). O forse solo si trovarono a essere arruolati dallo stato italiano dopo che i confini erano stati spostati a suon di fucilate!

Dobbiamo forse discutere su chi avrebbe più diritto ad essere ricordato nelle piazze?

Chi combatteva per l'impero che governava Cervignano da qualche centinaio d'anni e riconosceva ai friulani il diritto di parlare nella propria lingua o chi accettò o volle combattere per uno stato invasore che si premurò di deportare e anche fucilare chi parlava in friulano?

Friulani caduti per l'impero austroungarico e friulani caduti per l'Italia devono avere la stessa dignità nel ricordo di un sacrificio imposto in quella che Benedetto XV definì l'inutile strage!

Per i cervignanesi che solo oggi scoprono una parte della loro storia (e sì che il loro catasto si chiama ancor oggi ex-austriaco!) l'invito a leggere le storie di quegli uomini, di tutti quegli uomini che caddero su un fronte o sull'altro, secondo il caso, secondo una data, secondo una convinzione che va rispettata e ricordata con uguale dignità!


per il “Comitato per l'Autonomia 
e il Rilancio del Friuli
il Presidente
dott. Paolo Fontanelli


Udine, 18 maggio 2015

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Il Comunicato Stampa è stato pubblicato sul settimanale LA VITA CATTOLICA (UD) - rubrica "Giornale aperto" - giovedì 21 maggio 2015

domenica 17 maggio 2015

UN ATTO CONCRETO PER IL MUSEO FRIULANO DI STORIA NATURALE - UDINE


 
MUSEO FRIULANO
 
 
DI STORIA NATURALE


- Udine -
 


Scheda descrittiva
 
 
 
 
Attualmente il Museo non dispone di una sede; in particolare mancano  gli spazi espositivi permanenti.  
 
 
 
RICEVIAMO

dal "Comitato amici

 del Museo Friulano di Storia Naturale"

E PUBBLICHIAMO
 
 
 
Agli organi d’informazione
 
del Friuli - Venezia Giulia



Un atto concreto
 
per il Museo Friulano
 
 di Storia Naturale



Chiudete gli occhi e pensate a laboratori dedicati ad attività didattiche per le scuole, spazi espositivi, sale multimediali, ricostruzioni ed installazioni interattive, ovvero finalmente una nuova sede per il Museo Friulano di Storia Naturale! Un luogo dove poter dialogare con la scienza ma anche giocare, dove la sostenibilità trovi la sua casa ed il futuro possa essere costruito sulle basi di un solida conoscenza del passato, e Udine possa finalmente sviluppare il suo ruolo di capitale della biodiversità!

Leggiamo in questo giorni la proposta dell'Associazione Start di realizzare una Cittadella della creatività all'interno dell'ex Macello. E' un progetto che potrebbe essere interessante, se supportato da un lavoro di valutazione della sostenibilità, ma questa proposta è un intervento a gamba tesa nei confronti della definitiva assegnazione della sede per il Museo friulano di storia naturale, in ventennale diaspora.

Dopo lo "sfratto" per il restauro di palazzo Giacomelli, non più adeguato a contenere le attività, le collezioni e le mostre tematiche del Museo, le sedi proposte sono state molteplici: l'ex Tribunale, la scuola di Via Gorizia, l'ex Caserma dei Pompieri, per portare poi la proposta di sede nell'ex Frigorifero ed oggi auspicabilmente nell'ex Macello. Un iter travagliato e difficile, che non ha mai scoraggiato gli amici del Mfsn ed il personale del Museo stesso, che in tutti questi anni ha continuato ad organizzare mostre e conferenze, convegni, fare ricerca, collaborare con Istituzioni locali, nazionali, estere mostrando grande entusiasmo e professionalità nonostante la mancanza di una sede ove allestire le esposizioni permanenti e svolgere con continuità l'attività didattica ecc.

Finalmente oggi questa sede sembra essere l'ex-Macello: ci sono gli spazi (se non verranno dispersi), il progetto avviato, i fondi disponibili e la giunta comunale pare ben propensa, sollecitata in più occasioni dal comitato, da cittadini e da vari consiglieri.

Come Comitato, e con l'appoggio di 20 associazioni (ambientaliste, culturali, ecc.) abbiamo raccolto e depositato in Comune oltre 5000 firme di cittadini che chiedevano una nuova sede dignitosa per il Museo di Storia naturale.

L’Amministrazione è consapevole del valore dell'istituzione, sia per garantire continuità al museo che affonda le radici nel XIX secolo, sia per agire nel contesto sociale con attività di carattere didattico/culturale ed economico.

Riteniamo che non ci sia più tempo per dilazionare i tempi di una scelta, ci vuole un atto concreto, operativo. Ci vuole una delibera che vincoli la destinazione degli edifici dell'ex macello per il museo e definisca le modalità operative del loro restauro.


Udine, 13/05/2015

Per il Comitato:

Roberto Pizzutti

Gigliola Castellani

Carlo Bressan
 
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martedì 12 maggio 2015

"FRIULANOFOBIA" E' SINONIMO DI "RAZZISMO LINGUISTICO"?







"Friulanofobia" è

sinonimo di
 
"Razzismo linguistico"?


DOSSIER

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TRIESTE

Asssociazioni

degli esuli istriani



Quindicinale

"La nuova VOCE GIULIANA"
 


Il Quindicinale “La nuova VOCE GIULIANA”, è edito dalla “Associazione delle Comunità istriane” di Trieste.

E' UN PERIODICO PUBBLICATO CON IL CONTRIBUTO DELLO STATO ITALIANO EX LEGGE 193/2004.

 
Editoriale pubblicato in prima pagina
 
a firma di Sergio TOMASI
 
il 1 ottobre 2007
"(...)
 
PRESUNZIONE LINGUISTICA

Mai così tanto come recentemente si è sentito parlare di un dialetto che i nostri vicini usano tra di loro, in famiglia o nei bar o nelle fiere paesane e che, per volere di una certa baronia, si vuol far diventare, ope legis, una “lingua” che si definisca veicolare, cioè che si possa usare anche per l'insegnamento di altre discipline.
 
Per accontentare un gruppo di forte sapore campanilistico e per chissà quali accordi sotterranei o per stemperare le smanie di una lobby che sta condizionando la politica nelle stanze dei bottoni, la Regione non può sprecare il denaro dei suoi abitanti per finanziare una legge che consenta a una parlata locale di definirsi “lingua” che, per essere tale, deve avere innanzitutto alle spalle uno Stato che la riconosca e la protegga con le sue regole grammaticali e sintattiche per la formazione del periodo, insomma una sua letteratura.
 
La costruzione di una legge così proposta, di così basso provincialismo indurrebbe più di qualcuno a trascurare la lingua ufficiale della Repubblica dando luogo ad una sorta di analfabetismo per cui uno scolaro non saprebbe scrivere correttamente neppure una lettera a Babbo Natale e sprofonderebbe nell'isolamento culturale dinnanzi ad un prospetto europeo ( o di macroregione).
 
Il friulano è solo un fatto di lessico parlato con diversi accenti in una zona dell'Italia del nord-est, come avviene per l'istro-veneto, il triestino, il veneziano e così via.
 
Non si parlerà mai a Strasburgo, all'ONU, ad incontri internazionali e interregionali in friulano ed in tempi di globalizzazzione diventa grottesco statuire per legge una parlata locale. Oltre a sottrarre tempo e risorse all'apprendimento di lingue che sono ben più utili, come l'inglese, il tedesco, il francese... e magari il cinese e il russo, essa avrebbe un effetto babele nei nostri giovani studenti.
 
Tutto questo sembra invece un mero tentativo di allargare l'influenza friulana nella nostra Regione a danno della componente giuliana.
 
E' meglio, come sempre stato, che i dialetti nel nostro Paese rimangano in famiglia o nella cerchia di amici e conoscenti o tutt'al più negli stadi e si eviti l'etnizzazione della politica regionale e non si mandi il nostro Maestro Dante ad impolverarsi od ingiallirsi in qualche museo nazionale. Chissà chi ha la verità in tasca ? (…)"
 
SERGIO TOMASI
 
(Nota della Redazione del Blog - Il "DIALETTO" a cui fa riferimento Sergio Tomasi è la lingua friulana, tutelata e riconosciuta dalla Repubblica italiana ai sensi dell'art.6 della Carta Costituzionale.
La legge a cui si fa riferimento nell'articolo è la legge regionale 29/2007 che dà attuazione, in regione, alla legge statale 482/99, tutela minoranze linguistiche)
 
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REGIONE

Assessorato alla Cultura


La Lingua friulana è
 
ancora una volta

esclusa dai bandi regionali,

progetti culturali!
 
 
VERGOGNA!


Dal sito di EUROFURLAN

30 aprile 2015


LEGGI TUTTO


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IL FRIULANO E' UNA LINGUA

Lo ribadisce "nuovamente"
 
 anche la Corte Costituzionale

20 luglio 2013

Dal sito internet di

Cubscuola Udine

 

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COMMENTO
 
Evidentemente per i "Friulanofobici" le molteplici sentenze della Corte Costituzionale a favore della minoranza linguistica friulana, hanno lo stesso valore del giornalino “Topolino”!
 
Evidentemente i "Friulanofobici" disconoscono e negano l'art. 3  e 6 della Costituzione italiana e anche l'art. 2 della Legge 482/99, articolo in cui viene riconosciuta e tutelata la "minoranza linguistica friulana", tutela che è prevista in ogni ambito pubblico e sociale. 
 
O forse siamo in presenza  di una  chiara dimostrazione di "pregiudizio linguistico" che rasenta il "razzismo linguistico", mai sanzionato sul piano politico regionale perché ancor oggi troppi politici (soprattutto quelli che vivono sotto il "Campanile di San Giusto"!) sono "Friulanofobici"?

Meglio sprecare i finanziamenti regionali così,

http://comitat-friul.blogspot.it/2015/03/regione-il-bus-scontato-per-gli-esuli.html

invece di ottemperare agli articoli 3 e 6 della Costituzione italiana, alla legge 482/99 e alla legge regionale 29/2007, tutela lingua friulana?
 
LA REDAZIONE DEL BLOG

giovedì 7 maggio 2015

REGIONE FRIULI? COME LA PROVINCIA DI BOLZANO!


 
 
 
TRIESTE

CITTA' METROPOLITANA?

LA REGIONE FRIULI
(UDINE, PORDENONE E GORIZIA)

COME LA PROVINCIA DI BOLZANO!

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Da il quotidiano

IL PICCOLO (Ts)

 

Roma accelera sulla città metropolitana 


Approvato in commissione Affari costituzionali del Senato l’emendamento Russo inserito nella legge “taglia Province”

di Giuseppe Palladini

7 maggio 2015 
  
Nuovo passo avanti sulla strada della creazione di Trieste città metropolitana. La discussa possibilità, nata da un emendamento del senatore Francesco Russo (TRIESTINO.DOC! n.d.r.) che ha sollevato non pochi “mal di pancia” nel centrosinistra, è inserita nel disegno di legge sull’abolizione delle Province approvato ieri dalla commissione Affari costituzionali del Senato, a larga maggioranza. A favore hanno votato Pd, Scelta Civica, Autonomie. Per il sì si sono espressi anche M5S e Lega, mentre era assente Sel. (…)

«È stato superato lo scoglio più duro», commenta Russo, che interpreta questa prima approvazione come «un contributo al dibattito già aperto dalla riforma Serracchiani-Panontin sulle autonomie locali. Spero che questa norma - aggiunge - ci aiuti a ragionare assieme sulle potenzialità di tutto (SIC! n.d.r.) il territorio regionale (???? n.d.r.). L’unico modo per guardare il futuro è superare i campanilismi (???? n.d.r.) - ed è responsabilità di tutta la classe dirigente regionale non giocare sulle divisioni». (…)
 
La stessa segreteria dem non aveva accolto con favore l’eventualità di una norma sulla città metropolitana. E l’assessore alle Autonomie locali, Paolo Panontin, si era detto perplesso in quanto «le dimensioni di una città metropolitana sono ben altre. A Trieste credo che queste caratteristiche manchino, e i benefici finanziari che ne potrebbero derivare non sono certi». (…)
 
Dal vicepresidente del Consiglio regionale Igor Barvoce, esponente della Slovenska Skupnost, era giunta una secca bocciatura: «L’aula si è già espressa in modo contrario. Un organismo del genere mina la rappresentanza politica del Comuni minori e della minoranza slovena». (…)
 
Battista ribadisce che «la forma della città metropolitana valorizza le potenzialità economiche, tecnologiche, culturali e sociali del territorio, intervenendo sullo sviluppo economico, sui flussi di merci e di persone, nonché sulla pianificazione territoriale». E aggiunge: «Ciò significa un maggiore grado di controllo amministrativo e finanziario, unito a una capacità rafforzata di gestione autonoma delle politiche del territorio. Spero che anche Trieste possa intraprendere presto il percorso della città metropolitana, che significherebbe un nuovo corso economico, culturale e politico». (anche la regione storica e geografica FRIULI – Pn, Go e Ud – ambisce a pari opportunità e invece la legge Panontin della riforma degli enti locali, l'ha frantumata  in ben 16 UTI  (Unioni territoriali intercomunali)!  - n.d.r.) 
 
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Le note “n.d.r.” in colore blu,

sono della Redazione del Blog

 

lunedì 4 maggio 2015

PARLAMENTO ITALIANO E LEGGE ELETTORALE "ITALICUM".


 
PARLAMENTO ITALIANO

E

LEGGE ELETTORALE
 
"ITALICUM"
 
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dal quotidiano

"IL FATTO QUOTIDIANO"

mercoledì 29 aprile 2015

(pagina 3)



I PRECEDENTI


Dalla fascista Acerbo alla legge truffa (che costò la carriera a De Gasperi)

"NELL'ITALIA unitaria, solo in due casi è stata posta la fiducia su leggi elettorali: due precedenti che evocano foschi ricordi.
 

Il primo risale al 1923, quando il regime fascista impose la legge Acerbo, che prende il nome dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ovviamente presieduto da Benito Mussolini. Il testo assegnava al primo partito un premio di maggioranza dei 2/3 dei seggi, a patto che avesse superato il quorum del 25 per cento. La legge passò alla Camera con il voto di fiducia, seppure di stretta misura e grazie anche a molti assenti.

Il secondo caso è di 30 anni dopo, ed è rappresentato dalla cosiddetta “legge truffa”, come la definì il giurista Pietro Calamandrei. A volerla nel 1953 fu il governo presieduto dal democristiano Alcide De Gasperi, su proposta del ministro dell'Interno Mario Scelba. Prevedeva un cambio radicale per il Parlamento repubblicano, fino ad allora eletto con il sistema proporzionale, introducendo un premio di maggioranza del 65 per cento dei seggi per la coalizione che avesse ottenuto il 50 per cento più uno dei voti. Contro il testo ci fu una rivolta parlamentare, scatenata proprio dalla decisione di porre la fiducia sulla legge.

Il Governo riuscì a spuntarla, e il provvedimento venne promulgato il 31 marzo. Ma nelle successive elezioni politiche di giugno, De Gasperi pagò dazio. L'ampia coalizione capeggiata dalla Dc si fermò al 49,8 per cento, a 54.000 voti dal premio di maggioranza. De Gasperi provò a formare un nuovo governo, ma il Parlamento gli negò la fiducia, sancendo la fine della sua storia politica.
 
La legge truffa venne abrogata un anno dopo."

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