mercoledì 29 agosto 2012

PROVINCE - IL PARERE DEI GIURISTI



PROVINCE
IL PARERE
DEI GIURISTI

(…) responsabile della Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Trieste, Paolo Giangaspero (…) è assolutamente da escludere una ipotetica potestà regionale di soppressione dell'istituto provinciale (…)
Dimitri Girotto, del dipartimento di scienze giuridiche dell'Università di Udine. (…) Girotto non ha mancato di riportare un pronunciamento della Corte costituzionale del 2007 con il quale è stata evidenziata la natura di "ente costituzionalmente necessario" da riconoscersi alle Province, così come di far presente che la Provincia, se diventasse di secondo grado, sarebbe l'unico ente non eletto direttamente dal popolo ma che si vuole comunque rappresentativo del volere popolare.(…)
Da ultimo, il presidente della Commissione paritetica Stato/Regione, Manlio Contento, ha parlato a titolo personale sostenendo che se si riduce tutto a una questione di costi ingiustificati, allora le Province vanno eliminate, ma è più giusto analizzare se esistono funzioni solo di livello comunale e regionale o, invece, ve ne sono di intermedie. Poiché la risposta è positiva, perché cancellarle o accorparle - ha detto - se possono essere di riforma delle autonomie locali, essere un riferimento istituzionale e se possono ricoprire quelle funzioni che non possono ricadere sui piccoli Comuni (e guai pensare che tutti livelli possano finire sotto la Regione)?

LEGGI TUTTO

Dal sito internet della regione Friuli – Venezia Giulia

Consiglio regionale del
Friuli - Venezia Giulia

Comunicati Agenzia Consiglio Notizie - Commissione speciale Province: terzo giorno di audizioni (2)
28 Agosto 2012, ore 17:33

(ACON) Trieste, 28 ago - RC - La seconda parte della terza giornata dedicata alle audizioni in Commissione speciale ha visto tra gli ospiti il responsabile della Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Trieste, Paolo Giangaspero, il quale ha individuato la potestà ordinamentale della Regione in materia di enti locali quale filo conduttore di ogni riflessione sul futuro delle Province delle Regioni a statuto speciale. Tutto si gioca - ha spiegato - sull'equilibrio che si verrà a determinare tra tale potestà e le esigenze di controllo e disciplina dei meccanismi di riduzione della spesa pubblica complessiva da parte del centro.
Giangaspero ha, quindi, citato diverse sentenze della Corte costituzionale che dimostrano la non applicazione immediata del principio di sussidiarietà per quanto riguarda le Regioni speciali, nonché una serie di leggi che ribadiscono il coinvolgimento diretto degli enti locali quando si tratta di istituire o modificare circoscrizioni provinciali, mentre è assolutamente da escludere una ipotetica potestà regionale di soppressione dell'istituto provinciale.
Altro punto, per il professore, le città metropolitane, comparse in legislatura nazionale nel 1990 e in quella regionale nel 2006 con la legge n. 1: quanto previsto nelle disposizioni della spending review non tocca significativamente la potestà regionale quanto al loro disegno organizzativo.
Non da meno, però, il Governo qualifica il punto del decreto legge sul riordino delle Province come un intervento giustificato, in termini di competenza statale, in materia di coordinamento della finanza pubblica tale da costituire un vincolo da recepire da parte delle autonomie speciali, seppure con un margine di tempo più ampio di quello delle ordinarie.
Ed è stato su questo ultimo aspetto che si è soffermato particolarmente anche Dimitri Girotto, del dipartimento di scienze giuridiche dell'Università di Udine. La Corte costituzionale ha chiarito più volte - ha affermato il ricercatore - che le Regioni si pongono tutte sullo stesso piano, essendo tenute a concorrere al conseguimento degli obiettivi finanziari dello Stato, soprattutto in quanto imposti dall'appartenenza all'Unione europea.
Ma Girotto non ha mancato di riportare un pronunciamento della Corte costituzionale del 2007 con il quale è stata evidenziata la natura di "ente costituzionalmente necessario" da riconoscersi alle Province, così come di far presente che la Provincia, se diventasse di secondo grado, sarebbe l'unico ente non eletto direttamente dal popolo ma che si vuole comunque rappresentativo del volere popolare.
Da ultimo, il presidente della Commissione paritetica Stato/Regione, Manlio Contento, ha parlato a titolo personale sostenendo che se si riduce tutto a una questione di costi ingiustificati, allora le Province vanno eliminate, ma è più giusto analizzare se esistono funzioni solo di livello comunale e regionale o, invece, ve ne sono di intermedie. Poiché la risposta è positiva, perché cancellarle o accorparle - ha detto - se possono essere di riforma delle autonomie locali, essere un riferimento istituzionale e se possono ricoprire quelle funzioni che non possono ricadere sui piccoli Comuni (e guai pensare che tutti livelli possano finire sotto la Regione)?
Al termine, una domanda di Enio Agnola (Idv): "Si arrivasse a dover affermare che non servono più, che si dovrebbe fare delle Province?". Svuotarle delle loro funzioni e poi modificare lo statuto regionale ove le prevede - è stata la risposta dei due giuristi. Impossibile eliminarle - così invece Contento. Si potrebbe solo svuotarle, ma poi si dovrà stabilire se quelle funzioni devono essere gestite dai Comuni o dalla Regione.
Ma se noi preparassimo una legge ove si afferma che contribuiamo al contenimento della spesa pubblica - ha poi ipotizzato Roberto Marin (Pdl) - non accorpando le Province, ma anzi dando loro più competenze eliminando quegli enti che oggi appesantiscono il sistema, si vedano ambiti, consorzi, Ater, questo basterebbe a soddisfare il Governo? È poi sufficiente il ricorso della Regione al primo decreto "Salva Italia" o è possibile impugnare anche il secondo? Se la risposta a questa ultima domanda è stata facile e positiva, i due professori hanno dichiarato che non è possibile stabilire a priori cosa accadrebbe con la prima ipotesi perché si dovrebbe dimostrare che contiene il principio del coordinamento finanziario, cosa non facile. Però è certo che molti enti possono sparire - ha rimarcato Manlio Contento. Da parte di Franco Iacop (PD) la domanda è stata se sarebbe possibile congelare il sistema con le rappresentanze legislative oggi in essere, ovvero se si possono interrompere i mandati delle Province visto che le loro scadenze sono previste per il 2013, 2014 e 2015. Fortemente contrario a che ciò possa accadere "pacificamente" si è detto il parlamentare, a detta del quale non è tanto scontato neppure poter trasformare un ente di elezione diretta in uno di secondo grado; scontati i ricorsi.
Prossima seduta di Commissione dopodomani, giovedì 30 agosto.


---------------------

domenica 26 agosto 2012

COSA MANCA AI FRIULANISTI - di Gianfranco D'ARONCO



COSA MANCA AI FRIULANISTI
di
Prof. Gianfranco D’Aronco

(…) Qualche speranza? Si salverà il Friuli? Certo: in primo luogo con la lingua, che (lo ha detto non ricordo più chi) è la carta d’identità di un popolo. Si aggiungano la  storia, la geografia, la tradizione. Ma è ora che al nostro pubblico, specie se giovane, i friulanisti offrano proposte concrete, ponendole alla base di ogni rivendicazione da parte di gruppi variopinti che – in luogo di ignorarsi o di ritenersi ciascuno di essi il primo – si uniscano in unico gruppo, che si presenti alle elezioni del 2013.
(…) A cominciare da una riforma (province sì, province no), che sancisca istituzionalmente e finalmente la duplice composizione della nostra Regione, se non sbagliamo fatta di Friuli e di Trieste, e che tagli le gambe a un sempre crescente centralismo, che vede una conquistata autonomia particolare  soffocata e derisa. Seguono tutti i problemi particolari, tra cui emerge quello delle infrastrutture, da realizzare non per i comodi delle varie aziende la cui ragion d’essere è (beate loro) quella di aumentare i profitti (“Fate questo, o dobbiamo licenziare o dislocare”), ma nell’interesse della collettività e nel rispetto della natura. (…)
Un programma serio per il Friuli non c’è proprio nessuno che lo stenda? Ma un programma che ci porti a ottenere quel che ci spetta, smettendo di piatire e piuttosto battendo i pugni: come fanno altri nell’unico linguaggio che Roma intenda.(…)
Un programma contro quello che è stato chiamato da Giovanni Sartori “il vangelo della globalizzazione”. A cominciare proprio dalla difesa della lingua soprattutto nella scuola  - garantita non da governanti più o meno precari, ma da leggi europee, nazionali e regionali –, difesa  rimandata invece con orgogliosa  sicurezza  da un anno all’altro.
Gianfranco D’Aronco


LEGGI TUTTO L’ARTICOLO

Cosa manca ai friulanisti
           
“Vi farei volentieri la polenta”, diceva una brava donna ai suoi, “ma non ho farina”. Cosa manca ai friulanisti, per concorrere a cambiare questa Regione, fatta (senza offendere) sommando mele con patate? Diciamolo schietto: mancano i friulani, come a dire che i friulani sono mancanti. Sono mancanti, nella gran parte, nonostante i ripetuti, innumerevoli richiami loro rivolti, dal dopoguerra in qua, da intellettuali e politici, la cui bandiera recava scritto: “Regione friulana”.
         Non sono mancati invece, da allora, i leader di vario peso. Ma due soli emergono: Tiziano Tessitori (1945: Associazione per l’autonomia friulana; 1947: Movimento popolare friulano) e Fausto Schiavi (1967: Movimento Friuli). Ad essi aggiungiamo ora a pieno titolo Arnaldo Baracetti  (2005: Comitato per l’autonomia e il rilancio del Friuli). Erano uomini di pensiero e di azione, come dev’essere appunto ogni leader: sapevano farsi sentire, nei comizi e nelle aule, e sapevano scrivere. Finché furono presenti loro, la voce degli autonomisti era forte: non abbastanza però da portare dalla loro il  Parlamento o il Consiglio regionale, dove spesso la maggioranza vince a forza di “sì, ma…”. Su una richiesta o un’altra fummo rimandati a settembre, e lo siamo anche oggi di buona regola.
         Mancano (ahimè) i friulani. Si sa: le riforme e i risorgimenti sono promossi da pochi iniziatori; altri si aggiungono via via, e la gente alla fine li segue dove la porta il vento. Sennonché  noi friulani (“lenti ma pensosi”) siamo duri a muoverci. Il nostro DNA (alla base c’è il complesso d’inferiorità) è stato alla fine analizzato da Giovanni Pessina e, dopo di lui, da Franco Fabbro: neurologi meritatamente apprezzati.
         Noi non abbiamo, è vero, nessun Cola di Rienzo e nessun Masaniello, e meno male. Ma non si vede in giro oggi, forse per miopia nostra, alcun personaggio che emerga dall’acqua cheta che ci circonda. Coloro che possiedono delle doti si dividono in due gruppi: quelli che si sono fatti assumere dai partiti, e quelli che rifuggono da ogni contaminazione con la politica intesa come professione. “Oggi”, mi diceva un autorevole amico, ritiratosi anzitempo dalla lotta politica, “è una fortuna essere al di fuori dei partiti”. Si salvi chi può. C’è chi si ritira per amore, chi per forza: peccato. Un tempo c’era qualche ideale che muoveva gli uomini e di sinistra e di centro e di destra, cattolici e laici. Oggi, caduti i muri, non ci sono nemici da combattere, ma piuttosto interessi comuni di vario nome e in genere di buona sostanza. Ormai i media si dividono gli spazi a metà, tra leader e lader (in dialetto meneghino). Senza accorgerci, stiamo diventando tutti materialisti. Si è trascinati a esaltare il progresso, non la civiltà.
         Qualche speranza? Si salverà il Friuli? Certo: in primo luogo con la lingua, che (lo ha detto non ricordo più chi) è la carta d’identità di un popolo. Si aggiungano la  storia, la geografia, la tradizione. Ma è ora che al nostro pubblico, specie se giovane, i friulanisti offrano proposte concrete, ponendole alla base di ogni rivendicazione da parte di gruppi variopinti che – in luogo di ignorarsi o di ritenersi ciascuno di essi il primo – si uniscano in unico gruppo, che si presenti alle elezioni del 2013. Dico di proposte innovative su vari oggetti. A cominciare da una riforma (province sì, province no), che sancisca istituzionalmente e finalmente la duplice composizione della nostra Regione, se non sbagliamo fatta di Friuli e di Trieste, e che tagli le gambe a un sempre crescente centralismo, che vede una conquistata autonomia particolare  soffocata e derisa. Seguono tutti i problemi particolari, tra cui emerge quello delle infrastrutture, da realizzare non per i comodi delle varie aziende la cui ragion d’essere è (beate loro) quella di aumentare i profitti (“Fate questo, o dobbiamo licenziare o dislocare”), ma nell’interesse della collettività e nel rispetto della natura. Ha scritto Carlo Sgorlon: “Scienza e tecnologia possono servire a rimediare ai guasti operati dall’uomo”; ma se non viviamo in armonia con la natura, “il tratto di storia che ci rimane non potrà essere se non quello che ci conduce all’autodistruzione”.
Un programma serio per il Friuli non c’è proprio nessuno che lo stenda? Ma un programma che ci porti a ottenere quel che ci spetta, smettendo di piatire e piuttosto battendo i pugni: come fanno altri nell’unico linguaggio che Roma intenda. Chi sa che i furlani non si sveglino dal torpore ereditario in cui sono immersi (salvo dare il voto a questo o a quel partito, così per forza d’inerzia). Un programma contro quello che è stato chiamato da Giovanni Sartori “il vangelo della globalizzazione”. A cominciare proprio dalla difesa della lingua soprattutto nella scuola  - garantita non da governanti più o meno precari, ma da leggi europee, nazionali e regionali –, difesa  rimandata invece con orgogliosa  sicurezza  da un anno all’altro. Altrimenti il Friuli finirà come la Provenza. Mi scriveva da Tarascona cinquant’anni fa Claude Liprandi che il loro “felibrismo”, erede di Mistral e di Aubanel, è ridotto a organizzare qualche banchetto e qualche gara poetica,mentre si perpetuano diatribe per le varie grafie. Così non sia di noi.
Gianfranco D’Aronco

----------------------------------

L’articolo è stato pubblicato venerdì 24 agosto 2012 sul quotidiano "IL MESSAGGERO VENETO" (Ud)- pagina 14

venerdì 24 agosto 2012

TRIESTE SCIPPA UDINE CON LA COMPLICITA' DI RENZO TONDO E NEL SILENZIO DELLA POLITICA FRIULANA !



TRIESTE SCIPPA UDINE
CON LA COMPLICITA’
DI RENZO TONDO
E NEL SILENZIO
DELLA POLITICA FRIULANA !

---------
8 AGOSTO 2008
Tondo cancella Innovaction:
«Costa cara, soldi buttati»


Si chiude Innovaction, la fiera internazionale dell’innovazione ideata dall’amministrazione Illy e giunta alla terza edizione. La cancellazione dell’evento che nel febbraio 2008 aveva registrato 45 mila presenze alla fiera di Udine è stato confermato ieri da Renzo Tondo (nella foto): «Costava 2,5 milioni – dice – che se utilizzati così sono sprecati. Per l’innovazione pensiamo a interventi diversi». Contro l'ipotesi si registra l'immediato appello del rettore Cristiana Compagno: «Udine non può perdere l’evento».

(…) E così si chiude il sipario su Innovaction dopo la terza edizione, che lo scorso febbraio registrò 45 mila presenze nell’area di 21 mila metri quadrati predisposta alla Fiera di Udine. E segnò un più 10% rispetto al 2007, con oltre 600 espositori italiani e stranieri e un calendario di 150 incontri, con 300 relatori da tutto il mondo e la presenza di grandi manager, imprenditori, progettisti e premi nobel. Cifre, secondo Tondo, comunque troppo basse per giustificare quell’esborso e per definire il Friuli Venezia Giulia regione all’avanguardia nelle politiche di sostegno all’high tech.

------------------

23 AGOSTO 2012

Trieste Next:

ricerca e imprese si incontrano


Salone europeo dell’Innovazione
e delle ricerche scientifiche


Diventare una “vetrina” nazionale ed europea dell’innovazione in tutti i settori e un luogo di sperimentazione e di incontro tra mondo della ricerca, imprese e cittadinanza. Nella convinzione che senza scienza e ricerca non esistono né crescita né sviluppo economico. È questo uno degli obiettivi principali di Truesre Next, Salone Europeo dell’Innovazione e della Ricerca Scientifica, la cui prima edizione si svolgerà dal 28 al 30 settembre 2012 nel capoluogo giuliano.

---------------

SERVONO COMMENTI?

LA REDAZIONE DEL BLOG

giovedì 23 agosto 2012

DOMENIE AI 26 DI AVOST- CONCIERT PAL TILIMENT



CAUSA PREVISIONI METEREOLOGICHE SFAVOREVOLI IL CONCERTO E' STATO RIMANDATO
AL 9 DI SETTEMBRE
------------

Domenie ai 26 di Avost di dôs dopomisdì (14.00) fin che al ven scûr a Pontaibe, dongje Cuel di Pinçan (PN), dulà che l’Arzin si bute tal Tiliment.


ARCA e ONDE FURLANE
a presentin la seconde edizion dal

Conciert
pal Tiliment

Une zornade di musiche ad ôr dal flum par celebrâ il Tiliment e par difindilu dal progjet de autostrade Cimpel-Glemone.

Il conciert si tignarà domenie ai 26 di Avost di dôs dopomisdì (14.00) fin che al ven scûr a Pontaibe, dongje Cuel di Pinçan (PN), dulà che l’Arzin si bute tal Tiliment.

Il conciert al è a gratis e al sarà presint il miôr de musiche furlane: Arbe Garbe, MiG-29 over Disneyland, Ulisse e i Ciclopi, Truc, Aldo Rossi, Matteo Segrado, Pantan, GBU-The Good, the Bad and the Ugly, Eleonora Cedaro, RuznoTone. Tra une sunade e chê altre si varan intervents di WWF, Legambiente, CAI e di diviers comitâts di difese dal teritori.

Cemût rivâ? Par cui che al rive bande Maian-Flavuigne, si à di zirâ a çampe dopo dal puint sul Arzin e lâ daûr des indicazions fin al puest dal conciert. Par cui che al rive di Pinçan, si va indevant bande Flavuigne e al dret de frazion di Cjampeis si cjatin lis indicazions pal conciert.

Par cui che al è interessât, a 10 di buinore, escursion cul WWF su la Mont di Ruvigne, di chê altre bande dal flum rispiet al puest dal conciert. Compagnâts di Roberto Pizzutti, president dal WWF dal Friûl - Vignesie Julie, si rivarà a di un pont panoramic di indulà che si gjolt di une viste magnifiche dal Tiliment, par capî cemût che al vignarès ruvinât de autostrade. Si cjatisi a 10 a S. Pieri di Ruvigne, tal splaç de crosere tra la provinciâl 5 e vie dal Puint. In alternative si pues lâ sù in machine e cjatâsi cul grup dai cjaminadôrs a 11 e mieze, cuntune curte salide fin al pont panoramic. Dopo si podarà tornâ jù tal puest dal conciert, dulà che si cjate di gustâ tor une (13.00).

Se il timp nol è biel controlait il sît www.comitato-arca.it







martedì 21 agosto 2012

PROVINCIIS: "NISSUN AL POL DECIDE DI NÔ SENSA DI NÔ"



“Nissun al pol decidi di nô
sensa di nô”
--------------
PROVINCE DA CANCELLARE?
SCELGANO I CITTADINI !

Da una intervista pubblicata sul quotidiano IL MESSAGGERO VENETO
Mercoledì 15 agosto 2012, a firma di Nicola Cossar

Petiziol: “Non si può decidere a Roma o a Trieste: si deve interprestare il sentimento che lega una comunità alla sua terra

(…) Decide la gente. Su un tema così importante come quelle delle Province, una riforma che ridisegna il sistema amministrativo, doveva e deve essere la gente a decidere, non una politica troppo spesso lontana.
È il messaggio forte che arriva dalle vecchie Province, dalla Festa dei popoli della Mitteleuropa, un incontro dal basso di popoli e culture che da quasi 40 anni sa superare con elegante naturalezza ogni ostacolo politico e linguistico. E quindi un osservatorio ideale per un giudizio sulla querelle Province.
Alla vigilia della kermesse goriziana, che si svolgerà sabato e domenica in castello, ne parliamo con Paolo Petiziol, padre e anima dell’Associazione culturale Mitteleuropa, organizzatrice della festa imperiale.
 Presidente, allora, siete pro o contro la cancellazione delle Province come le abbiamo conosciute fino a oggi?
«Su questo caldo tema che tocca le sensibilità storiche e culturali delle comunità etniche e linguistiche di questa regione non posso che ribadire la famosa frase pronunciato dal dottor Giuseppe Bugatto, deputato goriziano al Parlamento di Vienna, nel corso dell’ultima seduta del 28 ottobre 1918: “Nihil de nobis sine nobis”, ripetuta poi in friulano “Nissun al pol decidi di nô sensa di nô”.
Ovvero, cambiamenti così delicati non possono essere presi a tavolino a Roma o a Trieste, ma devono interpretare il sentimento che lega un popolo al suo territorio e che determina una comunità; nel rispetto della sua storia, cultura e identità linguistica. Non è solo un fatto di sensibilità politica, i confini tracciati a tavolino sono sempre stati forieri di sventura ed i politici dovrebbero esserne consapevoli». (…)


LEGGI TUTTO L’ARTICOLO

---------------------

venerdì 17 agosto 2012

DAL FRIULANO AGLI ENTI LOCALI: QUANTE IDEE BISLACCHE !



DAL FRIULANO
AGLI ENTI LOCALI:

QUANTE IDEE BISLACCHE

di
ROBERTO MEROI




Davvero sono momenti difficili per l'economia mondiale e di conseguenza a risentirne sono tutti, Italia compresa, Friuli compreso. Nel caos e nella fretta si stanno elaborando tagli alla spesa che talvolta rasentano l'assurdo.

Da Roma, solerti funzionari ministeriali comunicano di aver scoperto che si potrebbe far risparmiare l'Italia in un modo tutto particolare: scavalcando l'articolo 6 della Costituzione italiana e mettendo in pratica una discriminazione tra minoranze linguistiche storiche superata da decenni.

Con la trovata che sul territorio italiano vanno considerate lingue minoritarie (e non dialetti) solamente quelle "straniere", da Roma parte un sì al tedesco e allo sloveno e un bel no al friulano. Vaglielo a spiegare che la lingua friulana è sancita e tutelata per legge sia dallo Stato italiano che dalla Regione a statuto speciale Friuli - Venezia Giulia!

Tuttavia, anche qui da noi non mancano i brillanti pensatori. Sicché, da Trieste è partita l'idea del secolo: eliminare tutte quattro le attuali Province e i Comuni al di sotto dei 10-15 mila abitanti. 

La prima idea: una sparata populista (poco importa se le Province non si possono eliminare finché rimangono nella Costituzione italiana), ma anche tardiva in quanto partorita soltanto dopo aver saputo che il Governo Monti aveva decretato la soppressione della Provincia di Pordenone e di quella di Gorizia. Immantinente, viene decisa la costituzione di una Commissione speciale regionale con il compito di occuparsi della “ricognizione della normativa relativa agli enti provinciali”, e viene formata da un presidente pordenonese (Pedicini), dall'aquileiese Travanut, da un consigliere di Forgaria, da uno di Reana, e da cinque, dicasi cinque, consiglieri triestini. Da questi signori potrebbe, quindi, dipendere il destino delle tre Province friulane.

La seconda idea fa invece capire come, purtroppo, molti consiglieri e assessori che siedono in Regione siano tanto ma tanto... distratti. Qualora, infatti, si dovesse procedere alla cancellazione dei Comuni con una popolazione inferiore ai 10 mila abitanti, si salverebbero 2 su 6 in Provincia di Trieste, 3 su 25 in Provincia di Gorizia, 10 su 51 in Provincia di Pordenone, 8 su 136 (!) in Provincia di Udine. Se poi la mannaia taglia tutto della Regione dovesse far sparire anche i Comuni dai 10 ai 15 mila abitanti, ecco che, come per incanto, in tutto il Friuli-VG rimarrebbero in vita, oltre ai quattro capoluoghi, soltanto Monfalcone, Codroipo, e le "pordenonesi" Sacile, Cordenons, Azzano Decimo, Porcia e San Vito al Tagliamento. Undici città su duecentodiciotto!


Complimenti.

-----------


L’articolo a firma di Roberto Meroi è stato pubblicato in prima pagina (continua in penultima pagina) sul quotidiano IL GAZZETTINO di Udine, martedì il 7 agosto 2012.



mercoledì 15 agosto 2012

FRIULI - DECENTRAMENTO E' SINONIMO DI ACCENTRAMENTO? - Articolo a firma del Prof. Gianfranco D'Aronco



FRIULI
DECENTRAMENTO
E’ SINONIMO
DI ACCENTRAMENTO?



(…) Noi autonomisti abbiamo lavorato dal 1945 perché la Regione andasse al servizio degli antiautonomisti?
Perché decentramento volesse dire accentramento?
Altri tempi: Alcide De Gasperi a Udine, 1950: “Se l’Italia fosse tutta come il Friuli, potremmo camminare”.
Verrebbe da ridere, se non venisse da piangere.

Gianfranco D’Aronco

---------------
ATTENTI AL FRIULI
di
PROF. GIANFRANCO D’ARONCO

         Che a Roma non sappiano o non sapessero cos’è il Friuli, pazienza. Ma non lo sanno neanche, esattamente, molti friulani. Per cui occorre ogni tanto spiegarglielo.

Tanto per cominciare: “Siede la patria mia fra i monti, e ‘l mare”, scriveva Erasmo di Valvason nel 1591, “e ‘l Tagliamento l’interseca, et parte”, mentre lo “chiude Liquenza con perpetuo fonte”. Pacifico Valussi nel 1868 affermava che il Friuli, per 350 anni Stato autonomo con il Patriarcato, è nettamente a sé “con una sua geografia, una sua lingua, un suo costume, piccolo compendio nell’universo nieviano”: è “la Regione” per antonomasia, è “la Patria”.

Nel 1915 Bindo Chiurlo scriveva una frase magistrale, che occorrerebbe far mandare a memoria agli immemori: “Il Friuli è, ancora, una delle regioni meglio segnate della Penisola. Posto fra Italia e Slavia, fra Venezia e Germania, sulla via maestra delle incursioni barbariche, ebbe per lungo tempo una storia a sé, ha una lingua e una letteratura sue, e, con esse, una sua intima vita, diversa da quella delle genti che lo premettero e lo corsero per ogni lato, e contro le quali resistette, aperto a ogni influsso e pur tenace nella sua individualità; permeato da popoli diversi, e tuttavia così forte da respingerli o da fonderli in una gagliarda unità”.

Lo stesso anno Giuseppe Girardini affermava che il Friuli “costituisce una unità geografica ed etnica, con una propria lingua, una propria storia”. E nel primo dopoguerra: “Il Friuli non è soltanto una Provincia, fu uno Stato ed è una Regione”. Innegabile la unità storica, geografica, etnica.

Per passare ad altro testimone autorevole, ecco Arrigo Lorenzi il quale, nel discorso di apertura del XIII Congresso geografico nazionale italiano da lui presieduto, asseriva nel 1938 che il Friuli possiede “un’unità geografica bene determinata da caratteristiche fisiche e antropiche”. “Il territorio può essere a lungo politicamente diviso, non di meno il concetto dell’unità regionale non si smarrisce, perché nel popolo c’è la coscienza di quest’unità”. Poche righe: una specie di ABC per i renitenti.

Che i confini storici e naturali della nostra terra vadano dalla Livenza al Timavo è pacifico: così come a nord Sappada è Friuli. Pare che la burocrazia centrale (il più forte partito che esista oggi in Italia) voglia un po’ alla volta adattarsi ad aggiornare le sue scartoffie, prendendo atto dei risultati degli appositi referendum.

Dico anche per una parte almeno del Portogruarese, che Pordenone trascura, pur facendo parte di una stessa Diocesi (Sappada è da sempre in Diocesi di Udine).

Guardiamo ora al Friuli orientale, vale a dire al Goriziano, chiamato anche Isontino. Gorizia, anzi Santa Gorizia (in friulano Gurize, in sloveno Gorìca, in tedesco Görz), è rinata dalla distruzione dopo il 1918. La sua friulanità (le testate dei giornali del luogo recavano sempre la parola Friuli) fu subito rivendicata. “Al cjante in un sôl mût, di ca e di là dal Judri il rusignûl”, aveva scritto Pietro Zorutti. Significativo il fatto che nel 1919 proprio a Gorizia è nata la Società filologica friulana. Nell’arco di secoli, da Gian Giuseppe Bosizio a Carlo Favetti a Franco de Gironcoli, Gorizia è stata culla di poeti in friulano. Non è senza significato che si tiene in questi giorni nel capoluogo isontino un grande raduno dell’associazione Friuli nel mondo, presenti più di mille emigranti che non sono diventati apolidi e non dimenticano di essere figli o nipoti di friulani.

Ma a Trieste non spiacerebbe allargare la sua Provincia, fatta di ben sei Comuni (di cui quattro appollaiati sul Carso), incamerando Gorizia. Nel frattempo la città è tra color che son sospesi, con  politici reticenti finora all’invito di aderire alla Unione delle Province friulane.

         Dall’altra parte c’è Pordenone, che è cosa diversa dal Pordenonese o Destra Tagliamento, dove si parla in larga misura in friulano. L’aspirazione della città del Noncello a diventare Provincia è di lunga data. Ma la iniziativa è partita concretamente ai primi degli anni ’60, per opera delle sinistre. A Udine il partito di centro si oppose fermamente (protagonista l’allora presidente della Provincia), nel nome della unità del Friuli, sbagliando in pieno.  Bisognava “quieta non movere”.  Ma intanto prevalsero a Pordenone gli esponenti di quello stesso partito, e Udine arrivò in ritardo a collo torto, non senza lasciare un pesante strascico. Ci volle ancora qualche anno, e Pordenone ebbe quanto desiato, seguendo un iter sostenuto dal buon senso di Tiziano Tessitori: prima la Regione (1964) e poi la Provincia (1968). Non era più tempo di polemiche, e ci si mise a ricucire lo strappo. La friulanità non era in discussione, come testimoniò l’allora sindaco Giacomo Ros. “La  Provincia di Pordenone non è nata come elemento di rottura dell’unità friulana, che è comunanza di vicende storiche insieme sofferte, di tradizioni, di aspirazioni, di interessi, ma, nel quadro di questa intatta e permanente unità friulana, ma come elemento di equilibrio territoriale”.

         Non pare che questi concetti siano stai fatti propri da tutti i successivi politici del luogo. Tra gli ultimi un sindaco, che ha fatto annullare una delibera a suo tempo assunta dal suo Consiglio, in favore della lingua friulana (nella quale lingua Pasolini aveva scritto indarno le “Poesie a Casarsa”). E un presidente di Provincia che, novello Napoleone sul ponte di Arcole (non Arcore), piuttosto che perdere l’ente per la riforma montiana, così duramente conquistato, dichiarava: “Non staremo mai sotto Udine“. “Siamo pronti ad andare sul ponte del Tagliamento per difendere la nostra Provincia”.

         Ma abbiamo soprattutto un presidente della Regione speciale (che a suo tempo aveva dichiarato di non credere all’autonomismo), il quale, di fronte alla prospettiva del governo di cancellare le piccole province – virtuose o indebitate alla pari -, non reagisce con un doveroso “Giù le mani dalla Regione” (che in materia di enti locali ha facoltà legislativa primaria), ma addirittura afferma che tanto vale eliminarle tutte.

Meno male che “per quelle speciali”, come ha sottolineato una notevole firma su un importante quotidiano, “lo Stato centrale nulla può, tranne un atto di indirizzo”. E’ sopravvenuto poi un emendamento: saranno le stesse regioni normali a decidere come accorpare o eliminare.

Senonché – avvisa il governatore che sappiamo – una Provincia friulana e una Trieste metropolitana (esattamente quello che indicano e la buona politica e il senso comune) vorrebbe dire spaccare la Regione. Laonde per cui, conclude,  meglio nessuna Provincia. Così tutto andrebbe in capo a Trieste, come volevasi dimostrare da chi si affanna  a eliminare o ad accorpare Ater, Erdisu, Consorzi di bonifica, Agenzie del lavoro, Camere di Commercio, ospedali minori eccetera, concentrando tutto o quasi in un’unica felice città, con di più fuori mano.

Noi autonomisti abbiamo lavorato dal 1945 perché la Regione andasse al servizio degli antiautonomisti? Perché decentramento volesse dire accentramento? Altri tempi: Alcide De Gasperi a Udine, 1950: “Se l’Italia fosse tutta come il Friuli, potremmo camminare”.  Verrebbe da ridere, se non venisse da piangere.


Gianfranco D’Aronco

PRESIDENTE

COMITATO PER L’AUTONOMIA
E IL RILANCIO DEL FRIULI


---------------

L’articolo è stato pubblicato sul quotidiano IL MESSAGGERO VENETO (Ud) il 5 agosto 2012