domenica 26 agosto 2012

COSA MANCA AI FRIULANISTI - di Gianfranco D'ARONCO



COSA MANCA AI FRIULANISTI
di
Prof. Gianfranco D’Aronco

(…) Qualche speranza? Si salverà il Friuli? Certo: in primo luogo con la lingua, che (lo ha detto non ricordo più chi) è la carta d’identità di un popolo. Si aggiungano la  storia, la geografia, la tradizione. Ma è ora che al nostro pubblico, specie se giovane, i friulanisti offrano proposte concrete, ponendole alla base di ogni rivendicazione da parte di gruppi variopinti che – in luogo di ignorarsi o di ritenersi ciascuno di essi il primo – si uniscano in unico gruppo, che si presenti alle elezioni del 2013.
(…) A cominciare da una riforma (province sì, province no), che sancisca istituzionalmente e finalmente la duplice composizione della nostra Regione, se non sbagliamo fatta di Friuli e di Trieste, e che tagli le gambe a un sempre crescente centralismo, che vede una conquistata autonomia particolare  soffocata e derisa. Seguono tutti i problemi particolari, tra cui emerge quello delle infrastrutture, da realizzare non per i comodi delle varie aziende la cui ragion d’essere è (beate loro) quella di aumentare i profitti (“Fate questo, o dobbiamo licenziare o dislocare”), ma nell’interesse della collettività e nel rispetto della natura. (…)
Un programma serio per il Friuli non c’è proprio nessuno che lo stenda? Ma un programma che ci porti a ottenere quel che ci spetta, smettendo di piatire e piuttosto battendo i pugni: come fanno altri nell’unico linguaggio che Roma intenda.(…)
Un programma contro quello che è stato chiamato da Giovanni Sartori “il vangelo della globalizzazione”. A cominciare proprio dalla difesa della lingua soprattutto nella scuola  - garantita non da governanti più o meno precari, ma da leggi europee, nazionali e regionali –, difesa  rimandata invece con orgogliosa  sicurezza  da un anno all’altro.
Gianfranco D’Aronco


LEGGI TUTTO L’ARTICOLO

Cosa manca ai friulanisti
           
“Vi farei volentieri la polenta”, diceva una brava donna ai suoi, “ma non ho farina”. Cosa manca ai friulanisti, per concorrere a cambiare questa Regione, fatta (senza offendere) sommando mele con patate? Diciamolo schietto: mancano i friulani, come a dire che i friulani sono mancanti. Sono mancanti, nella gran parte, nonostante i ripetuti, innumerevoli richiami loro rivolti, dal dopoguerra in qua, da intellettuali e politici, la cui bandiera recava scritto: “Regione friulana”.
         Non sono mancati invece, da allora, i leader di vario peso. Ma due soli emergono: Tiziano Tessitori (1945: Associazione per l’autonomia friulana; 1947: Movimento popolare friulano) e Fausto Schiavi (1967: Movimento Friuli). Ad essi aggiungiamo ora a pieno titolo Arnaldo Baracetti  (2005: Comitato per l’autonomia e il rilancio del Friuli). Erano uomini di pensiero e di azione, come dev’essere appunto ogni leader: sapevano farsi sentire, nei comizi e nelle aule, e sapevano scrivere. Finché furono presenti loro, la voce degli autonomisti era forte: non abbastanza però da portare dalla loro il  Parlamento o il Consiglio regionale, dove spesso la maggioranza vince a forza di “sì, ma…”. Su una richiesta o un’altra fummo rimandati a settembre, e lo siamo anche oggi di buona regola.
         Mancano (ahimè) i friulani. Si sa: le riforme e i risorgimenti sono promossi da pochi iniziatori; altri si aggiungono via via, e la gente alla fine li segue dove la porta il vento. Sennonché  noi friulani (“lenti ma pensosi”) siamo duri a muoverci. Il nostro DNA (alla base c’è il complesso d’inferiorità) è stato alla fine analizzato da Giovanni Pessina e, dopo di lui, da Franco Fabbro: neurologi meritatamente apprezzati.
         Noi non abbiamo, è vero, nessun Cola di Rienzo e nessun Masaniello, e meno male. Ma non si vede in giro oggi, forse per miopia nostra, alcun personaggio che emerga dall’acqua cheta che ci circonda. Coloro che possiedono delle doti si dividono in due gruppi: quelli che si sono fatti assumere dai partiti, e quelli che rifuggono da ogni contaminazione con la politica intesa come professione. “Oggi”, mi diceva un autorevole amico, ritiratosi anzitempo dalla lotta politica, “è una fortuna essere al di fuori dei partiti”. Si salvi chi può. C’è chi si ritira per amore, chi per forza: peccato. Un tempo c’era qualche ideale che muoveva gli uomini e di sinistra e di centro e di destra, cattolici e laici. Oggi, caduti i muri, non ci sono nemici da combattere, ma piuttosto interessi comuni di vario nome e in genere di buona sostanza. Ormai i media si dividono gli spazi a metà, tra leader e lader (in dialetto meneghino). Senza accorgerci, stiamo diventando tutti materialisti. Si è trascinati a esaltare il progresso, non la civiltà.
         Qualche speranza? Si salverà il Friuli? Certo: in primo luogo con la lingua, che (lo ha detto non ricordo più chi) è la carta d’identità di un popolo. Si aggiungano la  storia, la geografia, la tradizione. Ma è ora che al nostro pubblico, specie se giovane, i friulanisti offrano proposte concrete, ponendole alla base di ogni rivendicazione da parte di gruppi variopinti che – in luogo di ignorarsi o di ritenersi ciascuno di essi il primo – si uniscano in unico gruppo, che si presenti alle elezioni del 2013. Dico di proposte innovative su vari oggetti. A cominciare da una riforma (province sì, province no), che sancisca istituzionalmente e finalmente la duplice composizione della nostra Regione, se non sbagliamo fatta di Friuli e di Trieste, e che tagli le gambe a un sempre crescente centralismo, che vede una conquistata autonomia particolare  soffocata e derisa. Seguono tutti i problemi particolari, tra cui emerge quello delle infrastrutture, da realizzare non per i comodi delle varie aziende la cui ragion d’essere è (beate loro) quella di aumentare i profitti (“Fate questo, o dobbiamo licenziare o dislocare”), ma nell’interesse della collettività e nel rispetto della natura. Ha scritto Carlo Sgorlon: “Scienza e tecnologia possono servire a rimediare ai guasti operati dall’uomo”; ma se non viviamo in armonia con la natura, “il tratto di storia che ci rimane non potrà essere se non quello che ci conduce all’autodistruzione”.
Un programma serio per il Friuli non c’è proprio nessuno che lo stenda? Ma un programma che ci porti a ottenere quel che ci spetta, smettendo di piatire e piuttosto battendo i pugni: come fanno altri nell’unico linguaggio che Roma intenda. Chi sa che i furlani non si sveglino dal torpore ereditario in cui sono immersi (salvo dare il voto a questo o a quel partito, così per forza d’inerzia). Un programma contro quello che è stato chiamato da Giovanni Sartori “il vangelo della globalizzazione”. A cominciare proprio dalla difesa della lingua soprattutto nella scuola  - garantita non da governanti più o meno precari, ma da leggi europee, nazionali e regionali –, difesa  rimandata invece con orgogliosa  sicurezza  da un anno all’altro. Altrimenti il Friuli finirà come la Provenza. Mi scriveva da Tarascona cinquant’anni fa Claude Liprandi che il loro “felibrismo”, erede di Mistral e di Aubanel, è ridotto a organizzare qualche banchetto e qualche gara poetica,mentre si perpetuano diatribe per le varie grafie. Così non sia di noi.
Gianfranco D’Aronco

----------------------------------

L’articolo è stato pubblicato venerdì 24 agosto 2012 sul quotidiano "IL MESSAGGERO VENETO" (Ud)- pagina 14

1 commento:

  1. Il Prof. Gianfranco D'Aronco è il Presidente del "Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli".

    RispondiElimina