giovedì 29 settembre 2016

REFERENDUM COSTITUZIONALE: LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE


 
REFERENDUM COSTITUZIONALE:
 
LA MADRE
DI TUTTE LE BATTAGLIE



COMUNICATO STAMPA

20.9.2016


Comitato per l'autonomia
e il rilancio del Friuli
 
 La Corte Costituzionale rinvia la discussione sull'Italicum, il tribunale di Trieste non emette la sentenza dopo otto (8) mesi dall'udienza per la denuncia di discriminazione della minoranza friulana nella stessa legge, tutti in attesa dell'esito del referendum, quando si farà, sulla riforma costituzionale. Evidentemente aveva ragione chi diceva che non si fa politica con le aule di tribunale. Evidentemente non si può pensare di risolvere le palesi ingiustizie delle leggi andando in tribunale: al potere politico si deve rispondere con le stesse armi e cioè col voto!
 
Per questo il voto referendario diventa fondamentale perché un eventuale SI:
  • permetterebbe di sostenere la legittimità dell'Italicum. In tal modo - solo per evidenziare i risvolti locali che tale legge comporterebbe - i friulani della Bassa e del Goriziano voteranno per un candidato triestino e il voto di tutti i friulani varrà la metà di quello dei sudtirolesi e un quarto di quello dei valdostani

  • confermerebbe il diritto della politica a fare lo scempio del Friuli spezzettato in 17 UTI e senza più un riferimento amministrativo unitario o, se vogliamo, trinitario, come era prima con le tre provincie

  • metterebbe in discussione anche le competenze della nostra Regione

  • radicherebbe l'idea di subalternità del sistema giudiziario a quello politico.
Se è vero che la riforma costituzionale deriva dalla presa d'atto che il sistema-paese sta cambiando, che servono regole coerenti e che, in buona parte le leggi regionali e nazionali hanno anticipato la riforma, è altrettanto vero che tutto ciò non ha portato a una ripresa dell'economia o a una più equa ridistribuzione delle risorse. E questo è tanto più vero per il Friuli.
 
Per questo il referendum sarà dirimente e - al di là dei dettagli della riforma, ampiamente opinabili, mal scritti e incoerenti - solo con un NO possiamo pensare di invertire una rotta pericolosa per il Friuli, per la sua storia, per il suo futuro.
 
Il presidente del Comitato
dott. Paolo Fontanelli
 

sabato 24 settembre 2016

GLI INTRAMONTABILI "MITI TRIESTINI"!

 

GLI INTRAMONTABILI
 
"MITI" TRIESTINI!
 
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1) Trieste, città polo di attrazione per una vasta area centro europea.
 
E' un mito duro a morire e che viene continuamente riproposto come un mantra dalla politica triestina.

Mito che è stato fatto proprio anche dalla gran parte della "inadeguata" classe politica friulana.
 
In realtà questo mito è ormai da anni privo di interlocutori perché nessuno degli Stati dell'area centro europea guarda più a Trieste. Non la confinante Slovenia che, al netto delle ovvie dichiarazioni di circostanza o diplomatiche,  considera il porto di Trieste esclusivamente un concorrente del porto di Capodistria e dunque un "avversario" sul piano dello sviluppo portuale sloveno. Non la Croazia. E meno che mai gli altri Stati dell'area centro europea. E' dunque  solo un  falso mito  lontanissimo dalla realtà. 
 
E non esiste neppure uno Stato italiano "matrigna", come con insistenza ripetono continuamente gli indipendentisti triestini.
Esiste solo una Prima guerra mondiale che ha visto l'Impero asburgico sconfitto e con i confini di moltissimo ridimensionati: gli Asburgo hanno perso la Prima Guerra mondiale e Trieste ne è uscita totalmente ridimensionata nel ruolo. 

Perché l'Italia e il Friuli dovrebbero ancor oggi  "risarcire" Trieste di questa perdita di ruolo legata  agli eventi della Prima guerra mondiale? Con la sconfitta nella Seconda guerra mondiale l'Italia è "rientrata" nei confini precedenti al 1918 (salvo restare italiane Trieste e l'attuale Provincia di Gorizia, in precedenza austriache per molti secoli).

Tra "Fondo per Trieste" e altri principeschi finanziamenti pubblici a fondo perduto versati a pieni mani alla piccola Trieste (200 mila abitanti ne fanno una media città...) dal 1918 ad oggi, il "debito" (ammesso che esista realmente questo credito di Trieste!) è già stato ampiamente pagato dallo Stato italiano. Rimane l'abitudine triestina all'assistenzialismo pubblico senza limite...

Rileggi anche:

 https://comitat-friul.blogspot.it/2014/12/trieste-la-grande-ammalata-di.html

Con la fine dell'Impero asburgico la città di Trieste è diventata una città come tante altre e non ha più alcuna funzione di "polo": bene farebbero Trieste e la politica regionale a prenderne atto senza continuare sempre a riproporre questo slogan ormai consunto e usurato.

 
2) IL DIRITTO DI TRIESTE a finanziamenti statali e regionali a piè di lista per ogni "desiderata triestina".

Un assistenzialismo  a favore della città alabardata che drena la maggior parte del bilancio regionale ed è percepito a Trieste come "un diritto divino" legato alla "ideologia triestina di supremazia sul Friuli"; "diritto divino" che va a discapito del resto del territorio regionale (il 95% della regione!) che per altro produce la gran parte del PIL locale.

 Uno squilibrio a cui la politica regionale si guarda bene dal porre rimedio e la inadeguata classe politica friulana non denuncia.
 
Da "Ripensare la nazione" - edizione (privata non in vendita) marzo 2014 - di Giorgio Cavallo - pag. 279 - "La questione di Trieste":

"(...) E' anche finito il tempo di uno Stato  che, in nome di una fede patriottica infinita, può pagare a piè di lista tutte le necessita di assistenza. Si ricordi che il Fondo per Trieste in poco meno di sessanta anni ha fornito la città con una cifra vicina a quella sostenuta per la ricostruzione del Friuli dopo il terremoto del 1976.

Si voglia o no, oggi Trieste è una città regionale dove vive meno del 20% della popolazione regionale e che fa parte, senza nessuna prevalenza gerarchica, di una rete regionale di sistemi urbani assieme a Udine, Pordenone, Monfalcone. (...).

Forse  alla fine della seconda guerra mondiale la creazione di una area franca tra mondo occidentale e mondo comunista, punto di riferimento di tutte le possibili operazioni e scambi puliti e "sporchi" di una vasta zona centro europea ed adriatica, poteva starci. Per la verità centro di riferimento di queste attività è poi diventata l'Austria. Oggi, all'interno della Unione Europea, peraltro in fase di espansione balcanica, dove i sistemi infrastrutturali si sono ormai consolidati sulle prospettive definite dai diversi Stati e dove le aree di riciclaggio e massimizzazione dei guadagni dei sistemi finanziari e imprenditoriali sono già ampiamente diffuse e per di più sotto costante accusa, mi pare sia ben difficile trovare sponsor esterni ad ambienti triestini che possano sposare questa ipotesi. Così come tutte le artificiose proposte di allargamento di zone franche portuali all'intera città, oltre a fantasie analoghe.

Trieste, rifiutando il trattato di Osimo, ha di fatto chiuso questa partita, e perlomeno ha salvato il Carso da una devastazione delle ricchezze naturali. (...)"

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LA REDAZIONE DEL BLOG  
 
 

mercoledì 21 settembre 2016

TERREMOTO - AMATRICE, NON SARA' "MODELLO FRIULI"


TERREMOTO
 
AMATRICE, NON SARA'
"MODELLO FRIULI"

di
 
 Roberto Dominici


Mentre ricordiamo il 40° anniversario del terremoto del 1976, ecco che un altro disastroso sisma scuote alcune località dell'Italia centrale seminando lutti e rovine. I friulani, memori e grati della tanta solidarietà ricevuta, hanno il dovere morale di esprimere concretamente e significativamente la propria solidarietà e vicinanza alle popolazioni colpite, ora impegnate nel difficile cammino della emergenza e poi della ricostruzione. Ed io sono certo che la nostra solidarietà ci sarà.

L'emergenza, carica di problemi di ogni tipo a cominciare da quelli umani per quanti hanno perso persone care e, non solo per loro, è nella fase acuta per altro ben curata dalla Protezione Civile che, nata con l'esperienza Friuli, è, si può be dire, il fiore all'occhiello del nostro Paese.

Adesso c'è una urgenza da affrontare: bisogna dare un tetto “provvisorio” a quanti ne hanno la necessità causa sisma. L'inverno si sta avvicinando e con esso il freddo. Andando indietro nei ricordi quando da noi taluno con troppa disinvoltura e con poco realismo diceva di passare dalle “tende alle case” come se rendere agibili le case fosse questione di tempi immediati, il Sindaco di Moggio Udinese Carletto Treu, per citarne uno, affermava invece che non era “eludibile” la fase delle baracche. Fu così che si allestirono ben 350 villaggi, appositamente urbanizzati, e si installarono oltre 20.000 prefabbricati che hanno ospitato 75000 persone, ponendo fine all'esodo invernale 1976/1977 di ben 40.000 persone lungo il litorale adriatico. I numeri delle nuove località colpite sono per fortuna assai più contenuti il che dovrebbe rendere più agevole la soluzione del problema. Ci sono diverse altre questioni da risolvere: sgombero macerie, accertamenti tecnici di staticità degli edifici e loro messa in sicurezza pre-recupero, analisi geologiche, dotazione di strutture, pure provvisorie, per i servizi essenziali di comunità (Municipio, Scuole, Chiese, ecc), e così via. E poi c'è la ricostruzione che richiede un progetto organico su indirizzi chiari, meditati e condivisi per un'opera che non sarà breve.

Resto ancora convinto che emergenza e ricostruzione, seppur collegate, devono essere distinte per tipologia di problematiche ed anche, anzi soprattutto, perché la ricostruzione riguarda l'assetto futuro di una comunità ragion per cui deve essere la gente interessata, con i propri rappresentanti nelle istituzioni ad occuparsene o quanto meno ad avere voce decisionale in merito.

Conosciamo le scelte di fondo che costituiscono il Modello Friuli e sappiamo bene che esse sono il frutto della delega a ricostruire affidata alla Regione ed alle autonomie locali.

Sappiamo che da noi la ricostruzione è dovuta alla messa in comune di tutte, nessuna esclusa, le energie disponibili.

Laggiù, nelle zone colpite, come sarà?

Si è sentito più volte invocare il Modello Friuli specie per uno degli elementi che lo caratterizzano:“ricostruire i paesi dove erano e come erano”, dimostrando così, nel rifiuto alle New Town, l'attaccamento alla propria terra. Se sarà così, ed io me lo auguro, è una scelta positiva.

Con riguardo alla nostra esperienza è bene ribadire che anche qui all'epoca si respinse l'idea della “Grande Udine” e della “Grande Pordenone” che, se attuata, avrebbe snaturato il Friuli. È pure bene ribadire che il senso di comunità è un valore importante da coltivare sempre e che il terremoto non distrugge, anzi rivitalizza, i valori consolidati di una comunità che diventano ancoraggio in momenti di gravità. È importante, a tal fine, riparare edifici il più possibile, ovviamente per quanto possibile ed in sicurezza, e non come pure si è sentito, procedere alla demolizione di tutto per passare, seppure in loco, a nuova totale ricostruzione. Oggi la tecnica consente recuperi anche difficili.

Ma a chi sarà affidata la ricostruzione delle zone colpite: alle autonomie locali come per il Friuli?
 
Questo è il punto “centrale” della questione. 
 
È l'elemento cardine del Modello Friuli.

Una tale scelta implica almeno tre precondizioni: lo Stato disposto a delegare l'opera, le istituzioni locali disposte ad assumersi in toto le responsabilità conseguenti che sono tante e gravose, la gente terremotata disposta a darsi da fare con l'aiuto ed il sostegno, ben si intende, del potere pubblico. Francamente non so se la risposta a queste precondizioni sarà idonea a far scattare la delega. Temo che questa non ci sarà e quindi, alla fin fine, del Modello Friuli non sarà applicata la parte più sostanziale; ad esso, forse, si farà riferimento per qualche spunto particolare.

Il mio timore nasce anche dalla nomina, da parte del Governo, di un Commissario. Anche noi abbiamo avuto un Commissario, un grande Commissario, che risponde al nome dell'on. Zamberletti; ma per l'emergenza, non per la ricostruzione come sembra sia nel caso attuale. È tutt'altra cosa. Se l'attività ricostruttiva farà capo al Commissario, la gente e le istituzioni locali saranno sentite, guai se non lo fossero, ma la potestà decisionale non sarà loro, con tutta una serie di conseguenze anche operative. Eppoi si sa che la partecipazione stimola la trasparenza.

Nel dibattito pubblico in essere si registra un coro di interventi pro messa in sicurezza degli edifici con opere di consolidamento statico. Ne parlano tutti come si trattasse di una nuova scoperta. Noi friulani nella riparazione di case terremotate (Legge 30/1977) abbiamo realizzato, prima di tutto dette opere (opere a) e poi le altre; abbiamo pure sperimentato, su mandato del legislatore nazionale, interventi di consolidamento statico in zona sismica in abbinamento ad opere di manutenzione straordinaria (L.R. 30/1988). È fuori dubbio che anche quanto si andrà a ricostruire od a riparare nei centri colpiti dovrà essere fatto previa messa in sicurezza degli immobili.

Ma il problema è ben più vasto. Larga parte del territorio italiano è a rischio sismico e quasi ovunque abbiamo edifici vetusti che necessitano di opere statiche. La scelta politica è tra lasciare le cose come sono in precarietà salvo intervenire dopo eventuali (ma neppure tanto) sismi oppure dar corpo ad una azione preventiva. La risposta del buon senso è evidente: intervenire per quanto possibile prima.

Ecco allora la nostra antica sollecitazione: lo Stato predisponga un progetto organico di interventi scansionato in 30/50 anni con procedure speciali, con sostegni contributivi e fiscali. Sarebbe anche un ottimo volano per l'economia che langue. Ed allora chi ha voce a Roma si assuma anche questo impegno.



Roberto Dominici

già Assessore Regionale
alla Ricostruzione
 
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Il documento a firma di Roberto Dominici - che la redazione del Blog ringrazia per averle concesso la pubblicazione della sua precisa e puntuale analisi - è stato pubblicato il 14 settembre 2016 sul settimanale della Arcidiocesi di Udine, LA VITA CATTOLICA, rubrica "Giornale aperto", pagina 21.
  

domenica 18 settembre 2016

LE LEGGE ELETTORALE "ITALICUM" ELIMINA IL VOTO PERSONALE E DIRETTO!!

 
 
LEGGE ELETTORALE "ITALICUM"

ELIMINA

IL VOTO PERSONALE E DIRETTO!
 
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Dal Blog
 
dell'On. Felice Besostri
 


 
 

Lunedì 12 settembre gli avvocati Felice Besostri, coordinatore nazionale dei legali anti-Italicum, e il suo collega Angelo Iannoccone hanno depositato in Corte Costituzionale una memoria a sostegno dell’ordinanza del tribunale di Torino contro la nuova legge elettorale, che sarà discussa dai giudici della Consulta il 4 ottobre.
 
Molte le istanze contenute nella memoria, dove viene sottolineato il “legame perverso” tra legge elettorale e revisione costituzionale, si stigmatizza il rafforzamento dei  poteri del premier a discapito di quelli del Parlamento e del presidente della Repubblica; si mettono in rilievo i meccanismi giudicati incostituzionali del premio di maggioranza, che così com’è costituisce “un’insanabile contraddizione costituzionale”. Tra le altre richieste, nella memoria si fa istanza affinché la Corte allarghi il proprio esame anche ad altre questioni non esplicitamente sollevate dal tribunale di Torino, ma che possono essere con queste connesse. Una richiesta che punta quindi a far sì che la Corte ampli il proprio raggio d’azione e di verifica.

L’iniziativa è stata presentata in una conferenza stampa con lo stesso Besostri e con il costituzionalista Massimo Villone, presidente del Comitato anti-Italicum.
 
Una legge giudicata incostituzionale nel merito ma anche nel metodo. “In commissione Affari costituzionali al Senato – ha detto Besostri – non c’è  stata la fase referente prima dell’Aula. E alla Camera la legge elettorale è passata con il voto di fiducia: un fatto che ha solo due precedenti, nel 1923 con la legge Acerbo e nel 1953 con la cosiddetta legge truffa.
 
L’esito, secondo Besostri, è che “abbiamo una legge molto simile al Porcellum, ma un po’ più furba e un po’ più ipocrita”: con il meccanismo del ballottaggio attribuisce “un premio inversamente proporzionale al consenso elettorale ottenuto”; elimina il “voto personale e diretto”; “rafforza i poteri del premier e diminuisce quelli del Parlamento e del presidente della Repubblica”; crea tre tipi di cittadini: “quelli A di Val d’Aosta e Trentino che scelgono i loro rappresentanti al primo turno, quelli B cioè tutti gli italiani, quelli C, cioè quelli della circoscrizione estero che non partecipano più al ballottaggio”.

Il nesso tra Italicum e riforma costituzionale secondo noi è centrale – ha aggiunto Villone – e il dibattito in corso lo dimostra”, ma “non prendiamo parte ad alcuna guerra, termine che è stato utilizzato in questi giorni, non ci interessa la sorte del governo”.
 
Quello che si vuole sottolineare ancora una volta è la “continuità indiscutibile tra Italicum e Porcellum. Sarebbe grave se la Consulta si sottraesse ad una pronuncia coerente con la sentenza del 2014” (quella che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum). “Sappiamo che ci sono sussurri, rumors – ha aggiunto Villone – secondo cui la Corte vorrebbe sottrarsi al giudizio con una pronuncia di inammissibilità: a noi non sembra possibile, siamo fiduciosi che ci sarà una pronuncia in linea con la decisione sul Porcellum”.
 
Quanto al dibattito politico in corso, Villone ha voluto ribadire che in campo ci sono “due modelli alternativi e contrapposti: uno che accentra il potere nelle mani dell’esecutivo; l’altro che valorizza la rappresentanza democratica, la partecipazione e il diritto di voto. Piccole limature o modifiche all’italicum non sono certo un motivo sufficiente per cambiare posizione e per dire sì alla riforma costituzionale”.

Le ordinanze giunte alla Corte dal tribunale di Torino e anche da quello di Messina non esauriscono comunque tutte le questioni di costituzionalità sollevate dagli avvocati anti-Italicum (quasi un centinaio in tutta Italia). Da qui la richiesta che la Corte allarghi l’esame. Una possibilità, visto che la Corte può esaminare alcune norme strettamente connesse con quelle oggetto delle ordinanze: “La legge elettorale, infatti, diversamente dalle altre leggi è un tessuto interconnesso – ha spiegato Villone – Toccare un singolo tassello può comportare contraddizioni nella legge in via consequenziale”.

Ma il 4 ottobre c’è la possibilità di un rinvio visto che è in corso un dibattito politico sulle modifiche all’Italicum?
 
“Un rinvio – ha detto Besostri rispondendo ai giornalisti – sarebbe molto difficile: la motivazione non potrebbe non essere politica”, tanto più che la politica discute di nulla visto che non c’è un testo base sul quale fare delle valutazioni”. Se la Corte costituzionale decidesse un rinvio con questa motivazione “dovremmo preoccuparci per la salute della Repubblica” chiosa Villone, che comunque non crede a questa possibilità: la Consulta deve pur sempre “mantenere una propria immagine di dignità e onorabilità”.

I ricorsi presentati contro l’Italicum sono 23, in altrettanti Tribunali civili delle città capoluogo di distretto. Tre giudici hanno rimesso l’Italicum alla Consulta (Messina il 17 febbraio, Torino il 5 luglio e Perugia il 9 settembre). Tre giudici hanno respinto i ricorsi, due hanno rinviato a dopo il 4 ottobre; di altri 13 non si ha notizia.
 
Fonte: Coordinamentodemocraziacostituzionale

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mercoledì 14 settembre 2016

TERREMOTO - IL "MODELLO FRIULI" DI RICOSTRUZIONE: COSA E' STATO E COSA PUO' ESSERE



TERREMOTO



Il “Modello Friuli” di ricostruzione:

cosa è stato e cosa può essere

di

Prof. Sandro Fabbro

(Università di Udine)



In questi giorni, a seguito del terremoto che ha colpito il centro Italia, si è spesso fatto riferimento al Modello Friuli (MF) della ricostruzione post-terremoto del 1976, come esempio positivo da seguire. L’intensità dei richiami alla positività del MF, operata dalla stampa e dai mezzi di comunicazione, inorgoglisce i friulani e fa certamente ritenere che il MF non sia ancora dimenticato e che possa rappresentare un punto fermo di ineguagliabile valore ed efficacia. Vedremo nelle prossime settimane e mesi se è solo ordinaria retorica post-disastro o se da qui può nascere una nuova consapevolezza. Ma, attenzione alle contraffazioni o alle facili rimozioni tipiche di un’epoca dove dominano retorica e demagogia!

Il 4 maggio 2016 chi scrive ha coordinato, all’Università di Udine, un seminario sul MF invitando a parteciparvi, con proprie testimonianze, alcuni dei più autorevoli tecnici che hanno lavorato alla ricostruzione del Friuli e in particolare: l’ing. Diego Carpenedo, già membro del “Gruppo Interdisciplinare Centrale (GIC) della Segreteria Generale Straordinaria per la Ricostruzione del Friuli” della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia; l’arch. Luciano Di Sopra, incaricato, dalla Regione FVG, della stima dei danni del sisma, consulente di livello internazionale su terremoti e ricostruzioni ed anche teorico del MF; l’arch. Giovanni Pietro Nimis, anche lui membro del GIC e incaricato, come libero professionista, di piani urbanistici di ricostruzione ad Artegna, Gemona del Friuli e Venzone; l’arch. Roberto Pirzio Biroli, incaricato, come libero professionista, della ricostruzione di edifici pubblici e privati e di borghi storici; l’arch. Enzo Spagna, già direttore regionale della Direzione della Pianificazione Territoriale della Regione FVG. Luciano Di Sopra, per problemi di salute purtroppo non riuscì ad essere presente. Poche settimane dopo è poi tristemente mancato privandoci, oltre che della sua lucida e fondamentale testimonianza, anche della possibilità di avere in futuro il suo vigile controllo di qualità sul “marchio” MF.

Il seminario si proponeva di rispondere alla domanda perché tale modello, nonostante la sua eccezionale positività, costituisca ancora un caso unico e non sia ancora stato formalmente assunto a modello di riferimento replicabile (pur con i dovuti adattamenti) alle ricostruzioni post-catastrofe. Nel seminario, è emerso chiaramente che il MF è definibile, prima di tutto, come la combinazione virtuosa di tre essenziali elementi: 1. La implementazione di nuove tecniche per la riparazione antisismica di edifici in muratura; 2. un principio endogeno di ordinamento spaziale della ricostruzione degli insediamenti (il famoso “dov’era e com’era”) reso possibile anche da quelle tecniche; 3. un modello di regolazione delle relazioni (finanziarie, legislative, amministrative) -tra stato, regione ed enti locali-, fortemente decentrato verso il basso e, per certi aspetti, anche rovesciato (dal basso verso l’alto). E’ emerso inoltre che, come processo nel suo insieme, il MF è soprattutto l’esito, non intenzionale, di complesse interazioni -in primis culturali e sociali ma poi necessariamente anche tecniche e politico-amministrative- che si sono generate nel corso dell’azione senza alcun demiurgo al centro ed a monte del processo stesso (non è questa anche l’essenza della democrazia?).

Lo stesso commissario straordinario Zamberletti si è sempre ritagliato un ruolo sussidiario e di grande collaborazione con regione ed enti locali. In termini più sintetici si può dire che il MF si è basato sulla riaffermazione di un ordine spaziale storico, di un metodo di decisione fortemente democratico e decentrato e su tre fasi inevitabili: l’emergenza, gli insediamenti provvisori, gli insediamenti definitivi. Ma il MF ha funzionato perché il potere sul territorio è stato inteso come un potere condiviso dal basso verso l’alto o, diremmo oggi, di “sussidiarietà verticale e orizzontale”. Questo è, in ultimissima analisi, l’etica del MF ed il vero messaggio non solo alle ricostruzioni post-disastro (che, ci auguriamo, siano sempre meno disastrose) ma anche alla attualità del “governo del territorio” e, forse, del “governo” tout court.

Ci si deve domandare, allora, perché, nonostante il suo indubbio successo, il MF sia stato copiato solo per gli aspetti tecnico-costruttivi (diventando norma) e per la fase dell’emergenza (con la “protezione civile”) e non sia mai diventato un modello per le ricostruzioni. La risposta è forse che il MF è difficilmente compatibile non solo con gli ordinamenti spaziali centro-periferia troppo spinti ma anche con ordinamenti politici demagogici o centralistici. Per questo non ha funzionato in Irpinia, dopo il terremoto del 1980, e neppure, più recentemente, all’Aquila (2009), dove lo Stato centrale, ma anche i poteri affaristici, hanno illuso la gente promettendo di passare dalle “tende alle case” con il progetto delle “new town”, purtroppo con gli esiti infelici che sono sotto gli occhi di tutti. Il MF è, in altre parole, un’utopia democratica realizzata! Proprio in forza di ciò, ha moltissimo da insegnare alle ricostruzioni post-disastro attuali e future che continueranno a rendersi necessarie dopo sismi e disastri almeno fino a che non verranno rimosse (nei tempi di qualche generazione, forse) le cause che ne generano gli effetti disastrosi. Bisognerà sostenere però, contro contraffazioni, facili rimozioni o scoop ad esclusivo effetto mediatico (il premier Renzi non viene ad imparare in Friuli ma va in udienza dell’archistar Renzo Piano), che il MF non è meccanicamente riproponibile dall’alto. Non è un modello tecnocratico. Come tale, non avrebbe mai potuto funzionare. La sua efficacia non è garantita perché lo si addotta a parole e magari, con enfasi, in qualche ufficio centrale. Bisogna, prima di tutto, attivare dal basso il tessuto sociale di comunità, famiglie, piccole e medie imprese, prassi questa che non può prescindere, a monte di tutto, da una scelta etica dura ma decisiva. Mai aspettarsi una soluzione dal di fuori: “il destino di un territorio è solo nelle mani di chi lo vive”.

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La Redazione del Blog ringrazia il Prof. Sandro Fabbro, docente all'Università di Udine "di Pianificazione territoriale, di Politiche urbane e territoriali e di Tecnica Urbanistica” presso i Corsi di Laurea in Ingegneria Civile ed in Ingegneria dell'Ambiente e delle Risorse e di Urbanistica presso il Corso di Laurea in Scienza dell'Architettura, per averci concesso la pubblicazione del suo documento già pubblicato dal quotidiano “Il Messaggero Veneto” (pagina 1 e 8 ) mercoledì 7 settembre 2016 con il titolo “Il modello Friuli utopia realizzata”.

Grassetto, colorazione e sottolineatura del testo, sono della Redazione del blog.



venerdì 9 settembre 2016

TERREMOTO IN FRIULI, SVILUPPO ECONOMICO E BRUNO VESPA


TERREMOTO IN FRIULI,
SVILUPPO ECONOMICO

E BRUNO VESPA


Comunicato


Vespa e il Friuli

La dichiarazione di Bruno Vespa, secondo il quale il Friuli ha goduto dello sviluppo economico grazie al terremoto, non solo mette i brividi ma richiede un ragionamento meditato.

Mette i brividi perché, dall'alto di una trasmissione RAI, pagata anche con i soldi dei friulani, sentiamo "monetizzare" i nostri poveri morti in un modo che ricorda le oscene risate telefoniche degli speculatori sull'Aquila, la notte stessa di quel terremoto.
Ma il ragionamento che va fatto è anche un altro: dov'è la controprova?

Cioè: senza terremoto i friulani sarebbero rimasti “nelle caverne” come sembra sottintendere la frase di Vespa (e di tanti altri)?

Sacile o Monfalcone, ad esempio, non hanno subito danni dalle scosse sismiche del 1976, eppure hanno avuto uno sviluppo economico assolutamente paragonabile alle aree terremotate. Senza terremoto sarebbe bastata una leggina che sostenesse l'adeguamento antisismico dei fabbricati ed oggi avremmo ancora i nostri paesi tali e quali a com'erano, e non piangeremmo né i morti né lo spopolamento che comunque ha colpito le aree realmente danneggiate.

Gli imprenditori sapevano fare il loro lavoro prima ed hanno continuato, bene, a farlo poi; i politici friulani hanno saputo fare, onestamente, buone leggi e le avrebbero fatte comunque.

Quindi non venga un Vespa qualunque a commentare sui nostri morti, dato che lo sviluppo economico ce lo saremmo fatto lo stesso da soli.

31 agosto 2016

per il
Comitato per l'Autonomia
e il Rilancio del Friuli

il presidente
Paolo Fontanelli

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Il Comunicato stampa è stato pubblicato sul settimanale della Arcidiocesi di Udine, LA VITA CATTOLICA, mercoledì 14 settembre 2016 - Rubrica "Giornale aperto" - con il titolo " Il Friuli non ha speculato sul terremoto" .


domenica 4 settembre 2016

NON ESISTE IL "TAR GIULIO-FRIULANO"!


STAMPA LOCALE

VONDE INVENTÂSI
STRAMBOLOTS
 
BASTA INVENTARSI
STRAFALCIONI


Non esiste in regione alcun

TAR "GIULIO-FRIULANO"!

Esiste solo il 
 
TAR "REGIONALE”!!


Il nome "Venezia Giulia" è noto essere un "nome politico" inventato alla fine del 1800  e utilizzato successivamente dall'imperialismo italiano che aspirava nel 1915 ad espandere i confini nord-est del  giovanissimo Regno d'Italia su parte dell'allora Impero asburgico e per tale scopo aveva bisogno di un nome che giustificasse  queste pretese italiane su territori in gran parte di lingua slovena e croata. 

Confessiamo che ci è difficile comprendere cosa porti un giornalista triestino a utilizzare il termine "Tar giulio-friulano"  al posto del corretto e corrente termine “Tar regionale”.

E' da notare poi che il giornalista scrive prima "giulio" e poi "friulano", quando dovrebbe essere noto che il Friuli è una regione storica e geografica millenaria che rappresenta il 95% dell'attuale territorio regionale....

 Che nel 2016 si continui ancora ad inventare strafalcioni  come  "giulio-friulano" ci fa porre molte domande  sulla realtà geopolitica (neo irredentista?) triestina....
 
 
Dal quotidiano
IL PICCOLO di Trieste 


"(...) Ritardi che Riccesi spera di recuperare nel giro di pochi mesi, attenuando quanto possibile l’utilizzo dell’ammortizzatore. Il carcere di San Vito, che poi è quello di Pordenone, è stato al centro di un confronto giudiziario al Tar giulio-friulano, da una parte Riccesi con la Kostruttiva (…) "
di Massimo Greco

3 settembre 2016 
 

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Giusto per fare chiarezza...
 
  
LA VENEZIA GIULIA:
 
UNA QUESTIONE FRIULANA


di


Donato Toffoli 


 
La denominazione di “Venezia Giulia”, come è risaputo, ha una precisa data di nascita: domenica 23 agosto 1863; in tale data compare infatti sulle pagine del giornale milanese “L’Alleanza” un articolo non firmato, fatto che riveste una certa importanza, intitolato “Le Venezie”, ripubblicato dopo poco, il 30 agosto 1863, sempre in forma anonima, sulla rivista illustrata, anche questa milanese, “Il Museo di famiglia”1.
 
E’ interessante soffermarci un attimo sui “contenitori” giornalistici che ospitano l’articolo: “L’Alleanza” che porta il sottotitolo di “Giornale politico-letterario internazionale”, diretto da Ignazio Helfy, è periodico di alto livello, militante e politicamente connotato in senso progressista, che funziona anche da elemento catalizzatore per numerosi esuli o emigrati dalle regioni dell’est, come Niccolò Tommaseo, Francesco Dall’Ongaro e Pacifico Valussi. Questo fatto spiega la grande attenzione per i problemi dell’Europa orientale in generale e in particolare per i destini di quella zona, sotto il “giogo” austriaco, che veniva sentita dai redattori come parte costitutiva di una futura Italia completamente libera e sovrana all’interno dei suoi confini “naturali”.  
 
Più popolare e “di consumo” invece risulta “Il Museo di famiglia”, che mescola scienza, arte, letteratura e note politiche, ma che ha la caratteristica, oltre che quella di ospitare anch’esso interventi di Tommaseo e Dall’Ongaro, di avere come direttore l’ebreo triestino Emilio Treves. Come si vede la provenienza da zone austriache e la comune fede religiosa accomunano il direttore di tale periodico al friulano Graziadio Isaia Ascoli, un recente, ed ancora un po’ spaesato, immigrato a Milano.
 
Ascoli, nato nel 1829 a Gorizia, nella importante ed intellettualmente assai evoluta comunità ebraica locale, decide infatti, nel novembre del 1861, di trasferirsi a Milano, accettando la cattedra di “Grammatica comparata e lingue orientali” presso l’Accademia scientifico-letteraria. La sua presenza nella metropoli lombarda comporterà di fatto, se non la nascita, almeno un riallineamento delle scienze linguistiche italiane al livello delle migliori esperienze europee, come pure garantirà una posizione antipurista e rispettosa della pluralità linguistica nel dibattito sulla lingua adatta al neonato stato italiano; posizione di chiara impronta democratica e federalista.
 
È proprio lui l’anonimo autore di ”Le Venezie”, articolo inserito con modesto rilievo tipografico nei due periodici citati; e solo più di quindici anni dopo deciderà di proclamarsi autore dell’”articolino” in questione, ripubblicandolo in una miscellanea di scritti: “La stella dell’Esule”, pubblicato a Roma nel 1879 dalla Libreria Manzoni.
 
La riflessione ascoliana, si badi bene, si colloca a cavallo tra la rapida e per certi versi inaspettata proclamazione del Regno d’Italia (1861) e la fine della cosiddetta “Terza Guerra di Indipendenza” (1866), in realtà una collezione di disfatte da cui lo stato sabaudo fu preservato grazie all’alleanza con la vittoriosa Germania prussiana. Un momento di grande effervescenza, dove tutto sembra possibile ma che, nel giro di pochi mesi, vede cristallizzarsi una situazione geopolitica e un confine che dureranno per più di cinquant’anni, fino alla fine della prima guerra mondiale.
 
Nel momento in cui Ascoli scrive, tutte le “Venezie” sono soggette all’Austria, ma nel 1866 entra nello stato italiano quella che egli aveva chiamato “Venezia Propria”, che comprende anche il Friuli centrale ed occidentale; si deve precisare che l’espressione “Venezia Euganea” non è da attribuirsi in alcun modo al goriziano. Rimangono escluse dal Regno d’Italia, e lo rimarranno per molto tempo, la “Venezia Tridentina o Retica” e la “Venezia Giulia”, cioè come scrive: “le contrade dell’Italia settentrionale che sono al di là dei confini amministrativi della Venezia”, dove, si badi, i confini amministrativi sono, al momento della pubblicazione dell’articolo, quelli interni al dominio austriaco. Il problema dunque, scontata l’esistenza di una “Venezia”, è quello di dare un nome univoco alla “provincia che tra la Venezia Propria e le Alpi Giulie ed il mare rinserra Gorizia e Trieste e l’Istria” con capitale naturale “la splendida e ospitalissima Trieste”; tutto ciò non solo per questioni di comodità descrittiva ma poiché “In certe congiunture, i nomi sono più che parole. Sono bandiere alzate, sono simboli efficacissimi, onde le idee si avvalorano e si agevolano i fatti”.

  Non manca un riferimento a una categoria che, per la storia del termine “Venezia Giulia” è di importanza capitale, la “ambiguità preziosa”: “E nella denominazione comprensiva Le Venezie avremo un’appellativo che per ambiguità preziosa esprime in classica italianità la sola Venezia propria e, quindi potrebbe stare sin d’ora, cautamente ardito, sul labbro e sulla penna dei nostri diplomatici”. In realtà l’intera catena semantica che viene a prodursi poggia sull’ambiguità, creando o “immaginando una comunità” che ha un senso, sia sincronico che diacronico, flessibile ed adattabile a seconda delle circostanze: una potente mistura che è sostanzialmente falsa, ma verosimile, poiché evoca denominazioni storiche manipolandole e decontestualizzandole, ed ampliabile a piacere. Non solo la “Venezia Giulia” può essere considerata subordinata alla (e dunque coincidente con la) “Venezia Propria” e dunque all’Italia, ma raccoglie, e di questo Ascoli è interprete forse involontario, tutti i significati che i termini Venezia e Giulia si portano dietro, trasformati in mito fondatore: in particolare il mito della romanità e quello della venezianità.  (...)


 
LEGGI TUTTO IL SAGGIO:
 

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Il saggio a firma di Donato Toffoli è stato pubblicato sul libro "Venezia Giulia - La Regione Inventata" a cura di Roberta Michieli e Giuliano Zelco, casa editrice Kappa Vu, anno 2008, da pagina 64 a pagina 72 con il titolo "La Venezia Giulia: una questione friulana."
 
LA REDAZIONE DEL BLOG
 

venerdì 2 settembre 2016

REGIONE FRIULI - NEONATOLOGIA: NON C'E' SOLO IL BURLO GAROFOLO, ANCHE A UDINE C'E' UN REPARTO AL TOP!!

 
 
REGIONE FRIULI - VG
 
SANITA'
 
 
 
ANCHE A UDINE

NEONATOLOGIA

E' UN REPARTO AL TOP!
 
 
Lettera pubblicata sul quotidiano
Il Messaggero Veneto
il 31 agosto 2016
 
Rubrica "Lettere"
 
 
Neonatologia - Anche a Udine un reparto al Top
 
di dottor Luigi Cattarossi
 
 
Abbiamo letto con interesse l'articolo comparso il 24 agosto scorso sulla edizione di Pordenone del Messaggero con titolo "Neonata salvata, poi la corsa a Trieste".
 
Fa sempre piacere sapere che le strutture sanitarie della regione mantengono elevati gli standard assistenziali, in particolare nella fragile categoria dei neonati pretermine. Infatti i rischi ai quali sono esposti questi piccoli neonati sono molteplici e un esito felice di un parto pretermine è sempre una notizia di grande rilievo. La neonata è nelle ottime mani dei colleghi neonatologi del Burlo Garofolo e quindi sicuramente l'esito sarà dei migliori.
 
Ricordo comunque che l'Azienda sanitaria universitaria integrata di Udine (53 km da Pordenone, tempo stimato di percorrenza un'ora) è dotata, nel presidio ospedaliero Santa Maria della Misericordia, di un reparto di Patologia neonatale in grado di accudire neonati affetti da qualsiasi patologia medica e che fa parte, come la Neonatologia del Burlo Garofolo di Trieste, del Sistema di trasporto di emergenza neonatale della nostra regione.
 
Io e i miei colleghi formuliamo i migliori auguri di un futuro felice alla piccola neonata pordenonese.
 
Dott. Luigi Cattarossi
 
(Azienda sanitaria universitaria integrata di Udine)
 
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COMMENTO DELLA REDAZIONE DEL BLOG
 
 
La lettera a firma del dott. Luigi Cattarossi, anche se in modo fin troppo garbato,  solleva giustamente un problema molto importante e politicamente rilevante:
fermo restando il diritto costituzionale di "scegliere" dove far curare una qualsiasi patologia medica, perché la neonata non è stata trasportata a Udine - reparto di patologia neonatale dell'ospedale udinese Santa Maria della Misericordia - invece del molto più lontano Burlo Garofolo di Trieste (almeno il doppio della distanza chilometrica rispetto a  Pordenone - Udine)?
 
Noi, essendo molto meno garbati del dott. Luigi Cattarossi e, soprattutto, molto più maliziosi e sospettosi, ci poniamo le due seguenti domande:

1) non è che l'assessorato alla sanità regionale - impegnato politicamente e finanziariamente  (con una quantità incredibile di milioni di euro regionali!) a trasformare il Burlo Garofolo di Trieste da ospedale in difficoltà a "faro pediatrico regionale", abbia "consigliato" la strada per Trieste?

2) Vietato fermarsi  a Udine, nonostante ci sia una Facoltà di medicina molto apprezzata e un'ottimo reparto di neonatologia?
 
 
LA REDAZIONE DEL BLOG
 
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