TERREMOTO
AMATRICE, NON SARA'
"MODELLO FRIULI"
di
Roberto Dominici
Mentre
ricordiamo il 40° anniversario del terremoto del 1976, ecco che un
altro disastroso sisma scuote alcune località dell'Italia centrale
seminando lutti e rovine. I friulani, memori e grati della tanta
solidarietà ricevuta, hanno il dovere morale di esprimere
concretamente e significativamente la propria solidarietà e
vicinanza alle popolazioni colpite, ora impegnate nel difficile
cammino della emergenza e poi della ricostruzione. Ed io sono certo
che la nostra solidarietà ci sarà.
L'emergenza,
carica di problemi di ogni tipo a cominciare da quelli umani per
quanti hanno perso persone care e, non solo per loro, è nella fase
acuta per altro ben curata dalla Protezione Civile che, nata con
l'esperienza Friuli, è, si può be dire, il fiore all'occhiello del
nostro Paese.
Adesso
c'è una urgenza da affrontare: bisogna dare un tetto “provvisorio”
a quanti ne hanno la necessità causa sisma. L'inverno si sta
avvicinando e con esso il freddo. Andando indietro nei ricordi quando
da noi taluno con troppa disinvoltura e con poco realismo diceva di
passare dalle “tende alle case” come se rendere agibili le case
fosse questione di tempi immediati, il Sindaco di Moggio Udinese
Carletto Treu, per citarne uno, affermava invece che non era
“eludibile” la fase delle baracche. Fu così che si allestirono
ben 350 villaggi, appositamente urbanizzati, e si installarono oltre
20.000 prefabbricati che hanno ospitato 75000 persone, ponendo fine
all'esodo invernale 1976/1977 di ben 40.000 persone lungo il litorale
adriatico. I numeri delle nuove località colpite sono per fortuna
assai più contenuti il che dovrebbe rendere più agevole la
soluzione del problema. Ci sono diverse altre questioni da risolvere:
sgombero macerie, accertamenti tecnici di staticità degli edifici e
loro messa in sicurezza pre-recupero, analisi geologiche, dotazione
di strutture, pure provvisorie, per i servizi essenziali di comunità
(Municipio, Scuole, Chiese, ecc), e così via. E poi c'è la
ricostruzione che richiede un progetto organico su indirizzi chiari,
meditati e condivisi per un'opera che non sarà breve.
Resto
ancora convinto che emergenza e ricostruzione, seppur collegate,
devono essere distinte per tipologia di problematiche ed anche, anzi
soprattutto, perché la ricostruzione riguarda l'assetto futuro di
una comunità ragion per cui deve essere la gente interessata, con i
propri rappresentanti nelle istituzioni ad occuparsene o quanto meno
ad avere voce decisionale in merito.
Conosciamo
le scelte di fondo che costituiscono il Modello Friuli e sappiamo
bene che esse sono il frutto della delega a ricostruire affidata alla
Regione ed alle autonomie locali.
Sappiamo
che da noi la ricostruzione è dovuta alla messa in comune di tutte,
nessuna esclusa, le energie disponibili.
Laggiù,
nelle zone colpite, come sarà?
Si
è sentito più volte invocare il Modello Friuli specie per uno degli
elementi che lo caratterizzano:“ricostruire i paesi dove erano e
come erano”, dimostrando così, nel rifiuto alle New Town,
l'attaccamento alla propria terra. Se sarà così, ed io me lo
auguro, è una scelta positiva.
Con
riguardo alla nostra esperienza è bene ribadire che anche qui
all'epoca si respinse l'idea della “Grande Udine” e della “Grande
Pordenone” che, se attuata, avrebbe snaturato il Friuli. È pure
bene ribadire che il senso di comunità è un valore importante da
coltivare sempre e che il terremoto non distrugge, anzi rivitalizza,
i valori consolidati di una comunità che diventano ancoraggio in
momenti di gravità. È importante, a tal fine, riparare edifici il
più possibile, ovviamente per quanto possibile ed in sicurezza, e
non come pure si è sentito, procedere alla demolizione di tutto per
passare, seppure in loco, a nuova totale ricostruzione. Oggi la
tecnica consente recuperi anche difficili.
Ma
a chi sarà affidata la ricostruzione delle zone colpite: alle
autonomie locali come per il Friuli?
Questo
è il punto “centrale” della questione.
È
l'elemento cardine del Modello Friuli.
Una
tale scelta implica almeno tre precondizioni: lo
Stato disposto a delegare l'opera, le istituzioni locali disposte ad
assumersi in toto le responsabilità conseguenti che sono tante e
gravose, la gente terremotata disposta a darsi da fare con l'aiuto ed
il sostegno, ben si intende, del potere pubblico. Francamente
non so se la risposta a queste precondizioni sarà idonea a far
scattare la delega. Temo
che questa non ci sarà e quindi, alla fin fine, del Modello Friuli
non sarà applicata la parte più sostanziale; ad
esso, forse, si farà riferimento per qualche spunto particolare.
Il
mio timore nasce anche dalla nomina, da parte del Governo, di un
Commissario.
Anche
noi abbiamo avuto un Commissario, un grande Commissario, che risponde
al nome dell'on. Zamberletti; ma per l'emergenza, non per la
ricostruzione come sembra sia nel caso attuale. È
tutt'altra cosa. Se l'attività ricostruttiva
farà capo al Commissario, la gente e le istituzioni locali saranno
sentite, guai se non lo fossero, ma la potestà decisionale non sarà
loro, con tutta una serie di conseguenze anche operative. Eppoi si sa
che la partecipazione stimola la trasparenza.
Nel
dibattito pubblico in essere si registra un coro di interventi pro
messa in sicurezza degli edifici con opere di consolidamento statico.
Ne parlano tutti come si trattasse di una nuova scoperta. Noi
friulani nella riparazione di case terremotate (Legge 30/1977)
abbiamo realizzato, prima di tutto dette opere (opere a) e poi le
altre; abbiamo pure sperimentato, su mandato del legislatore
nazionale, interventi di consolidamento statico in zona sismica in
abbinamento ad opere di manutenzione straordinaria (L.R. 30/1988). È
fuori dubbio che anche quanto si andrà a ricostruire od a riparare
nei centri colpiti dovrà essere fatto previa messa in sicurezza
degli immobili.
Ma
il problema è ben più vasto. Larga parte del
territorio italiano è a rischio sismico e quasi ovunque abbiamo
edifici vetusti che necessitano di opere statiche. La scelta politica
è tra lasciare le cose come sono in precarietà salvo intervenire
dopo eventuali (ma neppure tanto) sismi oppure dar corpo ad una
azione preventiva. La risposta del buon senso è evidente:
intervenire per quanto possibile prima.
Ecco
allora la nostra antica sollecitazione: lo Stato predisponga un
progetto organico di interventi scansionato in 30/50 anni con
procedure speciali, con sostegni contributivi e fiscali. Sarebbe
anche un ottimo volano per l'economia che langue. Ed allora chi ha
voce a Roma si assuma anche questo impegno.
Roberto
Dominici
già
Assessore Regionale
alla Ricostruzione
.............
Il documento a firma di Roberto Dominici - che la redazione del Blog ringrazia per averle concesso la pubblicazione della sua precisa e puntuale analisi - è stato pubblicato il 14 settembre 2016 sul settimanale della Arcidiocesi di Udine, LA VITA CATTOLICA, rubrica "Giornale aperto", pagina 21.
Con un Commissario anche per la ricostruzione, questa sarà centralizzata nella mani del rappresentante del Governo (il Commissario) e il territorio ferito dal sisma del 2016 sarà estromesso da ogni scelta!! Non ci sarà alcun "modello Friuli"!
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