TERREMOTO
Il “Modello Friuli” di ricostruzione:
cosa
è stato e cosa può essere
di
Prof.
Sandro Fabbro
(Università
di Udine)
In
questi giorni, a seguito del terremoto che ha colpito il centro
Italia, si è spesso fatto riferimento al Modello Friuli (MF) della
ricostruzione post-terremoto del 1976, come esempio positivo da
seguire. L’intensità dei richiami alla positività del MF,
operata dalla stampa e dai mezzi di comunicazione, inorgoglisce i
friulani e fa certamente ritenere che il MF non sia ancora
dimenticato e che possa rappresentare un punto fermo di
ineguagliabile valore ed efficacia. Vedremo
nelle prossime settimane e mesi se è solo ordinaria retorica
post-disastro o se da qui può nascere una nuova consapevolezza.
Ma, attenzione alle contraffazioni o alle facili rimozioni tipiche di
un’epoca dove dominano retorica e demagogia!
Il
4 maggio 2016 chi scrive ha coordinato, all’Università di Udine,
un seminario sul MF invitando a parteciparvi, con proprie
testimonianze, alcuni dei più autorevoli tecnici che hanno lavorato
alla ricostruzione del Friuli e in particolare: l’ing. Diego
Carpenedo, già membro del “Gruppo Interdisciplinare Centrale
(GIC) della Segreteria Generale Straordinaria per la Ricostruzione
del Friuli” della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia; l’arch.
Luciano Di Sopra, incaricato, dalla Regione FVG, della stima
dei danni del sisma, consulente di livello internazionale su
terremoti e ricostruzioni ed anche teorico del MF; l’arch. Giovanni
Pietro Nimis, anche lui membro del GIC e incaricato, come libero
professionista, di piani urbanistici di ricostruzione ad Artegna,
Gemona del Friuli e Venzone; l’arch. Roberto Pirzio Biroli,
incaricato, come libero professionista, della ricostruzione di
edifici pubblici e privati e di borghi storici; l’arch. Enzo
Spagna, già direttore regionale della Direzione della
Pianificazione Territoriale della Regione FVG. Luciano Di Sopra, per
problemi di salute purtroppo non riuscì ad essere presente. Poche
settimane dopo è poi tristemente mancato privandoci, oltre che della
sua lucida e fondamentale testimonianza, anche della possibilità di
avere in futuro il suo vigile controllo di qualità sul “marchio”
MF.
Il
seminario si
proponeva di rispondere alla
domanda perché tale modello, nonostante la sua eccezionale
positività, costituisca ancora un caso unico e non sia ancora stato
formalmente assunto a modello di riferimento replicabile (pur con i
dovuti adattamenti) alle ricostruzioni post-catastrofe.
Nel seminario, è emerso
chiaramente che il MF è definibile, prima di tutto, come la
combinazione virtuosa di tre essenziali elementi: 1.
La implementazione di nuove tecniche per la riparazione antisismica
di edifici in muratura; 2.
un principio endogeno di ordinamento spaziale della ricostruzione
degli insediamenti (il famoso “dov’era e com’era”) reso
possibile anche da quelle tecniche; 3.
un modello di regolazione delle relazioni (finanziarie, legislative,
amministrative) -tra stato, regione ed enti locali-, fortemente
decentrato verso il basso e, per certi aspetti, anche rovesciato (dal
basso verso l’alto). E’ emerso inoltre che, come processo nel suo
insieme, il MF è soprattutto l’esito, non intenzionale, di
complesse interazioni -in primis culturali e sociali ma poi
necessariamente anche tecniche e politico-amministrative- che si sono
generate nel corso dell’azione senza alcun demiurgo al centro ed a
monte del processo stesso (non è questa anche l’essenza della
democrazia?).
Lo stesso commissario straordinario Zamberletti si è sempre ritagliato un ruolo sussidiario e di grande collaborazione con regione ed enti locali. In termini più sintetici si può dire che il MF si è basato sulla riaffermazione di un ordine spaziale storico, di un metodo di decisione fortemente democratico e decentrato e su tre fasi inevitabili: l’emergenza, gli insediamenti provvisori, gli insediamenti definitivi. Ma il MF ha funzionato perché il potere sul territorio è stato inteso come un potere condiviso dal basso verso l’alto o, diremmo oggi, di “sussidiarietà verticale e orizzontale”. Questo è, in ultimissima analisi, l’etica del MF ed il vero messaggio non solo alle ricostruzioni post-disastro (che, ci auguriamo, siano sempre meno disastrose) ma anche alla attualità del “governo del territorio” e, forse, del “governo” tout court.
Lo stesso commissario straordinario Zamberletti si è sempre ritagliato un ruolo sussidiario e di grande collaborazione con regione ed enti locali. In termini più sintetici si può dire che il MF si è basato sulla riaffermazione di un ordine spaziale storico, di un metodo di decisione fortemente democratico e decentrato e su tre fasi inevitabili: l’emergenza, gli insediamenti provvisori, gli insediamenti definitivi. Ma il MF ha funzionato perché il potere sul territorio è stato inteso come un potere condiviso dal basso verso l’alto o, diremmo oggi, di “sussidiarietà verticale e orizzontale”. Questo è, in ultimissima analisi, l’etica del MF ed il vero messaggio non solo alle ricostruzioni post-disastro (che, ci auguriamo, siano sempre meno disastrose) ma anche alla attualità del “governo del territorio” e, forse, del “governo” tout court.
Ci
si deve domandare, allora, perché, nonostante il suo indubbio
successo, il MF sia stato copiato solo per gli aspetti
tecnico-costruttivi (diventando norma) e per la fase dell’emergenza
(con la “protezione civile”) e non sia mai diventato un modello
per le ricostruzioni.
La
risposta è forse che il MF è difficilmente compatibile non solo con
gli ordinamenti spaziali centro-periferia troppo spinti ma anche con
ordinamenti politici demagogici o centralistici.
Per questo non ha funzionato in Irpinia, dopo il terremoto del 1980,
e neppure, più recentemente, all’Aquila (2009), dove lo Stato
centrale, ma anche i poteri affaristici, hanno illuso la gente
promettendo di passare dalle “tende alle case” con il progetto
delle “new town”, purtroppo con gli esiti infelici che sono sotto
gli occhi di tutti. Il
MF è, in altre parole, un’utopia democratica realizzata!
Proprio in forza di ciò, ha moltissimo da insegnare alle
ricostruzioni post-disastro attuali e future che continueranno a
rendersi necessarie dopo sismi e disastri almeno fino a che non
verranno rimosse (nei tempi di qualche generazione, forse) le cause
che ne generano gli effetti disastrosi. Bisognerà sostenere però,
contro contraffazioni, facili rimozioni o scoop ad esclusivo effetto
mediatico (il premier Renzi non
viene ad imparare in Friuli ma va in udienza dell’archistar Renzo
Piano), che il
MF non è meccanicamente riproponibile dall’alto. Non è un modello
tecnocratico. Come tale, non avrebbe mai potuto funzionare.
La sua efficacia non è garantita perché lo si addotta a parole e
magari, con enfasi, in qualche ufficio centrale. Bisogna, prima di
tutto, attivare dal basso il tessuto sociale di comunità, famiglie,
piccole e medie imprese, prassi questa che non può prescindere, a
monte di tutto, da una scelta etica dura ma decisiva. Mai aspettarsi
una soluzione dal di fuori: “il
destino di un territorio è solo nelle mani di chi lo vive”.
................
La
Redazione del Blog ringrazia il Prof.
Sandro Fabbro, docente
all'Università di Udine "di Pianificazione territoriale, di Politiche urbane e
territoriali e di Tecnica Urbanistica” presso i Corsi di Laurea in
Ingegneria Civile ed in Ingegneria dell'Ambiente e delle Risorse e di
Urbanistica presso il Corso di Laurea in Scienza dell'Architettura,
per averci concesso la pubblicazione del suo documento già
pubblicato dal quotidiano “Il Messaggero Veneto” (pagina 1
e 8 ) mercoledì 7 settembre 2016 con il titolo “Il modello
Friuli utopia realizzata”.
Grassetto,
colorazione e sottolineatura del testo, sono della Redazione del blog.
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