lunedì 31 luglio 2017

LE CAMERE DI COMMERCIO RIMANGANO AUTONOME


REGIONE FRIULI-VG

UN'UNICA CAMERA DI COMMERCIO
REGIONALE?

Basta con la frenetica vulgata
 
aggregativa e accentratrice!!

Imprese iscritte/attive nelle 4 Cciaa regionali:

Cciaa UDINE: 44.057

Cciaa GORIZIA: 9.031

Cciaa TRIESTE: 14.097

Cciaa PORDENONE: 23.793
 

La Cciaa di Udine che ha quasi il 50% di TUTTE le aziende regionali iscritte/attive, perchè mai dovrebbe accettare la Camera di Commercio regionale unica perdendo così la sua autonomia ed efficienza, aggregandosi a chi ha solo 9.031 aziende attive (Gorizia), 14.097 aziende attive (Trieste) e solo 23.793 aziende attive (Pordenone)?

"la Camera di commercio di Pordenone, come quella di Udine, rappresentano delle realtà solide ed efficienti, gestite in evidente modo virtuoso e produttivo, perchè non impegnarsi a mantenere lo status quo?" Markus Maurmair
 
E basta parlare di “campanili” ogni qual volta si vuole imporre dall'alto una scelta accentratrice "decisa" dalla Giunta regionale: non è un problema di "campanili" ma di realtà efficienti che non devono essere smantellate.

Tutto ciò che è Friuli centrale (Provincia di Udine, ossia il 50% del territorio regionale)  è  sempre "campanile" per la politica regionale triestinocentrica, nel mentre  Trieste e la città di Pordenone non sono MAI "campanile": vonde, no!!
 
 
La Redazione del Blog

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LE CAMERE DI COMMERCIO

RIMANGANO AUTONOME

di

Markus Maurmair

Gentile Direttore,

l'accesa discussione di questi giorni, generata dalle prese di posizione del presidente degli industriali pordenonesi, mi spinge a fare alcune considerazioni, che gradirei condividere con Lei, nel merito di uno dei temi lasciati sullo sfondo, ma centrale nella crescente contrapposizione tra Udine e Pordenone: la richiesta di una camera di commercio unica a livello regionale, quale superamento della norma nazionale che imporrebbe l'aggregazione del solo ente pordenonese a quello della capitale del Friuli.

Innanzitutto si deve ricordare che l'attuale campo di confronto è fondato su leggi che sono da valutare in ragione dell'evoluzione democratica conseguente alla sonora bocciatura della riforma costituzionale del 4 dicembre scorso. Infatti, con quell'esito referendario è stata sancita la rottamazione dell'idea di uno Stato neo centralista con la quale si voleva e, per alcuni, vuole governare l'Italia inseguendo la compressione del principio di sussidiarietà sviluppatisi, in venti e più anni, dopo la caduta della Prima Repubblica. Pertanto bisognerebbe prendere atto che la legge statale di accorpamento delle Camere di commercio, varata nel 2015 e attuata con decreto pochi giorni prima del referendum costituzionale, in linea con le logiche neo centraliste dell'allora governo, è stata di fatto cassata, nel merito dei principi ispiratori, con il voto di milioni di cittadini che hanno bocciato la riforma costituzionale.

Onestà intellettuale chiederebbe, a chi ancora guida l'Italia, di rivedere il proprio disegno riconoscendo la supremazia dei cittadini e cancellando una legge ormai superata dall'espressione del voto.

Secondariamente la frenetica vulgata aggregativa e accentratrice dovrebbe avere un fondamento logico e razionale che non ritrovo nella generalizzata espressione dei più che perorano la causa della camera di commercio unica. Personalmente, avendo perseguito e raggiunto l'obiettivo di fondere due Comuni, in primis per motivi di opportunità amministrativa, quindi non tanto per una “moda delle fusioni” quanto per evidenti motivazioni razionali, cioè con i bilanci alla mano, ritengo che tale logica debba muovere anche le scelte sulle camere di commercio, come mi immagino sia stato fatto per l'aggregazione di quelle di Gorizia e Trieste. 

Perciò, tenuto conto che la Camera di commercio di Pordenone, come quella di Udine, rappresentano delle realtà solide ed efficienti, gestite in evidente modo virtuoso e produttivo, perchè non impegnarsi a mantenere lo status quo?

Sono certo che lo Statuto della nostra Regione autonoma rappresenti la migliore cassetta degli attrezzi per salvaguardare l'autonomia delle camere di commercio del Friuli-Venezia Giulia che negli anni, attraverso una gestione capace delle risorse economiche provenienti dal sistema delle imprese hanno accresciuto la competitività del sistema imprenditoriale, l'offerta formativa e culturale del territorio e la sua coesione sociale.

La domanda vera è se ci sono attori politici che intendono esercitare realmente la nostra autonomia, preservando le tre camere di commercio esistenti, dando un senso compiuto alla specialità che ci è riconosciuta dalla Costituzione, che abbiamo salvaguardato il 4 dicembre scorso, rinnovando così gli ideali di equilibrio tra i territori e la lungimiranza con cui è stata guidata nel passato la nostra regione.

MARKUS MAURMAIR

(Sindaco di Valvasone-Arzene – Patto per l'Autonomia)

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La lettera a firma di Markus Maurmair è stata pubblicata mercoledì 19 luglio 2017 sul settimanale della Arcidiocesi di Udine – LA VITA CATTOLICA – rubrica “Giornale aperto”, pagina 25.
 
 
 
 

lunedì 24 luglio 2017

LA LUNGA STORIA DELLA COMUNITA' COLLINARE DEL FRIULI - UN CONSORZIO VOLONTARIO DI COMUNI DI GRANDE SUCCESSO


La lunga storia della

"Comunità collinare del Friuli"

Colloredo di Monte Albano (Ud).
 
UN CONSORZIO

VOLONTARIO DI COMUNI

 DI GRANDE SUCCESSO

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Tratto dal sito ufficiale
della
“Comunità collinare del Friuli”
 


La Comunità Collinare del Friuli, organismo consortile, ideato con lungimiranza dal suo primo presidente Titta Metus, è stato costituito il 16 aprile 1967, con specifico atto notarile, sottoscritto presso l'ala ovest del Castello di Colloredo di Monte Albano, gentilmente concesso per l'occasione dal conte Alessandro Ricardi di Netro per rendere più solenne la cerimonia della nascita dell'allora unica e originale realtà amministrativa sovracomunale della Regione Friuli Venezia Giulia.

I primi Comuni che avevano dato la loro adesione erano stati: Buja, Cassacco, Colloredo di Monte Albano, Coseano, Dignano, Fagagna, Majano, Martignacco, Moruzzo, Osoppo, Povoletto, Ragogna, Rive d'Arcano, San Daniele del Friuli, San Vito di Fagagna e Treppo Grande.

Con l'approvazione del primo statuto, si prevedeva la gestione in forma associata di diversi compiti e servizi d'istituto che i singoli Comuni, o non avevano ancora istituito o non erano nelle condizioni economiche di gestire da soli; anticipando in tal modo di oltre venti anni ciò che lo Stato sancirà con legge nel 1990.
Titta Metus in quel periodo era consigliere regionale e come tale cercò di informare e sensibilizzare la realtà istituzionale ed economico-produttiva del Friuli Venezia Giulia della necessità della consorziazione tra enti locali finalizzata alla creazione dell'auspicato quanto contrastato “Comprensorio”.

Dopo alterne vicende la Regione concesse il riconoscimento giuridico con decreto n° 54 del 27 maggio 1970, istitutivo della “Comunità Collinare del Friuli” quale consorzio volontario dei seguenti 13 Comuni: Cassacco, Colloredo di Monte Albano, Dignano, Fagagna, Forgaria nel Friuli, Majano, Moruzzo, Osoppo, Ragogna, Rive d'Arcano, San Daniele del Friuli, San Vito di Fagagna e Treppo Grande. Buja e Coseano aderirono successivamente.

La nuova realtà consortile si doterà di un più adeguato statuto con ampie previsioni di finalità e scopi, nonchè servizi sociali da gestire in forma associata. La nuova assemblea formata dai Sindaci e da due delegati per Comune, uno dei quali della minoranza, riunitasi nel Municipio di Colloredo, dove era stata fissata la sede legale, riconfermò alla presidenza Titta Metus e nominò due vicepresidenti: Ferruccio Munari, consigliere di Fagagna e Giovanni Melchior, Sindaco di Rive d'Arcano.


Dal 1970 al 1975 il consorzio diede vita a diverse iniziative, istituendo la segreteria,
gli uffici amministrativi e l'ufficio tecnico-urbanistico che, dotati di personale, assistevano i Comuni privi di tecnico comunale, dando inizio alla progettazione di molte opere pubbliche: fognature, depuratori, cimiteri, ambulatori, ponti e strade ed altre opere di competenza comunale. Fu inoltre affrontato il problema della raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e la costruzione del grande centro sociale-casa di riposo di Fagagna, progettato a servizio di tutto il territorio collinare. (...)"

CONTINUA A LEGGERE


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E OGGI, DOPO L'ISTITUZIONE  OBBLIGATORIA DELL'UTI COLLINARE, QUALE LA REALTA' DI QUESTO GLORIOSO CONSORZIO?

 
Otto Comuni soci della Comunità Collinare  hanno deliberato la non trasformazione in UTI della Comunità Collinare stante che quest'ultima - una realtà consortile di grande successo  creata su base volontaria nel lontano 1967 - sarebbe stata cancellata in forza dell'art. 40 della legge regionale 26/2014 di riforma enti locali con tutti i problemi burocratici e finanziari che ne sarebbero seguiti oltre alle pesanti differenze statutarie  - anche in termini di minore democrazia interna nelle Uti - imposte dalla legge regionale di riforma enti locali (Uti).

Oggi dunque coesistono sia la gloriosa Comunità  Collinare che l'UTI Collinare: quest'ultima risulta formata solo da sette Comuni:
  

"dal 15 aprile 2016 è costituita l'Unione Territoriale Intercomunale  "COLLINARE" fra i Comuni di Coseano, Fagagna, Flaibano, Majano, Moruzzo, Rive d'Arcano e Treppo Grande".
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Legge regionale 12 dicembre 2014, n. 26

Riordino del sistema Regione-Autonomie locali nel Friuli Venezia Giulia. Ordinamento delle Unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative.

 
 
VEDI ART. 40
 
scioglimento di forme collaborative
 
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PERCHE' SI E' CANCELLATO

ANCHE CIO' CHE FUNZIONAVA

PERFETTAMENTE?


LA REDAZIONE DEL BLOG
 
 

martedì 18 luglio 2017

LA COLONIA - DINAMICHE DI AGRESSIONE LINGUISTICA SULLA COMUNITA' FRIULANA di Alessandro CARROZZO

 
 
La colonia
Dinamiche
di aggressione linguistica
sulla comunità friulana

di Alessandro Carrozzo
 


Un document di Sandri Carrozzo

za publicât intal 2012

sul Blog di Sandri Carrozzo
 
 

ma ancjemò une vorone atuâl

e di tornâ a lei!
 
(…)

2. Il colonialismo culturale e linguistico in Friuli 

Nonostante i proclami di democrazia e rispetto dei diritti fondamentali, riconosciuti anche a livello costituzionale, l’attività coloniale viene tuttora praticata nel cuore stesso dell’Europa. Nei paragrafi che seguono saranno presentati elementi che denunciano chiaramente un episodio particolare di colonizzazione: la colonizzazione culturale e linguistica praticata dall’Italia ai danni della comunità friulana.(...)" 

Sandri Carrozzo



BUINE LETURE!! 
 

La Redazion dal Blog



lunedì 10 luglio 2017

IL PORTO FRANCO TRIESTINO NON E' TENUTO A RISPETTARE LE REGOLE DEL CODICE DOGANALE COMUNITARIO?

 
PORTO FRANCO DI TRIESTE
DECRETO MINISTERIALE DELRIO
 
E LE REGOLE DEL CODICE
DOGANALE COMUNITARIO?

DESAPARECIDOS?
 
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Dal blog triestino "maledettabarca"

Giovedì 12 ottobre 2012

Interrogazione alla Commissione Europea sul Porto Franco di Trieste

 
 
Nella risposta scritta della Commissione Europea del 7 agosto 2012, si legge:

1. L'allegato VIII del trattato di pace con l'Italia, del 10 febbraio 1947, al suo articolo 1 stabilisce che il porto di Trieste è un porto extra doganale. L'articolo 5, comma 2, dell'allegato VIII dispone che, in relazione all’importazione o esportazione o transito nel Porto Libero, le autorità del TLT non possono pretendere su tali merci dazi o pagamenti altri che quelli derivanti dai servizi resi. Nell'ambito del diritto unionale tale posizione è garantita dal funzionamento del porto quale zona franca a norma delle disposizioni di legge dell'UE di cui in appresso.
2. La zona franca di Trieste è una zona franca sottoposta a controllo di tipo I. Ai sensi dell'articolo 166 del codice doganale comunitario è parte del territorio doganale della Comunità in cui le merci extraunionali non sono assoggettate a dazi doganali. 

Tutte le operazioni che possono essere effettuate nella zona franca di Trieste devono essere conformi alle disposizioni doganali.

(…)

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Sul quotidiano Il Messaggero Veneto (Udine)  di  venerdì 7 luglio, a pagina 38, rubrica IDEE è stato pubblicato un articolo a firma di Giuseppe Alfano (ex-funzionario delle dogane) sul decreto Delrio sul porto franco di Trieste. Titolo dell’articolo: “C’è stata veramente una svolta storica con il decreto Delrio?”.

C'È STATA VERAMENTE UNA SVOLTA STORICA CON IL DECRETO DELRIO?

Il regime doganale del porto franco di Trieste è come l'araba fenice: semplicemente non esiste. E un decreto ministeriale non può cambiare le regole del codice doganale europeo. (….)  - Giuseppe Alfano

Leggi tutto l’articolo:


…………..

E questo lo show pubblicitario
di presentazione a Trieste
del decreto ministeriale Delrio
 
Dal quotidiano Il Piccolo di Trieste
 
TRIESTE «Abbiamo finalmente il decreto attuativo per il Porto franco internazionale di Trieste, firmato dal ministero delle Infrastrutture e quello di Economia e finanze».
 
Lo ha annunciato stamani, martedì 27 giugno, la presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, durante una conferenza stampa congiunta con il ministro Graziano Delrio e il presidente dell'Autorità di sistema portuale dell'Adriatico orientale, Zeno D'Agostino. (…)
 
 
…………..
 
UN DUBBIO
 
 
Ma le regole del codice doganale comunitario non debbono essere rispettate anche dal Porto franco di Trieste essendo quest'ultimo per l'UE "parte del territorio doganale della Comunità?
 
 
LA REDAZIONE DEL BLOG

 

giovedì 6 luglio 2017

CONTINUA LA PERSECUZIONE DELLA MINORANZA LINGUISTICA FRIULANA!!



REGIONE FRIULI-VG

CONTINUA
LA PERSECUZIONE
DELLA MINORANZA
LINGUISTICA FRIULANA!!
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dal sito internet della Regione


Notizie

GM: Violino, nuova legge orientamento nega diritti linguistici


29/06/2017, 20:12

(ACON) Trieste, 29 giu - COM/RCM - Fa discutere la nuova legge regionale sulla formazione e l'orientamento nell'ambito dell'apprendimento permanente. Il presidente del Gruppo Misto, Claudio Violino, la definisce "un semplice restyling della legge regionale 76/1982 che non aggiunge niente di nuovo al precedente contesto normativo, se non adeguandolo in modo pedissequo alla norma nazionale e quindi rinunciando a priori a ogni declinazione specifica che sarebbe possibile introdurre grazie alla nostra autonomia speciale".

Il consigliere fa presente l'unica forma di salvaguardia introdotta: la tutela della minoranza linguistica slovena. "Io e il forzista Roberto Novelli (relatore di minoranza della legge) abbiamo presentato emendamenti atti a estendere le previsioni normative a tutela della lingua slovena anche alle altre minoranze linguistiche regionali riconosciute - ricorda Violino -, però non sono stati approvati. Gli emendamenti della Giunta hanno, invece, tenuto in considerazione solo la tutela dello sloveno. Si configura quindi una vera e propria disparità di trattamento tra lo sloveno e le altre minoranze linguistiche della regione, che questo provvedimento ignora.

"Si tratta solo di uno degli aspetti più discutibili di un provvedimento che nasce già vecchio, privo di strumenti innovativi per affrontare la necessità di connettere in modo sempre più stretto formazione e mercato del lavoro: la legge - chiude Violino - è anche finanziata in maniera inadeguata rispetto alle necessità e soprattutto rispetto alle affermazioni di principio sempre formulate da una maggioranza che, per l'ennesima volta, finisce per non ascoltare le sollecitazioni che vengono dal territorio e dagli operatori di settore".

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lunedì 3 luglio 2017

PORTO FRANCO DI TRIESTE? QUALCUNO NON LA RACCONTA GIUSTA!!




PORTO FRANCO DI TRIESTE?


"QUALCUNO"
 

NON LA RACCONTA GIUSTA!



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FURLANI NO XE’ PER BARCA.
 

MA GREGHI NO XE’ PER FABRICA



di Giorgio Cavallo



Quaranta anni fa, negli anni 70, Trieste si ribellò al Trattato di Osimo a causa della previsione di una “zona franca industriale” nell’area carsica di confine tra Italia e Jugoslavia. Alcune anime belle diedero dignità alla opposizione in nome della difesa dell’ambiente e contro il relativo consumo di suolo. Ma l’elemento scatenante della ribellione fu il terrore che stuoli di balcanici, serbi, bosniaci, macedoni, invece di limitarsi a comprare jeans a Ponterosso, venissero ad invadere Trieste e a determinarne uno sconvolgimento etnico.

Mercoledì 28 giugno il ministro Del Rio ha formalizzato e rilanciato i “punti franchi” del Porto di Trieste, inclusa la possibilità di spostamento in altre aree del territorio. Nella presentazione della iniziativa si è posto l’accento, anche da parte dell’Autorità Portuale, sul significato attuale dei “punti franchi”, mettendo in evidenza la possibilità che lì si facciano lavorazioni e trasformazioni delle merci in transito per il porto, dando così l’avvio di molte nuove attività produttive.

Più prosaicamente l’idea immaginifica vincente negli show pubblicitari di presentazione è stata questa: il Porto di Trieste diventa il terminale privilegiato della nuova “via della seta”, con prodotti semilavorati che arrivano dall’Oriente, vengono manipolati sulla base delle diverse tendenze del mercato europeo, e poi ripartono per la loro destinazione finale di mercato. Un po’ meno propagandata appare l’opzione inversa, dall’Europa alla Cina.

Ho l’impressione che non me la contino giusta. I “punti franchi” di questo tipo non mi pare siano più di moda e le merci quanto meno stanno in porto meglio è. La tecnologia dei container insegna. Certi prodotti come il caffè possono ancora essere immagazzinati e ridistribuiti con graduazione, anche le banane forse, ma non è questo quello di cui stiamo parlando. E non è più il tempo in cui gli alabastri prodotti a Volterra vengono stoccati con catalogo nel porto di Trieste per essere poi venduti e spediti in tutto il mondo, come avveniva a fine 800.

Va detto per il vero che oggi le trasformazioni industriali stanno percorrendo strade nuove, siamo nell’epoca di Industry 4.0 sia per le lavorazioni che per i prodotti, e che quindi, diversamente dagli anni 70, siamo al riparo da invasioni di serbi, macedoni e bosniaci. Meno sicuro sono del fatto che l’espansione e l’attivazione dei “punti franchi” non possa riguardare una miriade di operazioni finanziarie con tutte le potenzialità, lecite ed illecite connesse. E questa è una vera chance per Trieste che in passato non si è mai potuta concretizzare.

La questione di fondo però è un’altra. L’asse identificato nelle celebrazioni su porto e cantieristica diventa il riferimento principale del sistema produttivo ed economico regionale, dettandone in sostanza le gerarchie di coinvolgimento dei territori e definendone i poteri dirigenti.

Ne va peraltro dimenticata la presenza a Trieste del polo assicurativo delle Generali, a cui stendere tappeti rossi affinché non se ne vada riducendo drasticamente le entrate erariali della Regione. Da qui, oltre al brand “Trieste Airport”, anche la priorità data alla velocizzazione della ferrovia Venezia - Trieste per meglio servire il business management delle Generali stesse. E relegando così la Udine - Treviso - Venezia, con la sua preponderante utenza, ad un futuro molto lontano.

Il pilastro della cantieristica Fincantieri, con il suo successo industriale e la sua fortunata pervasività territoriale nel campo della subfornitura, comincia a dettare i tempi e i modi della politica industriale. Il presidente Bono è oggi il depositario di quello che è il maggior successo industriale italiano in un campo complesso in cui il lavoro operaio è ancora un fattore determinante. Questo successo è determinato da capacità di progettazione, apertura ad ogni innovazione, ed una elasticità produttiva che permette di produrre il “meglio” al “prezzo più basso”. Invece di decentrare la produzione in luoghi a basso costo del lavoro, è meglio portare gli stessi lavoratori vicino al cantiere ed utilizzarli secondo necessità ed a prezzi variabili rispetto alla tradizionale stabilità operaia. Per tutto ciò che può essere esternalizzato c’è un territorio di forte tradizione artigiana in grado di connettersi alle esigenze dei grandi contratti delle navi vacanza.

Lo schema di Bono è vincente e potrà probabilmente trovare spazio di espansione anche con Industry 4.0. Ma prendiamolo nella sua necessità e particolarità, non come modello per il futuro. Se non altro per i costi sociali che determina.

E veniamo ai “greghi”. La logistica portuale che trecento anni fa ha iniziato ad illuminare Trieste può essere un faro per il futuro, ma il suo cono è tutto da verificare. Di quale logistica parliamo e come questa logistica portuale si connette con le gerarchie del territorio regionale?

Trieste soffre del complesso di Maria Teresa. Si aspetta sempre una decisione politica che ne determini il futuro. Ma oggi non può essere più così.

Ci sono due visioni logistiche che riguardano l’ambito geografico del F-VG. Una è quella degli scambi tra l’Italia, l’est europeo e parte dell’Europa centrale, di riferimento prettamente autostradale e speriamo nel futuro anche ferroviario. L’altra è quella proposta dalla portualità triestina come snodo nord-sud, di fatto estero per estero, che cerca di farsi strada su un possibile mercato dove ci sono forti concorrenze non superabili da una decisione politica.

La logistica prevalente di terra, est-ovest e sud ovest-nord, è la sfiga-opportunità storica che ha coinvolto il Friuli, e non solo per le opportunità dei commerci. Lungo la catena della logistica di terra si è da sempre sviluppata anche l’imprenditorialità del Friuli che ne ha colto alcune occasioni, e che, eventualmente può anche avvalersi della portualità disponibile, ma non ne è dipendente.

Qui nasce lo scontro di potere in atto, in cui un manipolo di manager e politici tenta di imporre una visione falsa della realtà, allo scopo credo, tutto sommato non criminoso, di canalizzare alcune risorse ed imporsi come gruppo dirigente. Non si tratta di nulla di nuovo. Porto di Trieste, Generali e Fincantieri con le teste di cuoio dei “contractors” pordenonesi, sono in azione ma agiscono grazie alla debolezza di rappresentanza del territorio ed alla subornazione di altri deboli poteri politici.

Non ci vorrebbe molto per riequilibrare le idee e far capire quali spazi e relazioni sono più utili agli interessi generali ed alla dimensione geografica effettiva del Friuli e di Trieste.

Giorgio Cavallo 29 giugno 2017

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L'analisi di Giorgio Cavallo è stata pubblicata sul quotidiano IL MESSAGGERO VENETO (Udine) lunedì 3 luglio 2017 a pagina 22 con il titolo “La change di Trieste e la paura del Friuli di finire nell'angolo”.

La Redazione del Blog ringrazia Giorgio Cavallo per averle concesso la pubblicazione della sua ottima e precisa analisi economica/politica che svela  i retroscena politici  dello “show pubblicitario” di presentazione del rilancio dei “punti franchi” del Porto di Trieste.
 
Grazie Giorgio! Illuminante la tua analisi!

La Redazione del Blog
 

sabato 1 luglio 2017

IL FRIULI NON PUO' PAGARE LO SVILUPPO DEL PORTO TRIESTINO!!


Comitato per l'autonomia
e il rilancio del Friuli

COMUNICATO STAMPA

1 luglio 2017

IL FRIULI
(province di Udine, Pordenone e Gorizia)
NON PUO' PAGARE
LO SVILUPPO DEL PORTO TRIESTINO!
 

Fino a quando la politica regionale, sempre più triestinizzata continuerà a raccontare al milione di friulani la barzelletta che lo sviluppo di Trieste porterà beneficio all'intera regione, ossia al Friuli?
 
Noi vediamo altro!
 
I treni che partono dal porto di Trieste sono sigillati e non si fermano nel resto del territorio regionale che subisce esclusivamente una “inquinante servitù di passaggio”, con Udine che si vorrebbe ridotta a mero casello ferroviario.

L'industria friulana è stata invitata dagli operatori del porto triestino a trasferirsi nel retroterra portuale triestino per godere delle agevolazioni del porto franco. Questo significa proporre un impoverimento del tessuto produttivo friulano in terra friulana. Ossia, per essere più chiari, un aumento della disoccupazione in Friuli determinato dalla diminuzione di attività produttive che troveranno più conveniente sul piano fiscale utilizzare i benefici del porto franco triestino.

Nessun beneficio ne ricaverà l'interporto di Cervignano fino ad ora sempre snobbato dal Porto di Trieste.

La montagna friulana e il Friuli in difficoltà economica e sociale, luogo di progressivo decremento demografico e nuovamente terra di emigrazione, non potranno beneficiare di fondi regionali adeguati per il loro sviluppo perchè la regione sarà finanziariamente impegnata a “spendere e spandere” i soldi di tutti i cittadini della regione principalmente nel porto di Trieste erroneamente indicato dalla politica regionale triestinizzata come il motore dello sviluppo regionale.

Lo sviluppo del porto di Trieste (con i conseguenti elevatissimi finanziamenti regionali) in realtà andrà a beneficio solo di Trieste e di pochi altri singoli operatori, creando nello stesso tempo impoverimento nel resto della regione che si vedrà privato dei fondi regionali necessari per lo sviluppo del manifatturiero friulano (a cui serve raramente il porto di Trieste), dell'agroalimentare friulano (a cui non serve il porto di Trieste), del settore turistico friulano (a cui serve poco il porto di Trieste), per lo sviluppo della cultura, della ricerca e della innovazione in terra friulana (a cui, nuovamente, non serve il porto di Trieste).

Lo squilibrio, mai sanato, come le risorse destinate all'università, tra i fondi distribuiti dalla regione a Trieste a discapito del resto del territorio regionale, aumenterà in maniera esponenziale e diventerà ancora più pesante.

Il Friuli deve chiedere che lo sviluppo del porto di Trieste non avvenga, come si è detto, a carico del resto della regione e che ampie misure compensative devono essere previste perchè l'unico vantaggio dei friulani non potrà e non dovrà essere quello di trasferirsi a Trieste per regalare le loro braccia e il loro intelletto a questa città.

P.S. Ma con lo sviluppo del Porto Franco non vi saranno meno imposte versate nelle casse dello Stato (e quindi della Regione) per il solo vantaggio degli operatori che vi operano?

Per il COMITATO PER L'AUTONOMIA
E IL RILANCIO DEL FRIULI

Roberta Michieli
 
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Il Comunicato Stampa è stato pubblicato sul settimanale della Arcidiocesi di Udine, LA VITA CATTOLICA, mercoledì 19 luglio 2017 - rubrica "Giornale aperto" - con il titolo "Il Porto di Trieste non arricchisce il Friuli".
 
In calce alla lettera questo il commento aggiunto da Roberto Pensa, direttore responsabile del settimanale la Vita Cattolica:
 
"Nello speciale di questo numero, come già in precedenti servizi, cerchiamo di dare una risposta al quesito se il - porto regione - è realmente una opportunità per il Friuli. Sicuramente delle positive possibilità ci sono. Penso che vadano banditi sia l'ottuso entusiastico ottimismo privo di fondamenti che la chiusura critica. Il Friuli riuscirà a trarre vantaggio dallo sviluppo del corridoio ferroviario adriatico-baltico solo se saprà esprimere una regia strategica all'altezza, altrimenti altri si prenderanno tutti i vantaggi. Essendo un argomento economico di area vasta, fondamentale sarà l'impostazione che verrà data nella prossima legislatura regionale sulla questione friulana. E' evidente come Trieste si sia dotata di un organismo molto efficace, l'autorità portuale, per proporsi nel mondo come ambiente favorevole per investimenti manifatturieri. Per il Friuli chi lo farà? Le zone industriali rese più forti dall'aggregazione prevista dal progetto Rilancimpresa? Il ritorno di un ente di area vasta che rappresenta il Friuli ? Chi si candida alla guida della Regione dovrà dare queste risposte (R.P.)
 
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