Settimanale LA VITA CATTOLICA
Arcidiocesi di Udine
Venerdì 14 gennaio 2011
“Non si può pensare che la Tav esaurisca le necessità di mobilità dei cittadini e delle aziende del Friuli-V.G.
Quella linea avrà solo due stazioni passeggeri e nodi logistici per le merci in regione: Ronchi aeroporto e Aurisina-Trieste.
E tutto il resto?
Il rischio è proprio questo: trasformare il Friuli in un corridoio dove persone e merci passano veloci ma non lasciano sul territorio niente di positivo alle comunità e alle imprese locali.
La stessa preoccupazione - diventare un corridoio, questa volta di energia, a servizio di interessi di altri”
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EDITORIALE
SVILUPPO E AMBIENTE,
TORNI IL DIALOGO
di Roberto Pensa
I critici che gli contestavano l'inapplicabilità della sua «rivoluzionaria» teoria (che ispirò la rinascita degli Stati Uniti dopo la grande depressione del 1929) ad orizzonti temporali più ampi, il grande economista inglese John Maynard Keynes rispose con la celebre frase: «Nel lungo periodo siamo tutti morti». Con un classico humor britannico, esprimeva così la coscienza di essere interprete di una scienza non esatta, perché soggetta a troppe variabili e all'imprevedibilità dei comportamenti umani. E quanto avesse ragione, lo dimostra oggi il fatto che ben pochi economisti avevano previsto la grande crisi finanziaria della quale stiamo pagando ancora le conseguenze e di questi tempi si fatica a prevedere anche quello che succede da mattina a sera.
Chissà cosa direbbe però oggi, il più grande economista del XX secolo, se potesse commentare il più imponente piano di sviluppo delle infrastrutture di trasporto in atto in Friuli-Venezia Giulia (si stima un investimento complessivo di 6 miliardi euro da Venezia al confine sloveno). Negli ultimi giorni del 2010, infatti, Rete ferroviaria italiana ha consegnato ai sindaci dei territori interessati i progetti preliminari per la realizzazione del Corridoio V ferroviario ad alta velocità-alta capacità da Venezia a Trieste, la cosiddetta Tav. Ebbene, per la tratta più impegnativa (con tunnel e viadotti sul Carso) e costosa, la Ronchi-Trieste che poi dovrebbe ancora connettersi alla Slovenia, si stima che le opere potrebbero essere operative appena nel 2050!
Altro che lungo periodo! Qui stiamo parlando quasi di un'altra era. Pensiamo a com'era diverso il nostro Friuli 40 anni fa, nel 1971. Allora, con un prezzo del petrolio molto basso prima della crisi del 1973, le ferrovie erano considerate quasi un ferro vecchio da dismettere a vantaggio della mobilità stradale. È muta testimone di questa fase storica l'attuale strada «Ferrata», costruita sul rilevato della ferrovia direttissima Udine-Portogruaro, grande progetto (purtroppo) abbandonato a metà dell'opera negli anni '60. Quali analisi ci assicurano che i mastodontici progetti di oggi nel 2050 saranno ancora profittevoli e attuali dal punto di vista tecnologico, per il trasporto delle merci e delle persone? Chi può ragionevolmente fare una stima dei traffici proiettandosi così lontano nel tempo?
Ma soprattutto, è stata mai fatta una vera valutazione e discussione pubblica di possibili scenari e modelli alternativi? Purtroppo, quando si parla di grandi opere in Italia, la trasparenza, l'analisi razionale e la ricerca di coesione e condivisione con i territori interessati sono una chimera. Lo dimostra il proliferare di comitati di protesta in ogni angolo del Friuli. Per rimanere alle ferrovie, tra i 200 km all'ora della Tav e i 70/80 km/h (quando va bene) ai quali si viaggia sulle attuali linee come la Udine-Gorizia-Trieste e la Udine Venezia (non parliamo poi delle merci!), non può esistere una mediazione che si fondi sul miglioramento della rete esistente e che magari ci assicuri che, oltre ad andare un po' più veloci, i treni non si fermino quando d'inverno cadono appena 10 centimetri di neve, come è accaduto in dicembre? Anche perché, non si può pensare che la Tav esaurisca le necessità di mobilità dei cittadini e delle aziende del Friuli-V.G. Quella linea avrà solo due stazioni passeggeri e nodi logistici per le merci in regione: Ronchi aeroporto e Aurisina-Trieste. E tutto il resto?
Il rischio è proprio questo: trasformare il Friuli in un corridoio dove persone e merci passano veloci ma non lasciano sul territorio niente di positivo alle comunità e alle imprese locali. Giustamente le piccole imprese e gli artigiani della Pedemontana si sono rivoltati contro la nuova autostrada Cimpello-Sequals. Un'arteria progettata senza svincoli intermedi e a pedaggio, quindi inutile per sgravare la viabilità delle comunità locali e magari creare in loco nuove occasioni di sviluppo.
La stessa preoccupazione - diventare un corridoio, questa volta di energia, a servizio di interessi di altri - riunirà nuovamente migliaia di persone in Carnia, questa volta a Tolmezzo sabato 15 gennaio, per protestare contro l'elettrodotto Wurmlach-Somplago, che deturperebbe irrimediabilmente la Valle del But. Sulla questione, il presidente della Regione Renzo Tondo nella sua conferenza stampa di fine anno ha pronunciato parole sagge: «Approveremo in giunta la dichiarazione di strategicità dell'elettrodotto dall'Austria a Somplago alla condizione, però, che la ricaduta sia sul territorio».
Ebbene, in. questo numero de «la Vita Cattolica», un alto funzionario dell'Unione Europea ribadisce che Bruxelles non pemetterà ai gestori di una linea transfrontaliera di vendere energia direttamente ai privati a costi minori di quelli del mercato nazionale italiano. Solo i gestori della linea, potranno trarne un vantaggio per un certo numero di anni in modo da recuperare il costo dell'investimento e un giusto tasso di remunerazione finanziaria, sotto il controllo della Ue. Da ciò si possono trarre due conclusioni: la gente della Valle del But non potrà avere alcun vantaggio (bollette più basse, nuovi posti di lavoro dall'insediamento di nuove aziende attratte dal minor costo dell'energia...) dalla realizzazione dell'elettrodotto. In secondo luogo, poiché per i gestori il rientro dell'investimento e di una giusta remunerazione è garantito dai meccanismi previsti dall'Unione Europea, cade anche l'alibi per non realizzare l'elettrodotto interrato. Sarebbe più costoso sì, ma anche un punto di mediazione tra esigenze della produzione e dell'ambiente che la gente ha già dimostrato di poter accettare. I proponenti del progetto avrebbero a questo punto solo il problema di veder rinviato di qualche anno il rientro completo dei loro investimenti. È un ostacolo davvero insormontabile?
Roberto Pensa
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