Il Comitato per l’autonomia annuncia le sue proposte alla Regione: «Priorità a chi sa il friulano nelle scuole e negli uffici»
MessaggeroVeneto del 23 marzo 2010 di Nicola Cossar
UDINE. Uno scossone forte al dibattito sulla marilenghe. Sì, il Comitato per l’autonomia del Friuli guidato da Gianfranco D’Aronco, pur senza scatenare battaglie, un forte scossone al dibattito sulla tutela e sulla promozione della lingua e della cultura friulane ieri l’ha proprio dato. Il percorso-missione è noto: lavorare insieme per giungere, dopo troppi colpevoli ritardi, alla piena attuazione della legge nazionale 482 e della legge regionale 29 in tema di tutela, scuola e informazione. Mancano passaggi: il primo e fondamentale, come ha indicato la Corte costituzionale, è quello delle indispensabili norme di attuazione dello statuto di specialità della nostra Regione. E proprio qui il Comitato (ieri ospite dell’arcidiocesi e della Vita cattolica) ha presentato la sua proposta in tre articoli sulla tutela della lingua friulana che pone un problema di non poco conto, come spiegano i parlamentari Saro, Pittoni e Pegorer nelle riflessioni nel servizio qui accanto.
I tre capitoli. Di cosa si tratta? Nell’a articolo 2 si prefigura una sorta di canale preferenziale per gli insegnanti che conoscono la lingua e la cultura friulane quando si tratta di assegnare posti liberi e vacanti nel mondo della scuola, introducendo così distinguo, privilegi che nel quadro costituzionale e istituzionale di oggi non possono passare. Quando si arriverà a una riforma della scuola e a una sorta di reclutamento regionale, magari le cose saranno diverse, ma adesso no. La proposta va di pari passo con quella dell’articolo 3, che si occupa degli uffici pubblici, dove, in soldoni, si darebbe «precedenza assoluta», soprattutto nella sportellistica, ai friulanofoni. Con una novità. L’ultimo comma dell’articolo 3 propone che i Comuni delle località friulane rilascino, su richiesta degli interessati, carte d’identità in forma bilingue italiano-friulano.
«Fasìn di bessoi». Il dibattito sull’identità e sulla marilenghe continua e si accende alla luce dei rapporti con la Regione e con lo Stato. Anche perché – com’è stato sottolineato un po’ da tutti ieri – il futuro del friulano è in mano della Regione. «In questi momenti di crisi e nella prospettiva dei nuovi scenari di federalismo e decentramento – ha detto con molta chiarezza il senatore del Pdl Ferruccio Saro – il dialogo non è più con Roma, ma con Trieste. Sarà l’amministrazione regionale, in futuro, a occuparsi della scuola e della cultura. Verso Trieste ci conduce la strada delle norme di attuazione dello statuto di specialità, come indicato dalla Corte costituzionale. Questi sono i punti fermi del dibattito sul friulano».
Come dire, citando il presidente della Provincia di Udine Pietro Fontanini (nella Paritetica con l’onorevole Collino e il professor Coen), che «bisogna fare ancora di bessòi», incalzando «una Regione distratta nei confronti del friulano e con l’assessore alla Cultura Molinaro che ci bistratta. Va dunque fatta una riflessione prima di tutto in casa nostra», ha sottolineato Fontanini.
Il patriarca. «Preferisco leggere i miei interventi, come il Papa», ha detto con pacata simpatia, introducendo i lavori, il professor Gianfranco D’Aronco, il patriarca dell’autonomismo, non dal punto di vista anagrafico, ma da quello dell’autorità intellettuale e morale. Confortato dalla folta e qualificata presenza all’incontro, D’Aronco ha detto: «I Comuni del Friuli e le famiglie si sono ripetutamente e chiaramente espressi. Questo ritardo nell’applicazione di specifiche leggi non trova giustificazione. Né trovano giustificazione i tagli apportati ai relativi stanziamenti. È vero che attraversiamo una crisi generale: ma si trovano i mezzi per tutt’altre cose, meno importanti per noi. Per le cose dello spirito, per ciò che costituisce la difesa della carta d’identità del nostro popolo, la lingua, c’è sempre scarsezza. Questa unione che si crea oggi, come altre volte, tra rappresentanti responsabili di varia provenienza e di particolare prestigio dovrebbe dare una scossa a chi può. Chiediamo, dopo tutto, ciò che ci spetta di diritto».
Friulani e sloveni. I finanziamenti sulla 482 dal ’99 a oggi sono passati da 20 a 2 milioni di euro, come ha ricordato il professor Guglielmo Cevolin, mentre la minoranza slovena («superprotetta, senza polemica») ha avuto finanziamenti diversi (legge 38) dai friulani. Ultimamente avevano 5 milioni di euro, il governo Berlusconi ha tolto un milione e subito Lubiana ha chiamato Roma: il milione è stato reintegrato. Nessuna invidia, ma – come ha detto l’onorevole Arnaldo Baracetti, che coordinava il dibattito – «va preso atto che gli sloveni hanno una mamma, noi una matrigna». Che fare, allora? Cevolin: serve un metodo per ottenere un avanzamento del grado di tutela del friulano, frenando prima di tutto lo svuotamento dei fondi e poi magari reintegrandoli, perché sostenendo la lingua e la cultura friulane sosteniamo l’identità e la specificità del Friuli Venezia Giulia».
La Corte costituzionale. La sentenza del 2009 ha indicato nell’articolo 65 del nostro statuto la via per ottenere una disciplina organica della tutela della lingua e della cultura friulane, al pari di altre minoranze linguistiche, indicando chiaramente che la via è quella delle norme di attuazione, ovvero di rapporto diretto con la Regione. Come del resto aveva detto Saro.
Friulano e Rai. Lo stesso senatore ha chiarito alcune cose sulla storia infinita friulano-Rai: «È vero che ci sono ritardi e incomprensioni con la Rai per i programmi in marilenghe, ma Trieste non c’entra, tutto dipende da Roma: fino a che il ministro Tremonti non firmerà la convenzione nazionale non ci potranno essere i passi successivi che interessano a noi».
Scuola e Università. Tutti d’accordo: la scuola è il futuro del friulano. Lo hanno ribadito Fontanini, Federico Vicario per l’ateneo udinese e poi William Cisilino. Il presidente dell’Istitût ladin furlan Pre Checo Placerean ha ricordato che la Regione non deve solo coordinare, ma ha anche competenze sull’insegnamento. Per questo, in prospettiva, le norme di attuazione diventano utili come laboratorio, mettendo parimenti a frutto la lezione che ci viene dalla Corte costituzionale.
«L’ateneo friulano è virtuoso e va finanziato di più e meglio». È il pensiero del senatore leghista Mario Pittoni, il quale ha indicato alcune strategie di sostegno: un riequilibrio del fondo unico che dia a Udine (sottofinanziata del 17%) quello che le spetta e la conseguente ottimizzazione delle risorse di merito, fino a un finanziamento che, negli anni, vada dall’attuale 7% al 30%.
La Chiesa e Udine. «La Chiesa friulana aderisce ai principii e guarda con favore il lavoro di quanti s’impegnano per la difesa e la promozione della lingua e della cultura di un popolo, di ogni popolo – ha detto il vicario ad omnia monsignor Giulio Gherbezza –. Gli attori della vicenda sono altri, ma la Chiesa apprezza e sostiene i loro sforzi». «E Udine – ha aggiunto l’assessore Mariagrazia Santoro – è orgogliosa di essere protagonista di questo percorso che la fa sentire sempre più capitale del Friuli, in prima linea in una battaglia civile per la cultura e l’identità di questa terra».
L’appello. A Roberto Dominici tirare le conclusioni: «In questa significativa tappa del nostro percorso chiediamo a tutti i politici di aiutarci e sostenerci. Un cammino che ha due tratti distintivi: un’azione verso il mondo stesso della politica e un’azione nei confronti della Regione, il nostro interlocutore privilegiato. Verso di essa c’è la nostra massima disponibilità per un lavoro super partes».
(23 marzo 2010)
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