domenica 24 luglio 2011

Perchè NO alla fusione dei Comuni.



“Fondere i Comuni non ha senso, è come mettere l'identità nel bicchiere, scuotere e pensare che ne esca un misto.  E' vero,"piccolo è bello" non basta più: la soluzione però non sta nel diventare grandi quanto nel diventare più forti.”
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Perché NO
alla fusione dei Comuni.
di
Alberto BERGAMIN
Componente del Consiglio delle Autonomie Locali
Componente del Direttivo regionale dell'ANCI
Sindaco di Medea

Nell'incrociarsi del voto sulla manovra Tremonti a Roma e sull'assestamento del bilancio regionale a Trieste si fa strada la percezione di una regione fuori dal contesto.
Parliamo di Enti Locali visto che della loro riforma si parla da tempo, troppo, e appunto tra Roma e Trieste, ieri, sono arrivate le prime, contraddittorie risposte.
Il Parlamento vota una norma sui piccoli Comuni che individua nell'esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata il perno del nuovo assetto nazionale delle autonomie locali. Associazionismo e scadenze definite: entro il 2011 la gestione associata di due funzioni fondamentali, entro il 2012 di quattro, entro il 2013 di tutte e sei.
E in Friuli Venezia Giulia cosa si fa? Si vota una norma che pare scritta qualche anno fa, agli albori del dibattito sulla riforma degli enti locali, che individua nelle fusioni tra piccoli Comuni il cuore della riforma. Una norma, si badi bene, che non traccia un percorso ma enuncia l'impegno della Regione a "favorire" la fusione dei comuni "mediante la promozione di una cultura sovracomunale" ed a "incentivare" (bontà sua) "percorsi di sviluppo del territorio e di potenziamento dei servizi a livello sovracomunale". Ancora meglio si fa col comma 2 dell'articolo in questione che recita: "Per la promozione di cui al comma 2 la Regione supporta i Comuni, anche attraverso l'organizzazione di specifici eventi".
Ma come? E' vero che il Friuli Venezia Giulia ha competenza esclusiva in materia di ordinamento delle autonomie locali ma è altrettanto vero che una classe politica accorta deve saper annusare l'aria, tener conto della direzione nella quale soffia il vento; deve soprattutto saper governare "con" la sua gente, non "contro". E' vero anche che, nella difficoltà di proporre un disegno organico di riforma degli enti locali e mettendo sul tavolo solo un primo, parziale tassello, logica e correttezza imporrebbero che se ne discutesse con l'ANCI e con il Consiglio delle Autonomie Locali. Niente di tutto ciò.
La Giunta regionale, dopo aver precipitosamente spazzato via le parti più innovative della riforma varata dalla Giunta Illy (con la legge n. 1 del 2006) e successivamente commissariato le Comunità Montane per una riforma che ad oggi nemmeno si intravvede, con un'incredibile leggerezza e calpestando elementari regole istituzionali poste alla base dei rapporti tra Enti aventi lo stesso rango costituzionale, compie oggi, con un emendamento alla legge di assestamento del bilancio, la scelta delle fusioni per i piccoli Comuni.
A mio giudizio, quello del Sindaco di un piccolo Comune, ciò che serve oggi per i piccoli Comuni non è imboccare una scorciatoria ma una nuova politica regionale perché i piccoli Comuni costituiscono l'ossatura delle autonomie locali e sono determinanti per l'attuazione del decentramento, delle politiche di sviluppo locale, per il mantenimento di livelli minimi dei servizi pubblici essenziali.
Per consentire di svolgere al meglio queste loro funzioni determinanti e per riempire di contenuti il sistema regionale, la strada giusta non è la cancellazione delle loro identità; è viceversa l'elaborazione di organiche politiche di sviluppo.
A costo di ripetere cose già dette in altre occasioni, diciamo che troppo spesso il legislatore - che talora assume atteggiamenti non solo superficiali ma anche incomprensibilmente punitivi - si dimentica che i piccoli Comuni hanno caratteristiche strutturali molto differenti da quelle delle città, grandi o meno grandi che siano, e che queste devono essere non subite ma aggredite per consentire l'adempimento dei numerosi impegni amministrativi che la legge impone.
Non la loro cancellazione, quindi, ma quello che è necessario e possibile fare oggi è dettare una normativa differenziata per i Piccoli Comuni.
In Friuli Venezia Giulia, prima di imboccare la scorciatoia della loro cancellazione, va verificata la possibilità di una revisione organica della normativa regionale per i Comuni fino a 3.000 abitanti che preveda:
1)  il rifinanziamento del fondo straordinario degli investimenti, da destinare in gran parte ai Comuni di minore dimensione demografica (le decine e decine di ordini del giorno votati nei Consigli Comunali in questo senso rappresentano un segnale eloquente della gravita della situazione);
2)  la riduzione dell'I.V.A. per i lavori pubblici e per i servizi che vengono erogati dagli enti (per quest'ultimo aspetto mi pare che siamo in dirittura di arrivo);
3)  normative differenziate per i lavori pubblici. Non sembra essere più sufficiente una diversificazione normativa legata soltanto agli importi delle opere da realizzare o dei servizi da acquisire sul mercato. A questo criterio occorre legare quello della capacità organizzativa che impone una riflessione su modelli gestionali diversi per quei Comuni che possono contare su pochissime unità di personale, poco specializzate, a cui è demandato il compito di gestire tutte le funzioni amministrative di cui il comune è titolare;
4)  politiche generali di sostegno a favore dei Comuni minori con incentivi fiscali a favore delle famiglie e delle attività commerciali e politiche di tutela e sostegno del patrimonio culturale, artistico e paesaggistico;
5)  progetti mirati al recupero o alla manutenzione del territorio. Occorre evitare di caricare esclusivamente sulle spalle del Comune, già in difficoltà, gli oneri della gestione del territorio (si pensi solo alle problematiche tuttora aperte riguardo alla gestione e manutenzione delle aree demaniali passate dallo Stato alla Regione);
6)  la creazione di un fondo regionale "certo" a favore della gestione in forma associata dei servizi e delle funzioni in vista di un auspicabile, consistente aumento dei processi di aggregazione fra i Comuni. La gestione associata volontaria è la risposta intelligente per salvaguardare i valori e le tradizioni di ciascuno ed assicurare efficienza al sistema;
7)  una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse umane, prevedendo disposizioni specifiche che amplino l'autonomia degli enti nella fase di contrattazione;
8)  evitare che il digital divide spacchi la regione lungo la dorsale che separa i piccoli dai grandi comuni: questo significa ad esempio sbloccare le condizioni per far funzionare la banda larga anche nei tenitori dove c'è meno mercato.

L'abbiamo gi
à detto in altre occasioni. Lo ripetiamo perché una riflessione attenta va fatta per evitare errori che potrebbero compromettere il futuro della comunità regionale.
C'è un cambio di ciclo evidente nella società. Negli ultimi 10-15 anni tutto è stato "centrifugo": la globalizzazione, la mobilità esterna.
Ora c'è un ritorno "centripeto" con la rivalutazione del locale in senso economico ma anche identitario.
Si riparte dai piccoli Comuni con la tendenza a tornare nei borghi perché lì c'è qualità della vita, la società è anche orizzontale non solo verticale. C'è un ritorno al sociale rispetto alla centralità dell'economia.
Il sociale è una componente dello sviluppo, la coesione diventa altrettanto importante dell'economia.
L'attualità vede il passaggio dalle "bolle" ai "fondamentali". Se Dio vuole si sono sgonfiate le bolle della finanza, delle banche, del calcio...
Se si torna al territorio, alle cose quotidiane, alla qualità vera, al senso che le cose si misurano - e non si raccontano solamente - è un ritorno al fondamentale della "qualità" e dei "rapporti" ed il piccolo Comune è il luogo naturale in cui il ritorno ai fondamentali della convivenza si fa più sentire.
Già la città è più fumosa, più "panna montata" come dice qualche filosofo. Le bolle si sono sgonfiate o si stanno sgonfiando, ma "fare bolle" è più facile nelle grandi città.
Fondere i Comuni non ha senso, è come mettere l'identità nel bicchiere, scuotere e pensare che ne esca un misto.
E' vero,"piccolo è bello" non basta più: la soluzione però non sta nel diventare grandi quanto nel diventare più forti.
Medea, 15 luglio 2011

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Il documento è pubblicato sul sito internet
del settimanale dell’Arcidiocesi di Udine
"LA VITA CATTOLICA"
Sezione documenti



1 commento:

  1. Riceviamo dal Signor Ubaldo Muzzatti, che ringraziamo, il commento che di seguito pubblichiamo:

    "Trovo molto interessante e pienamente condivisibile l’intervento del sindaco di Medea Alberto BERGAMIN.
    Però qualcosa bisogna fare: com’è, l’organizzazione amministrativa regionale non regge più, per diversi motivi.
    Su questo, io ho condotto qualche ricerca studiando i sistemi amministrativi dei nostri vicini (Austria, Germania, Svizzera, P.A. di Trento, P.A. di Bolzano) e meno vicini (R.A. Valle d’Aosta, Francia, Spagna, Regno Unito…).
    E mi son fatto l’idea che una soluzione, praticabile e onorevole, potrebbe esserci anche per la nostra Regione, mediante l’adattamento in loco di soluzioni che già hanno dato buona prova.
    E mi spiace che le varie proposte che leggo siano assai distanti da un’ architettura efficace, che porti a soluzioni i molti problemi che si devono risolvere contemporaneamente con l’auspicata e improcrastinabile riforma delle autonomie locali. Che è la RIFORMA, non una delle riforme.
    Metterei volentieri a disposizione un sunto delle mie ricerche, ma so che è difficile poter dare una mano, anche se disinteressata e mossa solo dalla passione.

    Ogni bene

    Ubaldo Muzzatti"

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