“Chi chiede di accentrare tutto
non lo fa in realtà per risparmiare,
ma per spostare
gli equilibri decisionali vigenti.”
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La VITA CATTOLICA
Settimanale del Friuli
Arcidiocesi di Udine
Venerdì 28 gennaio 2011
ATTENTI AI FINTI
CACCIATORI DI SPRECHI
Editoriale di Roberto Pensa
Per la sanità regionale è arrivato il momento di fare un «tagliando». Lo ha affermato l'assessore regionale alla Salute, Vladimir Kosic, spiegando martedì 25 gennaio ai consiglieri regionali della terza Commissione le linee di gestione per il 2011 di quella rete di servizi che dovrebbe assicurare a tutti prevenzione e cure appropriate. Ormai da 30 anni a questa parte, quando qualcuno si propone di fare un «tagliando» o una revisione della sanità, significa che ci si appresta a tagliare qualcosa. Il problema delle risorse, ha chiarito lo stesso assessore, è centrale: «Ogni 15 anni, c'è bisogno di fare il tagliando, per migliorare un sistema che non può rimanere immobile, perché non si può spendere come 15 anni fa». D'altra parte, i dati parlano chiaro.
Nel 2001 la spesa sanitaria regionale ammontava ad 1 miliardo e 365 milioni di euro. Nel 2010 è arrivata a circa 2 miliardi e 245 milioni. Insomma, manca un soffio al raddoppio, nonostante tutte le misure di contenimento della spesa e della durata delle degenze applicate nel decennio. Ben di più dei tassi di inflazione, segno dei bisogni di salute sempre più complessi di una popolazione che invecchia, ma anche spia di una crescente applicazione di tecnologia che, se da un lato consente risultati di eccellenza, dall'altro assorbe una gran quantità di risorse.
Questa volta l'approccio ai «tagli» sembra essere più soft, ancorché potenzialmente non meno doloroso. Non si usa la «mannaia» per tagliare interi ospedali, come negli anni '80 e '90, ma il cesello per valutare i volumi di attività di ciascun nosocomio e struttura sanitaria territoriale e comprendere come siano strutturate, all'interno di ogni Azienda, le aree dirigenziali, per andare a snidare gli sprechi.
Non tutte le «razionalizzazioni», però, rappresentano una semplice «sforbiciata» di inefficienze. È quindi fondamentale che l'opinione pubblica e le autonomie locali (province e comuni) tengano alta l'attenzione su ciò che accade nella sanità sul territorio, specie quello più penalizzato (come la montagna) o periferico.
Particolare attenzione merita, senz'altro, una proposta già avanzata a suo tempo dalla precedente giunta regionale guidata da Riccardo Illy, ma che mantiene tutt'ora un'ampia gamma politicamente trasversale di sostenitori: la creazione di un'unica azienda socio-sanitaria per tutto il Friuli-Venezia Giulia. Tant'è che proprio prima che Kosic prendesse la parola, alla terza commissione era stata presentata una proposta di legge in tal senso da parte dei consiglieri del Pdl Dal Mas e Pedicini.
A prima vista è una proposta accattivante: se bisogna risparmiare, perché non partire dal «pletorico sistema vigente, strutturato tra pubblico e privato su 18 aziende»? Pertanto, hanno sostenuto i proponenti, «l'obiettivo è la riqualificazione delle strutture organizzative e amministrative del servizio sanitario regionale, finalizzata a recuperare risorse per migliorare la qualità dei servizi».
C'è però qualcosa che non quadra. Innanzitutto sappiamo che esiste oggi un forte squilibrio nella ripartizione dei fondi, che la giunta Tondo si è impegnata a riequilibrare (anche se su tempi molto lunghi). Per un cittadino triestino, si spendono all'anno per la sanità 2550 euro. Chi risiede in provincia di Udine ne ha a disposizione solo 1933, e peggio ancora va a Pordenone (1724 euro) e soprattutto a Gorizia (1628). Dalla Venezia Giulia si difendono dicendo che lì, la popolazione è più anziana e ha maggiori necessità. Ma si capisce che il motivo di fondo è un eccessivo accentramento storico di servizi a Trieste; al quale non si riesce (o non si vuole) porre rimedio.
Il punto è questo: oggi conosciamo questi dati perché il territorio regionale è suddiviso in 6 aziende sanitarie, ognuna con il proprio bilancio. Domani, con un'azienda unica, la ripartizione delle risorse sarebbe così trasparente, ancorché ancora iniqua?
Il secondo motivo è forse più filosofico, anche se non meno rilevante. Le vecchie Usl nacquero come organismi nei quali le istituzioni locali (in primis i comuni) dettavano le priorità nelle politiche sanitarie. Era una esagerazione e l'eccessivo peso della politica generava enormi sprechi. Con l'aziendalizzazione si è cercato di trovare un equilibrio tra il peso della politica e le esigenze di una gestione tecnocratica basata su principi di efficienza. Ma domani, di fronte alla dirigenza di un'Azienda sanitaria regionale unica, quale ascolto potranno trovare ad esempio i sindaci e i cittadini della Carnia o delle Valli del Natisone?
L'esperienza insegna che più i centri decisionali si allontanano geograficamente, più cresce l'abbandono del territorio.
Oggi le tecnologie gestionali telematiche permettono di razionalizzare molte funzioni senza per forza dover unificare tutti i centri decisionali.
Chi chiede di accentrare tutto (la sanità, ma analoghe proposte sono state fatte per le Università, per gli Erdisu, per le Camere di commercio...) non lo fa in realtà per risparmiare, ma per spostare gli equilibri decisionali vigenti.
Fortunatamente, la proposta di legge sull'azienda sanitaria unica non piace nemmeno alla maggioranza del Pdl. Kosic e il presidente Tondo sono molto più cauti, anche se una corrente nel centrodestra vorrebbe ridurre a 3 le Ass regionali. Il Friuli, comunque, deve tenere gli occhi ben aperti se vuole ricevere quello che gli spetta nella corretta impostazione di un federalismo solidale tra le diverse realtà territoriali che compongono la Regione.
Roberto Pensa
Editoriale da incorniciare!
RispondiEliminaLa crisi economica è sfruttata dalla politica regionale, per cercare di accentrare in poche mani l'ambito decisionale di ogni settore e cancellare l'indispensabile e democratica autonomia dei diversi territori che compongono la nostra regione.
Troppo comodo chiedere a Roma il Federalismo e poi fare i super accentratori in Regione!
Troppo comodo chiedere autonomia a Roma e poi negarla ai diversi territori della nostra Regione!
Ma soprattutto è antidemocratico!