sabato 24 febbraio 2018

REGIONE FRIULI-VG: "2008-2018, FINE DELLA CRISI O FINE DI UN TERRITORIO?" di Prof. SANDRO FABBRO


Udine, Piazza Libertà, con in primo piano la bandiera del Friuli

Foto di Roberta Michieli 

 
REGIONE FRIULI-VG
 

2008-2018: fine della crisi

o fine di un territorio?

Una via credibile per uscire

da una situazione disastrosa.


di Sandro Fabbro
 

Sono passati dieci anni dal fatidico anno di avvio di una crisi lunga e severa. La nostra regione ed il Friuli in particolare, l’hanno subita duramente. Ma ne stiamo uscendo? E se sì, ne stiamo uscendo bene? Importanti soggetti pubblici e privati diffondono messaggi molto rassicuranti: “Il Friuli corre più del Veneto”, titolava il 24 gennaio il MV a presentazione di un rapporto, corredato anche da commenti entusiastici di alcuni analisti economici, sulla buona performance delle 500 imprese regionali più grandi. Un altro rapporto, quello della Regione sul mercato del lavoro 2017, segnala che, non solo siamo tornati al tasso di occupati del pre-crisi (non importa se con lavori più precari e saltuari e con un monte ore lavorate del tutto inferiore), ma, addirittura, che le imprese stanno cercando lavoratori e non li trovano (per ben 20mila posti di lavoro sembra). Ma agli analisti economici, alla stampa e, soprattutto, alla Regione non dovrebbe sfuggire che la “ripresa” del FVG, se c’è, vale per una parte minima del territorio e delle imprese regionali (prevalentemente imprese esportatrici) ma non per tutto il tessuto produttivo (91mila imprese attive nel 2016) né per tutto il sistema sociale e territoriale regionale che continua, invece, a registrare una “contrazione” strutturale nel suo complesso e, in alcune sue parti, anche molto severa. Il dato vero, cioè, è che, se la crisi si sta ritirando, ciò avviene, in FVG, troppo in ritardo, più lentamente della media nazionale e lasciando indietro parti importanti di società, di territorio e di economie locali. Il Pil regionale, dopo anni di valori negativi e peggiori della media nazionale (-8,2% in FVG, dal 2008 al 2016, a fronte del -6,8% in Italia, ma dove il Trentino Alto Adige è invece cresciuto di quasi il 3%), si è portato, negli ultimi anni, sopra lo zero ma, nel 2016, è cresciuto appena dello 0,5% a fronte di un Pil nazionale cresciuto dello 0,9%. L’occupazione, a partire dal 2014, anno del picco negativo, ha cominciato a riprendersi ma con una velocità inferiore a quella nazionale (al 17° posto, tra le regioni italiane). Dopo i numeri negativi degli anni prima, nel 2016 abbiamo perso ancora, a saldo, altre 642 imprese! Ma ciò che deve preoccupare di più chi guarda alla tenuta complessiva del sistema FVG, è l’emergenza demografica determinata dai quattro flagelli biblici che operano ormai congiuntamente: denatalità, invecchiamento, spopolamento e nuova emigrazione. C’erano anche prima della crisi, certo. Ma l’esodo di persone verso l’estero, in particolare di giovani, in percentuale pari al doppio di quella italiana (rapporto Italiani nel Mondo, 2016) e indici di vecchiaia ormai tra i più alti d’Europa, sono decisamente peggiorati a seguito della crisi. I “danni” di dieci anni di crisi, stanno, quindi, diventando “cronici” e di “sistema” e stanno assumendo un carattere permanente e pervasivo. L’impoverimento economico si sta trasformando, cioè, in degrado del “capitale territoriale” complessivo (umano, ambientale, insediativo) e ciò rende, quei danni, più difficilmente rimovibili.
La prima cosa da fare è, quindi, non esaltarsi al primo indicatore positivo né tantomeno sparare proposte a casaccio ma capire bene le ragioni di questo stato di cose.
Prima di tutto, bisogna capire perché il FVG sia andato peggio della media italiana e ne stia uscendo più lentamente. Non credo, come si è sostenuto per anni, che il sistema produttivo regionale abbia particolari colpe. O almeno non ne ha in misura superiore ad altre aree e regioni. Guardiamo invece cosa ha fatto la Regione. In questi dieci anni di crisi, le politiche regionali sono rimaste pressoché quelle storiche ma con meno risorse e con investimenti sul territorio ridotti della metà (in FVG, ben un miliardo di investimenti pubblici in meno, stima la CGIA di Mestre) che, messi nei settori giusti, ne potevano attivare altri due o tre di privati. La Regione, cioè, prima non ha “visto” la crisi e poi, quando l’ha vista, non l’ha contrastata. In una prima fase cioè, diciamo fino al 2011, l’ha rimossa (l’obiettivo principale era ridurre il debito regionale e non tanto rilanciare l’economia). Poi, dal 2011, ha accettato, senza fiatare, le pesanti contribuzioni che i governi nazionali, a vario titolo, le hanno imposto e che ne hanno decurtato, di diversi miliardi, la capacità di spesa (si vedano i dati presentati, nel convegno AFE del 3 marzo 2017, dall’ex consigliere regionale G. Cavallo e disponibili in rete, ma anche quanto sostiene, nel suo sito web, G. Moretton, già vicepresidente della Regione FVG nella Giunta Illy). La Regione, cioè, pur sapendo che la crisi imperversava, non l’ha contrastata! E non l’ha fatto perché ha “dovuto” contribuire (sembra in misura doppia rispetto a quanto le sarebbe spettato di dare), al risanamento del debito pubblico nazionale. Doveva farlo? E proprio in quella misura? E contro gli interessi della regione? Una risposta ora non risolverà i danni prodotti negli anni ma almeno chiarirà che, dietro i nostri problemi di oggi, non c’è un destino cinico e baro ma ci sono colpe politiche e personali ben precise che potevano essere assolutamente evitate.
La conclusione è che, quel differenziale di emergenza demografica e socioeconomica e di ritardo nell’uscita dalla crisi di cui si è detto sopra, sono dovuti ad una mancata risposta, alla crisi, nei tempi e nei modi dovuti, da parte di chi ha governato la Regione Autonoma FVG.
Con che diritto, quindi, le maggioranze di centro-destra e di centro-sinistra, responsabili di questo “decennio perduto”, parlano di Autonomia, se non l’hanno usata per contrastare la crisi in atto? Con che diritto propongono nuove politiche di sviluppo (da “fabbrica 4.0”, alla salvifica “nuova via della seta”; dal rilancio della filiera turistica a quella agroalimentare ecc.) se, prima di tutto, non si chiedono perché siamo andati peggio della media nazionale e perché stiamo uscendo tardi e male dalla crisi? Senza risposta a queste domande ogni proposta preelettorale sulle nuove politiche socioeconomiche regionali va rigettata perché evasiva o salottiera. Poniamo, invece, noi queste domande ai prossimi candidati alla presidenza della Regione e imponiamo, come autonomisti, una nostra agenda politico-economica credibile. L’unico serio programma di fuoriuscita dalla crisi è quello che: a. prima di tutto ristabilisce la verità delle cose e chiarisce perché oggi il FVG non può vantare performance simili a quelle del Trentino AA; b. si pone seriamente il problema di ripristinare in pochi anni (per evitare la cronicizzazione dei problemi) le necessarie condizioni di base –in primis demografiche e di coesione sociale e territoriale- per ripartire. A tal fine, un massiccio e tempestivo piano straordinario di investimenti (da finanziare fermando l’emorragia finanziaria verso lo stato, richiedendo indietro almeno parte del maltolto e attivando tutte le risorse pubbliche e private che si possono attivare) destinato a rendere più sicuro, efficiente e attrattivo, il nostro territorio, può generare migliaia di nuovi posti di lavoro per giovani, donne e disoccupati.
 
Udine, 20 febbraio 2018
 
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Il Prof. Sandro Fabbro, che ringraziamo per averci concesso la pubblicazione della sua precisa e puntale analisi economica e politica, è docente presso l'Università di Udine. Dal 1995 tiene corsi di Pianificazione territoriale, di Politiche urbane e territoriali e di Tecnica Urbanistica presso i Corsi di Laurea in Ingegneria Civile ed in Ingegneria dell'Ambiente e delle Risorse e di Urbanistica presso il Corso di Laurea in Scienza dell'Architettura.

La Redazione del Blog
 

 

2 commenti:

  1. Non servono commenti tanto è "illuminante" l'analisi del Prof. Sandro Fabbro!! Bravo!

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  2. Questa crisi, in regione ha colpito particolarmente il Friuli (province di Udine, Pordenone e Gorizia) aggravando di molto la "questione Friuli".

    Trieste si è invece salvata da questa crisi soprattutto grazie a due fattori: 1) è una città di dipendenti pubblici e pensionati che notoriamente non subiscono licenziamenti... 2) ha ottenuto finanziamenti regionali e statali in misura maggiore del resto della regione: questo ha reso possibile investimenti che non ci sono invece stati in Friuli.

    Trieste dunque ha patito la crisi in maniera di gran lungo minore del resto della regione. Ora il Friuli, alle prossime elezione regionali del 29 aprile 2018, dovrà scegliere una classe politica regionale più attenta ad una più equa distribuzione dei finanziamenti sul territorio e meno triestinocentrica.

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