Comunicato
Stampa
del
14 giugno 2016
L'ultimo
debito dello Stato italiano
verso
il Friuli
Quando
lo Stato italiano cominciò a trasformare il proprio esercito,
abolendo (più esattamente “sospendendo”) il servizio di leva e
chiudendo decine e decine di caserme sul territorio friulano, in
molti immaginarono che a questa scelta potesse corrispondere una
grande opportunità di sviluppo.
Meno
servitù militari, minori condizionamenti urbanistici, caserme e
poligoni militari da poter trasformare in case, fabbriche, piazze e
luoghi di socializzazione erano l'aspetto positivo della
trasformazione che tutti immaginavano.
A
distanza di quindici anni dobbiamo renderci conto che la crisi
economica che imperversa dal 2008, la mancanza di adeguate risorse
per gli enti locali e la crisi demografica in atto hanno impedito lo
sviluppo tanto atteso ed hanno evidenziato l'aspetto negativo di
quella trasformazione: ad ogni chiusura di caserma, ad ogni
trasferimento di reparto fuori regione ha corrisposto la chiusura di
bar e pizzerie, la crisi di fornitori e servizi e il trasferimento di
famiglie di ufficiali e sott'ufficiali con la perdita di decine di
posti di lavoro.
In
qualunque altra Regione una scelta politica che comportasse un simile
effetto economico ed occupazionale pesantemente negativo avrebbe
determinato una fortissima richiesta di misure compensative adeguate.
Nel
Friuli-Venezia Giulia, invece, si è pensato che bastasse avere in
cambio un po' di quelle caserme, di fatto ridotte a nuovi centri di
costo per le amministrazioni locali.
Oggi è necessario che la politica prenda atto dell'errore commesso nella sottovalutazione delle conseguenze della trasformazione del cosiddetto “modello di difesa” e sarebbe quindi utile che la politica regionale portasse sul tavolo del confronto con lo Stato questo problema chiedendo adeguate compensazioni, magari fabbriche come a Bolzano dove si costruiscono mezzi blindati, o Firenze con l'azienda farmaceutica militare o altro.
Oggi è necessario che la politica prenda atto dell'errore commesso nella sottovalutazione delle conseguenze della trasformazione del cosiddetto “modello di difesa” e sarebbe quindi utile che la politica regionale portasse sul tavolo del confronto con lo Stato questo problema chiedendo adeguate compensazioni, magari fabbriche come a Bolzano dove si costruiscono mezzi blindati, o Firenze con l'azienda farmaceutica militare o altro.
In
Friuli però! Perché se poi il tutto finisse a Trieste oltre al
danno avremmo la beffa!
C'è
assoluto bisogno che la Politica sappia individuare modi concreti,
con investimenti adeguati, che non siano ovviamente devastanti
elettrodotti Terna o treni ad alta velocità che nemmeno si
fermerebbero in Friuli, per creare occupazione.
Il
danno all'economia regionale, prima collocandovi gran parte
dell'Esercito con le pesantissime servitù militari che hanno
condizionato per decenni lo sviluppo economico e poi togliendolo, con
le conseguenze di cui si è detto, rappresenta un grande debito che
lo Stato ha verso il Friuli.
Il presidente del Comitato
Paolo Fontanelli
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Il Comunicato Stampa è stato pubblicato mercoledì 15 giugno 2016 sul settimanale della Arcidiocesi di Udine - LA VITA CATTOLICA - rubrica "Giornale aperto".
"Quando lo Stato italiano cominciò a trasformare il proprio esercito, abolendo (più esattamente “sospendendo”) il servizio di leva e chiudendo decine e decine di caserme sul territorio friulano, in molti immaginarono che a questa scelta potesse corrispondere una grande opportunità di sviluppo."
RispondiEliminaCOMMENTO:
Così non è stato perché la politica regionale non ha preteso una congrua compensazione per il mancato sviluppo economico del Friuli a causa delle pesantissime servitù militari ma si è accontentata di qualche caserma da ristrutturare con costi notevolissimi a carico dei friulani...