REGIONE
LA PORTUALITA'
NON E'
UNA QUESTIONE TRIESTINA!
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Comitato per l’Autonomia
e il Rilancio del Friuli
COMUNICATO STAMPA
Friuli
Per
un polo logistico
internazionale
che
coinvolga
tutte le realtà del Friuli
Anche se non è tutto credibile quello che si dice in ambienti della logistica, cioè che per ogni milione di container (TEU) in più movimentati nei porti, ci sarebbero due miliardi di aumento del Pil nelle aree sottese, riteniamo che una stagione di recupero traffici dai porti del Nord-Europa a favore delle banchine dell’Alto Adriatico è del tutto possibile data la valenza del Mediterraneo e vada giocata per il recupero dalla crisi. Quindi anche il Friuli deve attrezzarsi per partecipare a questa nuova prospettiva dei trasporti marittimi, sviluppando servizi di porto secco, facendo ripartire Porto Nogaro e l’interporto di Cervignano.
Ci poniamo però la domanda se i soggetti che nel porto di Trieste hanno i monopoli delle banchine, dell’indirizzamento dei trasporti e la gestione di tutto il terziario connesso (diecimila occupati di cui metà svolgono attività professionali anche in altri settori, oltre ad avere avviato agenzie di spedizione anche ai moli di Capodistria) vogliano veramente affrontare la sfida della crescita con la necessità di spartire il potere economico e fare largo a nuovi attori.
La politica regionale pare invece essere più aperta, perché sembra voler, almeno in parte, realizzare un modello come in Veneto, in Liguria-Piemonte e in Lombardia – Emilia, dove su un piede di parità vediamo più soggetti che lavorano nella filiera dalle banchine agli interporti.
Questo è il modello organizzativo e operativo che si può definire “padano”, ma che poi è anche quello del Nord-Europa, che ha allargato i porti al territorio, e che dovremmo prendere ad esempio. Quindi in regione le politiche verso i porti secchi vanno aggiornate, e in Friuli l’esperienza dei porti secchi va perseguita e allargata, dai nodi ferroviari, alle aree industriali, agli interporti, ma in ogni caso mettendosi a rete con tutta la realtà portuale dell’ Alto Adriatico.
Nella nostra Regione, i componenti di un sistema che sulla carta comprende vari attori, dalle Banchine di Trieste, Monfalcone, Porto Nogaro fino agli interporti, aree industriali, nodi ferroviari, dovrebbero lavorare come network.
Ma senza un progetto costruito con la collaborazione di tutti gli operatori, con un accorto bilanciamento di poteri e funzioni, si rischia invece di limitarsi a perpetuare il carattere strettamente municipalista del trasporto marittimo di Trieste dove già si è ostacolato lo sviluppo, col veto all’insediamento della superbanchina tecnologica della multinazionale oceanica Maersk.
Ma senza un progetto costruito con la collaborazione di tutti gli operatori, con un accorto bilanciamento di poteri e funzioni, si rischia invece di limitarsi a perpetuare il carattere strettamente municipalista del trasporto marittimo di Trieste dove già si è ostacolato lo sviluppo, col veto all’insediamento della superbanchina tecnologica della multinazionale oceanica Maersk.
I monopoli portuali triestini (forti dei recenti e incredibilmente lunghi rinnovi delle concessioni) che evidentemente sono in grado di “pilotare” una parte significativa dell'elettorato triestino, dicono che non vogliono regionalizzare il loro porto, cioè mettersi alla pari di uno qualunque degli attori di network.
Probabilmente ritengono che anche recuperando alla Regione le entrate fiscali sui traffici, non ci sarebbero i fondi pubblici per aumentare la capacità ricettiva di container, e quindi vogliono che Trieste resti un porto “nazionale”, saldamente nelle loro mani. Difficile, per la verità, dargli torto, considerato che Roma sta recuperando soldi e poteri e che può decidere se Venezia potrà o meno fare il porto off-shore che darebbe un colpo non indifferente allo status quo della città alabardata.
Il problema va però inquadrato in una visione complessiva delle regioni dell’Alto Adriatico e dato che entrambe le direttrici europee Ten-10, la Mediterranea e la Adriatico – Baltico passano per il Friuli, è inammissibile che non veda i potenziali porti secchi del Friuli ben coinvolti. Va respinta ad esempio la continua esclusione dell’Interporto di Cervignano.
Ma qualcosa si sta muovendo anche in Friuli se le due aree industriali di Carnia e Udine Sud stanno per fondersi in un'unica Amministrazione e si spera che con almeno l’adeguata spinta della Provincia nel quadro della recente proposta “La provincia di Udine diventi polo logistico internazionale” , l’Area Sangiorgina- Cervignanese con scalo, interporto, e porto industriale, possano ancora unirsi. Così si potrà creare il governo logistico di un complesso di imprese industriali e di servizi abbastanza grande da essere ben visibile nell’ arena dei mercati per inventare strategie, implementare l’indotto, e trattare da pari a pari con Trieste e tutto il Nord-Est, coinvolgendo anche il Friuli occidentale che già si sta muovendo.
Le aree passibili dello sviluppo della portualità secca, cioè del Friuli, devono quindi superare il localismo incentrato su Trieste trasformando il settore in un elemento importante per il rilancio dell'economia e dell'occupazione.
Ma per non cadere nel rischio del perpetuarsi di una visione municipalistica del problema come finora imposto, intendiamo porre la domanda: che modello strategico-operativo ha in mente la politica regionale?
Ma per non cadere nel rischio del perpetuarsi di una visione municipalistica del problema come finora imposto, intendiamo porre la domanda: che modello strategico-operativo ha in mente la politica regionale?
Comitato per l’Autonomia
e il Rilancio del Friuli
il portavoce
Giancarlo Castellarin
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Il Comunicato stampa è stato pubblicato sul settimanale LA VITA CATTOLICA il 9 luglio 2015 con il significativo titolo "La portualità non è una questione triestina".
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