"Non è
    questa la sede adatta per studiare la prima guerra mondiale sotto
    il profilo politico e militare, anche perché il
    Friuli non ebbe voce in capitolo se non come vittima di una
    guerra decisa da altri per interessi che gli erano estranei e
    contrari. Contrari, vogliamo dire, al popolo, non
    certo a pochi interventisti immigrati dal Friuli orientale o da
    Trieste, che avevano in Udine la loro base operativa, nel
    Giornale di Udine, diretto da dalmata Isidoro Furlani, il loro
    portavoce e fra i borghesi di città i loro simpatizzanti.
 
    Estranei agli interessi di
    un popolo che aveva solo bisogno di posti di lavoro, non di
    "spallate" sull'Isonzo, e che seppe pagare "per
    Trento e Trieste" un tributo di sangue e di danni morali e
    materiali che trova forse riscontro solo in qualche regione
    francese, non certo in altre regioni italiane.
    
In questa
    storia friulana vista dall'interno, dobbiamo rispondere solo alla
    seguente domanda: quale fu il prezzo pagato dai Friulani per
    partecipare alla prima guerra mondiale?
    
La grande
    guerra cominciò indirettamente per il popolo friulano
    nell'agosto del 1914, quando ottantamila emigranti furono
    costretti a rientrare dalla Germania, dall'Austria e
    dall'Ungheria con mesi di anticipo rispetto al ciclo normale di
    lavoro.
    
Ciò
    significò, in pratica, che molte famiglie si trovarono a dover
    sfamare una bocca in più, con un reddito più basso delle annate
    precedenti e in un periodo di prezzi crescenti. La situazione era
    già pesante nella tarda estate del 1914, sicché l'Ufficio
    Provinciale del Lavoro di Udine propose al Governo di
    accelerare l'esecuzione dei lavori pubblici già progettati nei
    vari comuni del Friuli ma non ottenne grandi risultati.
Nel
    febbraio del 1915, secondo i dati di una meticolosa indagine
    eseguita dal citato Ufficio, c'erano in Friuli 83.575 emigranti,
    dei quali 57.191 disoccupati. A giudizio dei
    rilevatori la situazione era "grave" nei collegi
    elettorali di Pordenone, Spilimbergo, Tolmezzo, Gemona-Tarcento e
    San Daniele; "difficile" nel collegio di Udine. (Da La
    Patria del Friuli del 2 maggio 1915).
La
    Cassa Depositi e Prestiti concesse mutui sufficienti per
    finanziare poco più della metà dei lavoro pubblici progettati,
    che erano già di per sé insufficienti per dar lavoro a tutti i
    disoccupati. Evidentemente il
    governo non aveva intenzione di impegnarsi a fondo in costruzioni
    che dovevano sorgere proprio su uno dei più sanguinosi campi di
    battaglia dell'immane conflitto.
A
    nulla valsero i comizi socialisti, le manifestazioni di piazza,
    le petizioni: la guerra si avvicinava ormai a grandi passi e
    avrebbe dato un fucile in mano a tutti i disoccupati.
A
    partire dal 24 maggio 1915 l'Esercito italiano
    raggiunse rapidamente la tragica linea della guerra di posizione
    sulle Alpi Carniche e Giulie e lungo l'Isonzo. Nel
    frattempo venivano deportati molti preti del Friuli orientale in
    base alla semplice presunzione che sarebbero potuti essere
    "austriacanti", e sulla piazza di Villesse vennero
    fucilati alcuni civili sospettati di sabotaggio. In Carnia furono
    "sgomberati" interi paesi per zelo poliziesco del tutto
    ingiustificato.
Su
    questa linea fino all'ottobre del '17, e sul Piave fino al 4
    novembre 1918, i Friulani seppero bere fino in fondo l'amarissimo
    calice del sacrificio. Il battaglione Val Natisone fu l'unico a
    non avere disertori e in Carnia duecento donne, molte delle quali
    erano ancora adolescenti, portarono a mano o sul dorso migliaia e
    migliaia di pesantissimi proiettili in prima linea.
 
A
    guerra finita rimarranno quattordicimila orfani a testimoniare,
    accanto a migliaia di feriti e mutilati, il tributo dei Friulani
    a
    quella che Benedetto XV definì "inutile strage"
    (Rimarrà anche il record assoluto e relativo delle
    medaglie d'oro e delle altre decorazioni).
Bisognerebbe
    ancora dire che il numero degli orfani di guerra della provincia
    di Udine può essere scomposto come segue:
-
     figli orfani di contadini 6.903
-
     figli orfani di operai 6.025
-
     figli orfani di industriali e commercianti 182
-
     figli orfani di professionisti 262
 
(Dati
    ricavati da una comunicazione del Prefetto di Udine al ministero
    dell'interno, pubblicati da Il Lavoratore Friulano del 20
    febbraio 1921).
Giovanni
    della Porta scrive che, fra il 24 maggio 1915 e il 27 ottobre
    1917, la
    Città di Udine subì 68 incursioni aeree e sette bombardamenti.
    Le bombe caddero il 20 agosto e il 19 novembre 1915; il 19
    gennaio, il 16 maggio e il 29 giugno 1916; il 31 maggio e il 25
    ottobre 1917 (Archivio di Stato di Udine, busta 11).
Ma la
    guerra, per quanto sanguinosa e lunga, non avrebbe avuto il
    potere di distruggere il sistema economico regionale, se non ci
    fosse stata la ritirata
    di Caporetto, la fuga di 134.816 persone e l'invasione del Friuli
    ad opera di un esercito letteralmente affamato e assetato di
    bottino.
I
    profughi attribuirono alla fuga il valore di prova della loro
    superiore "italianità" ed accusarono i rimasti di
    collaborazione con il nemico, ritenendoli anche responsabili di
    furti commessi in realtà dagli invasori. È vero, invece, che
    non
    pochi profughi fuggirono per paura del nemico, dipinto come
    crudelissimo dalla stampa, perché incoraggiati alla fuga dalle
    autorità militari italiane oppure per spirito di gregge. Ed è
    altrettanto vero che i rimasti seppero difendere il difendibile e
    porre un argine alla fame austro-tedesca anche a vantaggio dei
    profughi.
Il
    danno maggiore non fu tuttavia demografico e psicologico: fu
    economico.
    
La
    grande guerra ebbe l'effetto di distruggere (letteralmente) il
    sistema economico friulano, determinando un insanabile ritardo
    della nostra regione nei confronti di altre regioni
    settentrionali, le cui industrie avevano tratto enorme profitto
    proprio dalle commesse militari e dall'economia bellica.
In un
    libro intitolato: L'industria nella Provincia di Udine,
    pubblicato dall'editore Giuffré per una collana diretta dal
    prof. Francesco Vito, si legge: "...il valore delle
    industrie friulane alla fine del 1918 é stimato pari al 14.3%
    del valore di quelle esistenti alla fine del 1917". Secondo
    il Tessitori,
    autore di uno splendido saggio intitolato: "II
    Friuli alla fine della guerra 1915-18", pubblicato su
    "Memorie storiche forogiuliesi 1967-68", "le
    distruzioni furono tali da riportare il settore industriale ad un
    livello di capacita produttiva inferiore a quello di trenta anni
    prima e da costringere a ricominciare tutto da capo, vale a dire
    dalla creazione dei presupposti primari per una ripresa
    industriale".
 
Il Parmeggiani, fine, nella
    pubblicazione più volte citata, scrive: "Quando infatti nel
    1927 si poté fare finalmente il punto sulla nostra situazione
    industriale complessiva, si constatò che, praticamente, non
    s'era arrivati molto al di sopra del livello già raggiunto nel
    periodo antebellico".
Non
    sono naturalmente compresi nel conto i danni subiti dalle case
    private, dagli edifici pubblici, dalle strade e dalle ferrovie,
    ma anche tali beni subirono danni spaventosi.
    
Gaetano
    Salvemini, nel suo Le origini del Fascismo in Italia, scrive: "Le
    zone adiacenti al vecchio confine austro-ungarico, che erano
    state il teatro delle operazioni militari, erano in uno stato di
    rovina: 163.000 case di abitazione, 435 municipi, 255 ospedali,
    1156 edifici scolastici, 1000 chiese, 1222 cimiteri erano stati
    distrutti o danneggiati; 80 imprese di bonifica agraria
    interessanti un'area di 120.000 ettari erano andate in rovina;
    350 chilometri di strade erano fuori uso...".
    
Questi
    dati si riferiscono a tutte le zone adiacenti al vecchio confine,
    e quindi anche al Trentino, al Cadore e a una piccola parte del
    Veneto, ma é certo che per la metà circa riguardavano il
    Friuli.
L'agricoltura,
    infine, aveva perso quasi tutto il bestiame, molte
    infrastrutture, un anno intero di raccolti.
    Complessivamente, secondo i dati stimati dall'ispettore agricolo
    provinciale di Udine, pubblicati dal Giornale di Udine del 2
    giugno 1918, l'agricoltura delle zone invase aveva subìto danni
    per un miliardo di lire dell'epoca. Il Friuli, essendo la zona
    più estesamente coltivata fra quelle invase, subì non meno
    della metà del danno complessivo.
A.
    BATTISTELLA, Il Comune di Udine durante l'anno dell'occupazione
    nemica, Udine 1927.
G.
    DEL BIANCO, La guerra e il Friuli, vol. 3, Udine 1952.
HORVATH-MAYERHOFER,
    L'Amministrazione militare austro-ungarica dall'ottobre 1917 al
    novembre 1918, (traduzione di una tesi di laurea dell'Università
    di Vienna), a cura di Arturo Toso, Udine 1985.
G.
    PIETRA, Gli esodi in Italia durante la guerra mondiale, Roma
    1939”