Quotidiano “Messaggero Veneto” – edizione di Udine
Mercoledì 10 novembre 2010 - Rubrica "Per posta e per e-mail"
Lettera a firma di Alessandro Pian - Chiopris
FRIULANO - GLI SPRECHI SONO BEN ALTRI
Scrivo in merito alla lettera della signora Cristina Vitale da Udine, pubblicata domenica 24 ottobre. A mio modesto avviso vi compaiono argomentazioni che non voglio definire banali, ma che, indubbiamente, sono riconducibili a certi luoghi comuni quali “A cosa ci serve il friulano?" oppure “Con il friulano non vai da nessuna parte, studia l'inglese". Provo a porre un'altra domanda: “Saremo più belli, bravi, intelligenti, forti, ricchi, saggi, colti quando non lo avremo più ?”
È abbastanza facile in tempi di crisi, soprattutto per i detrattori - non voglio dire che la signora Vitale sia tra questi - sparare a zero sui presunti sprechi a favore del friulano, ma, chi volesse approfondire un pochino la questione, capirebbe che le cose non sono come molti, troppi, vorrebbero far credere.
Con i 200 mila euro tolti alle emittenti private dalla giunta regionale non si costruirà nemmeno uno degli auspicati asili nido, ma, per contro, una decina di giovani vedono a rischio il loro posto di lavoro. Quanti nuovi occupati vi sono stati con la recente mostra "Bianco e nero" costata 400 mila euro ai contribuenti? Come si vede, gli sprechi, se vogliamo definirli tali, sono ben altri.
Come già ampiamente dimostrato da altri, i denari spesi per la lingua friulana sono una cifra irrisoria se paragonata a quanto investono altre realtà simili alla nostra - a esempio il Galles - e una vera vergogna per un Paese che voglia definirsi civile. Se in questo Stato le leggi, nel caso in questione la 482/99, trovassero concreta e piena applicazione la lingua friulana sarebbe insegnata e utilizzata anche quale lingua veicolare per l'insegnamento di altre materie nella scuola pubblica e, molto probabilmente, l'inglese si imparerebbe meglio; conseguentemente, i tanto deplorati corsi di friulano promossi da associazioni ed enti vari non sarebbero indispensabili per alfabetizzare i friulani nella loro lingua madre.
È assodato che gli italiani sono tra i più somari in Europa in fatto di conoscenza delle lingue straniere proprio a causa della loro condizione di persone monolingui; i friulanofoni sono quanto meno bilingui e anche se una delle lingue da loro parlate è considerata una lingua "piccola" questa è sufficientemente grande a far sì che il loro cervello sia maggiormente predisposto all’apprendimento di altre lingue (leggasi «II çurviel dai Furlans» del dottor Franco Fabbro).
I cartelli stradali (anche) in friulano o in altre lingue minoritarie non costano neppure un centesimo di euro in più di quelli riportanti le sole indicazioni in italiano, visto che il costo è unitario e non dipende dal numero di lingue utilizzate. Gli aiuti pubblici alle imprese, come si è visto, hanno portato a una debole ripresa delle produzioni, ma non hanno prodotto alcun vantaggio in termini di occupazione.
Non si può continuare a misurare tutto con il Pil. L'esempio della Catalogna non è casuale; in quella terra, proprio i ceti medio-alti, la borghesia industriale ha investito nella lingua catalana legando la produzione industriale alla cultura locale e diventando, assieme ai Paesi Baschi (guarda caso un'altra realtà di minoranza), il "motore economico" della Spagna. Perché non in Friuli?
Proviamo a spogliarci delle vesti che ci hanno cucito addosso e cominciamo a pensare autonomamente. La lingua friulana è un qualcosa di unico che abbiamo solo noi; se proprio non ci interessa nulla dell'aspetto culturale, proviamo a considerarla una risorsa economica come hanno fatto, con successo, catalani, baschi e altri in Europa. Altrimenti rassegniamoci a diventare una "piattaforma logistica" funzionale agli interessi altrui, terra di passaggio di megaelettrodotti, ferrovie ad alta velocità/capacità - non si è ancora ben capito quale delle due o se tutte e due assieme - e altre amene servitù, nucleari e no.
Ognuno ha una propria idea sulle priorità da seguire, ma, a parere mio, sulla questione specifica i tanti possibili esempi ci porterebbero a una sola conclusione: il friulano, come tutte le circa seimila lingue parlate, ci serve ora e ci servirà sempre di più in futuro. Prima di tutto per privilegiare la dimensione dell'essere e non quella, effimera, dell'apparire/avere; essere noi stessi e non manichini portatori della maschera/identità che altri potrebbero decidere per noi. Perché sapere chi siamo e da dove veniamo ci ha dato e certamente ci darà la forza, la fiducia nelle nostre capacità e la determinazione per superare momenti di crisi peggiori di quello che stiamo vivendo. Per avere un'organizzazione della società e della vita a misura d'uomo e non delle multinazionali che ci considerano meri consumatori dei loro prodotti, fabbricati altrove da altri popoli a cui hanno già tolto la propria identità. Per sentirci ancora un popolo che si è fatto unanimemente apprezzare per le sue qualità ed è sempre stato identificato proprio per quella strana lingua che parla.
Per andare a lavorare in Cina o in qualsiasi altro posto del mondo globalizzato ci basteranno le circa duemila parole del globish, quella sorta di misero inglese base - non certo quello "alto" di Shakespeare - che consente di comunicare appunto le esigenze di base come mangiare, bere, dormire e fare l'amore: ma sono tutte cose che fanno anche gli animali. Jo o vuei resta un om.
Alessandro Pian - Chioprìs
E' veramente avvilente che a dieci anni della legge statale 482/99 che da attuazione all'art. 6 della Costituzione Italiana, ci sia chi ancora non riconosce i diritti linguistici delle minoranze linguistiche storiche che vivono in Italia (tra cui ci sono anche i friulani!).
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