venerdì 29 dicembre 2017

Convegno del 15 dicembre 2017 - Quali i destini per l'autonomia friulana? INTERVENTO DI ROBERTO DOMINICI


 
 
 
 
Convegno su:

NELLA EUROPA DI OGGI SI DIFFONDONO MOVIMENTI AUTONOMISTI INEDITI: PERCHE'? CON QUALI PROSPETTIVE? QUALI I DESTINI PER L'AUTONOMIA FRIULANA?
 
INTERVENTO DI ROBERTO DOMINICI

Udine, 15 dicembre 2017

Colgo parte dell'articolato tema del convegno per alcune considerazioni e riflessioni inerenti la dimensione nazionale ed, in via più specifica, quella regionale e locale.

Mi chiedo innanzitutto: ha senso oggi parlare in Italia di autonomia regionale?

La mia risposta è assolutamente sì se non altro perché siamo in presenza di una marcata tendenza “centralista” statale, alimentata anche da una gestione politica ispirata, spesse volte, alla semplificazione con “accentramento” dei poteri decisionali che porta, di fatto, a più Stato ed a meno autonomia.

La “tendenza centralista” sarebbe risultata ancor più netta se con il referendum di un anno fa fosse stata approvata la riforma costituzionale allora proposta, riforma che avrebbe comportato una vera “involuzione” rispetto al disegno dei Padri costituenti:

  • le Regioni ordinarie sarebbero divenute ancor più ordinarie con la totale spogliazione delle cosiddette competenze “ripartite”, cioè “miste” Stato-Regione su tematiche di diretto interesse locale;
  • le Regioni speciali avrebbero mantenutosi lo status quo ma in via transitoria fino alla revisione del proprio Statuto da farsi con l' “intesa” tra soggetti “ineguali” e, aggiungo io, ispirandosi necessariamente alla “filosofia” di quella riforma che è, lo ripeto, di accentramento
  • le Regioni tutte sarebbero state sottoposte alla cosiddetta “clausola di supremazia” che avrebbe implicato la possibilità dello Stato, a suo unico giudizio, di “invadere”, caso per caso, pure la stretta e diretta competenza statutaria regionale.

Pericolo, dunque, scampato, ma non illudiamoci che la vocazione del “più Stato” sia morta.

C'è allora la necessità di vigilare sempre affinché l'autonomia regionale in generale sia salvaguardata, non sia compromessa, sia anzi potenziata, seguendo la linea che i problemi siano governati dalle istituzioni più prossime alla gente.

Con riguardo alla nostra realtà regionale, mi chiedo: ha senso la “specialità”?

Certo che sì. È vero: alcune motivazioni originarie (confine particolare) sono superate, altre però permangono (presenza di ben tre minoranze riconosciute), altre sono attuali (possibilità di una politica di cooperazione transfrontaliera nell'interesse anche italiano ed europeo).

Francamente non capisco perché la politica, di tanto in tanto, si interroghi su questo dando così l'impressione che siamo noi stessi ad esternare dubbi.

La specialità c'è ed il miglior modo di difenderla è quello di esercitarla fino in fondo con riguardo anche ai temi indicati poco fa in relazione dal Prof. Tellia.

Circa i nostri rapporti con lo Stato due sono i temi che il mondo autonomista dovrebbe con urgenza sollecitare per una definizione: la acquisizione della competenza in capo alla Regione in materia di istruzione ciò che consentirebbe di affrontare più compiutamente la questione dell'insegnamento della lingua friulana alla luce della sentenza della Corte Costituzionale sulla l.r. n.29 del 2007, e la revisione della compartecipazione tributaria della Regione, che, come ben sappiamo, è la più bassa tra le Regioni ad autonomia differenziata.

Giunti a questo punto dobbiamo porci un tema di fondo che attiene alla prospettiva per la nostra Regione: deve continuare come è ora o si può pensare a qualcosa di diverso? E cosa?

Credo che si debba pensare a qualcosa di “diverso”, guardando sì alle aspirazioni antiche ed a quelle attuali, ma specialmente, con molto realismo, alla praticabilità, politica ed istituzionale, delle proposte.

A mio giudizio andrebbe rivisto il “modo di essere” della Regione ed il suo rapporto con le autonomie locali: la Regione si occupi della legislazione, dell'alta programmazione ed indirizzo e trasferisca le funzioni gestionali al sistema delle autonomie locali rapportandosi alla natura e portata delle funzioni stesse.

Quindi un sostanziale “decentramento” che stimola l'autogoverno locale, che valorizzerebbe le “specificità” presenti nei nostri territori.

Non è una idea nuova: D'Aronco, gran padre dell'autonomismo friulano, ne parlava ancora nelle sue “Opinioni Personali”. Ma è come fosse nuova, posto che non è mai stata attuata.

Questa operazione, ecco il realismo, è fattibile a statuto regionale vigente come previsto dal suo originario art. 11.

È vero che la riforma statutaria dello scorso anno ha modificato tale articolo, ma non al punto di disporre il contrario di quanto in precedenza stabilito.

La soluzione che ho appena detto avrebbe pure il pregio di non recare pregiudizio ad altre eventuali scelte future ed inoltre, nel suo contesto, potrebbe offrire l'occasione per “riaffrontare” con intelligente “rilettura” il tema dell'articolazione istituzionale locale, non con progetti calati dall'alto, ma partecipati, perché anche il metodo spesso è sostanza.

Dico spesso e ripeto: se ha ben funzionato il ricorso alla delega per la ricostruzione post-terremoto con la gravosità di quei problemi, perché non dovrebbe funzionare ora in situazioni per così dire “più tranquille”? Questo è uno dei concetti espressi nel documento di riflessioni e proposte predisposto dalla Associazione Consiglieri Regionali del FVG e della Associazione Comuni Terremotati e Sindaci della Ricostruzione nel maggio scorso, documento che ha avuto il positivo riscontro anche del Capo dello Stato.

Nella recente modifica dello statuto della Regione è stata introdotta la “Città Metropolitana”.

Considerata la fonte proponente vien da pensare all'Area Triestina, più o meno vasta.

E il Friuli? La mia opinione è che bisogna dar vita ad una “istituzione” anche per il Friuli con funzioni ben definite di area vasta.

Le due “articolazioni” devono essere, è sempre la mia opinione, contemporanee e non sfalsate nel tempo. Quindi un disegno articolato per elementari esigenze di equilibrio.

In Friuli non possiamo rimanere ancorati a quelle che D'Aronco ama chiamare “provincette”, cioè alle UTI e ciò al di là di ogni giudizio di metodo e di merito sulle stesse.

Mi chiedo ancora: l'autonomismo in questi tempi deve occuparsi solamente dei temi “classici”, o se volete “storici” in quanto fondativi del movimento o deve andare oltre guardando, senza venir meno alla mission antica, ai problemi e alle esigenze dei nostri territori?

Credo che quest'ultima sia una scelta doverosa e nello stesso tempo obbligata se vogliamo corrispondere alla domanda di autogoverno.

L'autonomismo deve allora elaborare proposte sulle grandi questioni che sono diverse.

Ne cito soltanto qualcuna:
  • l'economia dopo un decennio di crisi che lascia conseguenze
  • le grandi infrastrutture in chiave di sviluppo
  • i giovani, come ricordato poco fa da Giacomini, a fronte di una generazione che, in assenza di occupazione stabile, non può trovare stimoli all'impegno di comunità
  • l'Università legata al territorio dal mandato istitutivo, da non dimenticare mai, e dal Patto, patrocinato con la tenacia che ben conosciamo da Arnaldo Baraccetti stipulato dall'Università e dalle maggiori rappresentanze del Friuli in un momento piuttosto difficile dovuto alla legge di riforma Gelmini ed al ricomparire di dichiarazioni del tipo: due università in Regione sono troppe.

A giorni poi, nell'assordante silenzio della politica e delle istituzioni, del mondo economico, cesserà la operatività della Cassa di Risparmio, istituto che è stato per assai lungo tempo parte sostanziale della storia del Friuli.

Questo fatto deve stimolarci a riflettere circa la presenza delle banche sul nostro territorio e, soprattutto, sul tema del credito, elemento essenziale sia per l'economia, sia per il sociale.

Occorre, dunque, un “progetto” organico, elaborato possibilmente non in solitudine ma con l'apporto delle forze vive della società.

Può essere di esempio, sul piano metodologico, l'azione a suo tempo svolta dal Comitato per l'Autonomia del Friuli che, nel suo agire, si è sempre confrontato, sui grandi temi, con le istituzioni più rappresentative, le forze sociali e produttive.

Io sono per un Friuli che non si chiuda in se stesso e che, ben saldo nelle sue radici e con la cultura dei propri valori, si apra per inserirsi attivamente nel divenire della storia.

Un Friuli che guardi in particolare all'Europa, che ha sì bisogno di rigenerarsi riscoprendo la sua mission originaria, ma che comunque resta il nostro orizzonte più alto.

L'avvicinarsi delle elezioni regionali mi induce a porre un'ultima domanda: è possibile che le varie anime autonomiste, tutte preziose e valide, trovino sui problemi di oggi più che sui disegni di lunga prospettiva, elementi di unione per un cammino d'assieme, certamente autonomista, ma anche impegnato sui problemi della nostra comunità? Pensiamoci.

Occorre puntare ad una Regione “pensante” e “dialogante” che abbia l' “umiltà” dell'ascolto, la capacità di proposta, la disponibilità al dialogo.

Mi auguro che su questo si apra una sostanziale riflessione.

Consentitemi di concludere con un richiamo generale ad uno dei mali più diffusi nella politica di oggi: il populismo.

In una recente pubblicazione edita da Giulio Einaudi, Marco Revelli dell'Università del Piemonte orientale, scrive:” Il populismo si manifesta quando un popolo non si sente rappresentato. E' “malattia infantile” della democrazia quando i tempi della politica non sono ancora maturi. E' “malattia senile” della democrazia quando i tempi della politica sembrano essere finiti. Come ora, qui, non solo in Italia”.

E' necessario allora, nell'interesse di tutti, che la politica torni a volare alto.

Udine, 15 dicembre 2017

Roberto Dominici
 
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La Redazione del Blog ringrazia Roberto Dominici per averle concesso la pubblicazione del suo ottimo intervento al convegno sull'autonomismo del 15 dicembre a Udine. 
 
 
 

5 commenti:

  1. Preoccupanti sviluppi nel Friuli orientale: dopo il fagocitamento del Goriziano con la Camera di Commercio "giuliana", adesso Trieste cerca di mangiarsi anche il Tribunale Fallimentare di Gorizia.

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    1. Chi ha permesso la creazione di un'unica camera di commercio tra Gorizia e Trieste e soprattutto di utilizzare il nome politico di Venezia Giulia inventato dall'imperialismo italiano? Gorizia dovrebbe porsi questa domanda, ma pare non voglia farlo...

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    2. Che le associazioni degli esuli istriani - una potenza a Gorizia e a Trieste - guardino a Trieste e ignorino la storia friulanissima del Friuli goriziano e di Gorizia in particolare, è un dato di fatto. Del resto l'attuale sindaco di Gorizia - Ziberna - è un noto esponente del mondo degli esuli istriani ed ha ricoperto incarichi di prestigio nelle associazioni nazionaliste italiane e degli esuli istriani.

      Snait, capît cumò cui che al comande a Gurize? No di sigûr i furlans di simpri prisints a Gurize e in dute la provincie di Gurizie e ancjemò mancul i slovens di Gurize...

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    3. Sì, a Gurize al è cussì almancul dal 1947 in ca ... magari cussì no !

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  2. Roberto Dominici, ex-consigliere regionale ed ex-assessore regionale alla ricostruzione, è stato uno dei fondatori del Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli. La sua opinione è anche l'opinione del nostro Comitato.

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