18 dicembre 2017
Grande partecipazione oggi alla cerimonia nell’aula 3 di via Tomadini a Udine
A Gianfranco D'Aronco, uno dei “padri” dell'Ateneo friulano, la laurea ad honorem in Italianistica
Foto tratta da quiuniud
Lectio magistralis
di Gianfranco D’Aronco
Leggere e scrivere
Comincio
col ringraziare i principali responsabili dell’onore che mi viene
riservato, a partire dall’attuale magnifico rettore Alberto Felice
De Toni e da chi lo ha preceduto, Cristiana Compagno. Io ho il
merito, diciamo così, di aver resistito alle intemperie dell’età,
quando finalmente si smette di scrivere, ma non di leggere. C’è
sempre da imparare qualcosa.
In
realtà io mi sono sempre sentito scolaro, e anche oggi mi sento
tale, pur se qualche cosa ho imparato, attingendo a quanto prodotto
da maestri veri, che ho avuto la fortuna d’incontrare: mi
riferisco alla Cattolica di Milano. Dopo la laurea e il
perfezionamento o specializzazione (oggi si dice “master”), non
ho fortunatamente interrotto i rapporti con chi avevo incontrato
all’ombra di S. Ambrogio. Dico ad esempio Luigi Sorrento, Alberto
Chiari, Aristide Calderini, Lorenzo Bianchi. I granelli di scienza
da loro sparsi trovavano qualche piccola zolla fertile anche in me, e
li ringrazio ancora col pensiero, se essi mi ascoltano dell’alto.
Anno
dopo anno, mi avvenne di insegnare a mia volta, e di punto in bianco
mi trovai a Padova, all’ombra di maestri come Diego Valeri, Carlo
Tagliavini, Vittore Branca, Gianfranco Folena. Dopo vent’anni, e
dopo una breve parentesi a Siena, passai a Trieste, dove avevo mosso
i primi passi come assistente di Aurelio Roncaglia. E a Trieste
trovai eccellenti colleghi come Bruno Maier e Claudio Magris.
Chiedo
venia per l’autobiografia , per dire che ciò che possiedo è per
metà farina del sacco altrui, e debbo in qualche modo ricambiare
almeno un po’ del bene ricevuto. Quanto a farina mia, non sarò
certo il giudice di me stesso. Rimando chi proprio lo volesse a una
Miscellanea, pubblicata per merito di Giovanni Frau e
arricchita da una generosa presentazione di Raimondo Strassoldo.
Lasciate
ora che mi rallegri per aver visto nascere e crescere in tutti questi
anni la nostra Università, e ricordi chi, interpretando voti
precedenti, ha dedicato anima e corpo a una tenace e disinteressata
azione volta a rivendicare i diritti di una terra. Era una voce
fattasi presto voce di popolo, riconosciuta con legge di iniziativa
popolare: dico di Tarcisio Petracco “cui nullum par elogium”, e
ho detto tutto.
Ho
visto nascere questa Università, dapprima come Facoltà staccata
dall’ateneo di Trieste, e poi fattasi autonoma. Come è stato
sottolineato, è sorta al servizio di schiere di giovani, che in
passato dovevano attingere ad altri atenei di là della Livenza e del
Timavo. Ma c’era stato un lontano precedente, rivendicato da un
insigne storico del diritto, il nostro Pier Silverio Leicht: uno
Studio generale, come si diceva allora, ovvero una scuola di
diritto con sede a Cividale, che il patriarca Bertrando aveva voluto
e che Carlo IV di Lussemburgo riconobbe con un documento che reca la
data 1353 e che si può leggere ancora. Ma già da prima, forse dal
1344 almeno, la scuola funzionava. In Italia lo Studio bolognese, il
più antico che si conosca, sorse nel 1158; quello padovano nel 1221.
Nel resto d’Europa gli Studi sono tutti successivi. Ma la
istituzione cividalese ebbe vita breve: meno di un secolo,
scomparendo con la occupazione veneziana. Peccato. Lo Studio aveva
uno scopo importante: attirare studenti dall’Italia, dalla
Germania, dalla Ungheria, dalla Slavonia. E il particolare interesse
che la nostra Università mostra verso la cultura dell’Est pare
quasi sia nato dalla volontà di fare propria l’antica missione per
la quale era sorto il glorioso Studium.
Non
voglio abusare ancora della vostra cortesia. Delle mie opere e
operette hanno già detto altri. Ho studiato la letteratura italiana.
Mi sono occupato di letteratura friulana (insegnavo letterature
popolari e filologia romanza). Ho pubblicato una versione inedita e
pressoché ignorata, risalente alla fine del XIII secolo (come le
cinque esistenti in Europa: a Parigi, Lione, Bruxelles, Londra,
Oxford) e conservata nella biblioteca arcivescovile di Udine: dico
della “Grande ricerca del santo Graal”. Quanto al settore
friulano, ho dato una mano al risveglio di questa letteratura, che
reca i nomi di Pier Paolo Pasolini, Riccardo Castellani, Franco de
Gironcoli, Riedo Puppo, Novella Cantarutti, Nadia Pauluzzo e tanti
altri ormai. Era la fine del dialettalismo nostrano.
Contemporaneamente (e non poteva essere altrimenti) ho seguito le
vicende che avrebbero portato non senza ostacoli al riconoscimento
della nostra Regione autonoma. Anche qui potrei continuare: del resto
è tutto già scritto. Non eravamo campanilisti; non eravamo chiusi
in casa. Leggevamo tra l’altro i libri, a cominciare da“Mireio”
di Mistral, sulla cui tomba ho letto cinquant’anni fa una sola
parola: “Prouvenco”. E leggevamo Aubanel, di cui ci colpì un
giorno (cito a memoria), un verso: “Spingendo la carretta sul monte
Ventoux, non parlavamo di piccola o grande patria”. L’amor di
patria è un sentimento, e all’amore non si comanda. Meglio sarebbe
forse l’amor di patrie. Voler bene al Friuli non significa
(figurarsi) disdegnare il resto del mondo. Il Friuli (confesso) è
stato il mio primo amore. Le prime parole che sentii da neonato
erano nel friulano di Gemona dei miei genitori: e il primo amore
(altro detto) non si scorda mai. Sul Friuli ho scritto e soprattutto
letto. Meglio così, meglio rimanere scolari. Grazie.
TO,
17.12.17
Gianfranco D’Aronco
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La Redazione del Blog nel ringraziare il prof. Gianfranco D'Aronco per averle concesso la pubblicazione della sua Lectio magistralis, rinnova nuovamente al Presidente onorario del "Comitât pe autonomie e pal rilanç dal Friûl" le più vive congratulazioni.
LA REDAZIONE DEL BLOG
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