venerdì 17 settembre 2010

Quelli di Surisins

Messaggero Veneto — 17 settembre 2010 pagina 02 sezione: UDINE

di PAOLO MEDEOSSI
Ogni scrittore che si rispetti deve avere una Macondo, ovvero il luogo mitico e immaginario nel quale ambientare le storie dei suoi personaggi. Carlo Sgorlon, a esempio, inventò una serie di straordinarie Macondo, come Malvernis, Ligolais, Jalmis, e così via. Invece si chiamava semplicemente Surisins il favoloso e umile mondo nel quale, agile e disincantato, si muoveva Titute Lalele, al secolo Arturo Feruglio, il più amato degli scrittori friulani nella prima metà del secolo scorso. Ragioniere, editore e scrittore, nato a Udine nel 1895 e morto nel 1967, si era un po' posto sulle orme di Pietro Zorutti, essendo anche lui un impiegato (dipendente della Camera di commercio) e dilettandosi in quella semplice letteratura, in friulano, che aveva grande seguito popolare. A differenza dell'altro, però, Titute Lalele non scrisse poesie, ma espresse la sua abilità in raccontini che poi pubblicava su La Patria del Friuli , con un interesse acceso pure da qualche polemichetta visto che il protagonista delle vicende, titolare di un negozio di alimentari a Surisins, era in contrasto con il suo nemico, il sindaco del paese, cavalier Angelo Basaldella. E c'era naturalmente chi volentieri leggeva in quegli scontri riferimenti alla situazione udinese, tanto più che il tutto accadeva in anni di conformismo sotto il regime fascista.
Ma il colpo di genio di Titute-Arturo fu l’invenzione di un lunario, divenuto leggendario, con il nome di Avanti cul brun! , che restò sulla scena dal 1934 al '66 proponendo una miniera di notizie, studi, curiosità sul mondo in marilenghe riuscendo a rivaleggiare con le pubblicazioni della Filologica e avendo tra i collaboratori personaggi come Giuseppe Marchetti, Gianfranco D'Aronco e Pier Paolo Pasolini. L'almanacco divenne una sorta di palestra per giovani intellettuali e anche un luogo ideale per esercitare quell'umorismo che come un fiume carsico attraversa sempre l'animo dei friulani, anche se non sembra. Parliamo di queste cose per riprendere l'accenno fatto ieri (nell’articolo sul rapporto fra i friulani e il vino) a un’intuizione che quel simpaticone di Titute Lalele, a furia di osservare la gente vera e semplice, ebbe riuscendo a trasmetterla in maniera anche inedita. Infatti, grazie a una cultura senza pretese, a sentimenti genuini, Feruglio, raccontando Surisins, narrava tutto il Friuli partendo dal concetto per cui divenne famoso, e cioè quello di essere un fufignot , e cioè uno pieno di malinconia allegra, frase strana che può sembrare una contraddizione e che pure riesce a descrivere meglio di altre il carattere della gente di qui. Essendo lui un fufignot , diventavano inevitabilmente fufignis tutte le sue composizioni, sempre divertenti, anche se immerse in un umorismo un po' triste. Sentimenti che volle esprimere nella dedica della commedia intitolata Un grop al stomi , del 1922, e cioè: «A fa ridi la int j ul tante fadie!». Tutto questo non impediva a Feruglio di essere esilarante quando illustrava le vicende tragicomiche di Surisins. Per esempio, in estate, a un certo punto le donne di casa (la moglie e la figlia) partono per le vacanze e a casa del bottegaio si esulta. Così Titute scrive nel suo diario: «Finalmentri 'o respiri: lis mês feminis e' son a Vignesie e jò, bessôl cun Candide, la gnove massarie cjargnele, 'o polsi e mi cuieti...». Come si vede, il re dei fufignoz potrebbe rispecchiare molti aspetti medi del maschio friulano perché getti la prima pietra chi davanti a questi quadretti non si riconosce almeno un pochetto. C'è tutto, nella evidente semplicità, come il rapporto con le donne, con la solitudine, con il senso di libertà e di comando a casa propria. A un certo punto, a Udine (come in effetti avvenne il 26 settembre 1926) organizzarono una grande adunata friulana e quelli di Surisins decisero di mandare come loro rappresentante proprio Titute Lalele che fece un discorso storico nella attuale piazza Primo maggio, quella volta piazza Umberto I, dicendo fra le altre cose: «Furlans! L'anime nestre vistude di un vêl, che vedo non ti vedo, è svole ta l'aiar fresculìn pivetant di ligrie». Insomma, un discorso da vero fufignot . E facendosi serio Arturo Feruglio un giorno spiegò: «I miei scritti non devono servire che da contorno, da riposo. Istruire e dilettare, senza pretese, alla buona, in famiglia, col bicchiere di vino accanto e le castagne arrosto».

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