Il rilancio della specialità del Fvg
L’intervento di Gianfranco D’Aronco
Il nostro Comitato si è assunto il compito di individuare alcuni dei principali problemi che affliggono il Friuli: primo tra i quali il persistente centralismo in campo nazionale e in campo regionale. Si parla tanto di federalismo. A noi basterebbe che venisse realizzato in Italia, e specialmente da noi, il regionalismo garantito dalla Costituzione. Il prof. Paladin, che fu presidente della Corte Costituzionale, nel suo Commento allo statuto della Regione Fvg, scriveva: "La Costituzione e gli Statuti prescrivono che l'amministrazione regionale si svolga non tanto attraverso un apparato burocratico proprio dell'Ente Regione, quanto per via delle deleghe a favore delle Province e dei Comuni, ovvero dell'utilizzazione degli uffici comunali e provinciali". Le difficoltà pratiche del decentramento sono reali, aggiungeva. "Ma ciò non toglie che la Regione medesima sia testualmente tenuta, dovunque possibile, a decentrare nei modi accennati l'esercizio delle proprie competenze".
E questo è ben chiaro. Ed ecco cosa affermava il maggior partito del momento, alla vigilia delle prime elezioni nella nostra Regione: e questo nel suo programma ufficiale: "Direttiva generale della Regione sarà la valorizzazione degli enti locali, che la D.C. ritiene strumenti di promozione civile, di decentramento del potere e centri di autentica democrazia. Nei confronti di essi la Regione avrà una funzione di propulsione, di coordinamento e di potenziamento, in modo che, nel rispetto della loro autonomia, la Regione concorrerà ad assicurare l'espletamento dei compiti di istituto e, attraverso ad essi, realizzerà gli obiettivi di attuazione amministrativa propri dell'ente regionale".
Era una presa di posizione su fondamenti giuridici e, insieme, un dettato del buon senso. Questo criterio è stato poi fatto proprio, da chi avrebbe dovuto tradurre le parole in fatti? Nonostante i richiami al federalismo, si ha la impressione che valga sempre la massima del Gattopardo, secondo cui bisogna cambiare tutto, ma in modo che tutto rimanga come prima.
GIANFRANCO D'ARONCO
L’intervento di Roberto Dominici
L'intesa tra due organismi tra loro diversi ed aventi finalità diverse, l'Anci della Regione ed il Comitato per l'Autonomia ed il Rilancio del Friuli, ha consentito di promuovere questa iniziativa per riflettere sul tema “specialità” oggi; un tema certamente non nuovo ma che per tante ragioni riprende attualità. Sono ragioni che vanno dalla “invadenza” dello Stato in materie ove vasta dovrebbe essere l'autonomia regionale, alle dichiarazioni, di tanto in tanto, di autorevoli esponenti nazionali che affermano essere superate le ragioni originarie della specialità in generale, alle prese di posizione di Regioni ordinarie che anziché puntare ad ampliare la propria sfera di autonomia puntano, invece, a ridurre o ad annullare la autonomia differenziata. L'attualità di una riflessione su questo tema e su quanto ad esso si riconduce, è rimarcata anche dal fatto che ci accingiamo a celebrare, cosa positiva, il 150° anniversario dell'Unità d'Italia e, fra pochissimi anni, il 50° della Regione, operante, come è noto, dal 1964: avvenimenti questi che ci interrogano da un lato sul grado di attuazione dell'articolo 5 della Costituzione (“La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; …) e dall'altro sul decentramento o sull'accentramento della Regione. Dico subito che non è facile togliere o limitare la “specialità”se non altro perché, come ben sappiamo, occorre seguire una particolare procedura legislativa; è possibile però “svuotarla”operando sulla leva finanziaria. Bisogna allora essere molto attenti ed accorti nel confronto con lo Stato quando di mezzo ci sono le partite finanziarie o quando si discute del trasferimento di ulteriori competenze in capo alla Regione qualora non vi sia in parallelo una adeguata copertura per l'oggi e per il domani. La difesa della “specialità” ed il suo rilancio deve essere l'obiettivo di tutti anche perché permangono ancora, anche se in termini diversi ed in quadro politico internazionale assai mutato, le ragioni di fondo che hanno portato il Costituente a concederla: presenza e coesistenza di ben tre minoranze; collocazione geografica che ci porta comunque al dialogo in tutti i campi, a cominciare da quello economico, con importanti realtà territoriali. E non dimentichiamo che la specialità è altresì fonte primaria di “coesione” all'interno della regione stessa. A chi pensa a modifiche statutarie mi permetto di dire di andare cauti perché questo non è un periodo propizio. È meglio lavorare attraverso la Commissione Paritetica che, del resto, ha avuto recentemente un importante atto di “indirizzo” dal Consiglio Regionale. Ma la specialità non può essere intesa soltanto nei rapporti Stato-Regione; deve esprimersi anche all'interno della Regione, sul territorio regionale e, con un rapporto direi nuovo, con le autonomie locali. La specialità si sostanzia non certo anticipando in suo nome, come talvolta accade, provvedimenti che lo Stato ha in itinere, e neppure perseguendo ad ogni costo obiettivi diversi da quelli nazionali, ma sviluppando le politiche che si ritengono maggiormente utili per le nostre realtà locali. Con riguardo al rapporto regione-Autonomie locali bisogna fare, e farlo subito, un grande e deciso passo in avanti“ridisegnando” o “riprogettando” il “modo di essere” della Regione stessa. Per arrivare a che forma di Regione? Ad una Regione “snella”, “leggera”, quindi non accentrata. Non basta invocare uno Stato che attivi un forte regionalismo od il federalismo, ed è un bene che ciò avvenga, se poi resta una gestione sostanzialmente accentrata a livello di governo regionale.
La nostra proposta è che la Regione: − si occupi dei grandi compiti che le sono propri ed esclusivi e che riguardano l'attività legislativa, l'alta programmazione, l'alto indirizzo − attribuisca le funzioni amministrative, gestionali, insieme al personale ed ai mezzi finanziari necessari, al sistema delle autonomie locali secondo forme opportunamente da definire, giustificando così anche l'operazione “Comparto Unico” secondo il suo originario obiettivo che era, appunto, quello del decentramento.
Quando si parla di “trasferimento di funzioni” al sistema elle autonomie il riferimento è, per il Comitato, alle Province, ai Comuni, singoli o associati, alle Comunità Montane, ovvero a ciò che le sostituirà, alla Comunità delle Province del Friuli che, già costituita, è bene si attivi con la Regione e la Regione con essa Comunità, per predisporre e realizzare, senza nulla togliere alle competenze proprie di ciascuna provincia, azioni progettuali di interesse e valenza interprovinciale finalizzate allo sviluppo economico, sociale culturale dei territori di competenza, con l'apporto dei Comuni, delle categorie produttive e delle organizzazioni sindacali interessate. È logico che il trasferimento di funzioni regionali deve riguardare anche la realtà triestina attraverso l'Area Metropolitana o ad altro idoneo strumento da prefigurare. Per la montagna forse era meglio pensare ad un compiuto disegno riformatore a monte del Commissariamento. Ora, per tradizione storica di buona parte dei territori montani e soprattutto per le loro esigenze, è bene dar vita ad un organismo o ad organismi idonei a gestire i servizi in forma associata ad essere destinatari di trasferimento di funzioni, quelle tipicamente montane, dalla Regione.
Sul trasferimento delle funzioni regionali ci sono alcuni interrogativi: quale il criterio da seguire per il trasferimento? Certamente quello della natura della funzione e dell'adeguatezza ad esercitare la funzione stessa. Come si può operare con tante realtà istituzionali di piccole dimensioni? Con la forma associata e con le opportune aggregazioni tra enti frutto di azioni intelligenti e non di atti di imperio. Dovremo sostenere costi aggiuntivi rispetto agli attuali? No se le funzioni sono accompagnate dal trasferimento di personale già in forza agli enti ora titolari della competenza. Ci sarà sul territorio una mancanza di connotati unitari nella gestione per l'intervento di più soggetti attuatori? No se la Regione eserciterà, per gli aspetti sostanziali, l'azione di alto indirizzo. Il progetto deve essere organico, sistematico, coinvolgente di tutti i soggetti istituzionali locali. Dico organico perché un vero trasferimento di funzioni non può riguardare competenze modeste. Devono essere per l'appunto complete. Così facendo si va sulla strada della valorizzazione dell'autogoverno locale il quale consente da un lato di dare meglio voce alle “specificità” presenti sul territorio, specificità che sono una ricchezza e non certo un ostacolo allo sviluppo, e all'altro a rafforzare, non già ad indebolire l'unità della Regione. Con l'autogoverno si pongono le migliori condizioni per la valorizzazione dei territori, per la mobilitazione in positivo di tutte le energie locali, il che tornerebbe certamente a vantaggio anche dell'economia specie se la per “ripensare profondamente” i complessi iter burocratici che costituiscono un costo a volte improduttivo. In parallelo con il trasferimento delle funzioni è bene ci sia anche la “rivisitazione” di adempimenti e procedure per ricondurli a ciò che oggi è veramente essenziale ai fini del cosiddetto “controllo pubblico”. A chi pensa alla copertura statutaria per questa operazione va detto che essa c'è già ed è contenuta nella
legge costituzionale n. 2 del 1993 (competenza in materia di ordinamento degli enti locali) e nell'articolo 11 dello Statuto, articolo che così recita: “la Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Province ed ai Comuni, ai loro Consorzi ed agli enti locali...”. Il fatto che lo Statuto dica “normalmente” significa che quella del trasferimento dovrebbe essere la regola, non l'eccezione. Nel tempo, a partire dalla L.r. n. 10 del 1988, su queste questioni si sono cimentati un po' tutti: il centrodestra con la L.r. 15 del 2001 ora abrogata; il centrosinistra con la L.r. 1 del 2006.
È certamente auspicabile che la politica, nel suo insieme, richiamandosi alla già citata competenza esclusiva della Regione in materia di ordinamento degli enti locali, si confronti attivamente su queste questioni e predisponga, nel concreto, anche innovando se necessario, le norme legislative di attuazione dell'art. 8 della citata L.r. 1 laddove afferma: “La Regione conferisce funzioni amministrative agli enti locali con leggi di settore...”. Nessuno si nasconde le difficoltà che sono proprie di ogni grande disegno riformatore. E qui di grande riforma si tratta. Ma bisogna pur partire. Ecco, allora, per concludere una ulteriore proposta: la Regione istituisca un apposito gruppo di lavoro avvalendosi anche dell'apporto e dell'esperienza degli amministratori locali per definire l'intero progetto e le azioni conseguenti. Si può, dunque, aprire una fase nuova che riqualificherebbe sia la Regione sia le autonomie locali, legherebbe le istituzioni ad un progetto di alto profilo.
Anche questo è un modo di dare sostanza alla “specialità”, costituendo un modello anche per altre realtà. Si può fare? Sì, purché si esca da schemi e schematismi e si compia un vero “salto” di qualità nell'approccio alla gestione della cosa pubblica.
Su questi temi è interessante ed utile conoscere anche l'opinione della politica, delle rappresentanze di categoria, delle organizzazioni sociali in quanto portatori di esigenze ed interessi diffusi.
Il documento che Anci e Comitato hanno predisposto è documento di partenza e quindi aperto ai contributi volti a migliorarne i contenuti. Sono certo che non mancheranno e fin da ora per essi ringrazio come ringrazio quanti hanno già fornito valutazioni ed indicazioni.
ROBERTO DOMINICI
Relazione del Comitato ad un Convegno con l’ANCI sulla “Specialità regionale”: anno 2010
IL Convegno a cui si riferisce il Documento pubblicato, è stato organizzato dall'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) regionale e dal "Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli" in data 3 Novembre 2010 a Udine
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