Vogliamo finirla con il tira e molla? con le affermazioni come «Sì, ma...»? Credono forse certi uomini di potere che non sappiamo leggere e scrivere? Mi riferisco al progetto di elettrodotto Redipuglia-Udine. Lungo 40 km, verrebbero innalzati 117 tralicci a 380 kw alti 60 metri. L’impianto è voluto dalla Terna, che è una società privata per certi aspetti lodevole, ma nata, più che per soccorrere i bisognosi (come fanno i medici senza frontiere), per aumentare l’attivo del proprio bilancio. E mi limito a narrare la storia degli ultimi 30 giorni, attingendo ai giornali soltanto, dato che non possiedo ancora un archivio computerizzato a dovere, così come non dispongo di qualcuno che mi scriva i discorsi. I 28 Comuni che verrebbero attraversati dalla grande opera sono tutti contrari (o quasi, salvo due, persuasi della bisogna): in testa le Province di Udine e di Gorizia.
L’impresa (un terno per la Terna) è contestata nella sua realizzazione aerea: per il forte impatto ambientale che graverebbe su aree agricole, commerciali e industriali. L’impianto snaturerebbe i piccoli centri rurali e comprometterebbe la salute degli abitanti per via delle onde elettromagnetiche. La società costruttrice può tenere in nessun conto le obiezioni dei diretti interessati, cioè i friulani, destinati nei secoli a subire tacendo. Ma pare non abbia ancora persuaso la Regione, che potrebbe anche esprimere parere contrario alla realizzazione aerea. Oppure, ove volesse lavarsi le mani, la Regione stessa potrebbe proporre il ricorso a un commissario straordinario, cui affidare l’incarico di sbrogliare la matassa. Il governo centrale inserirebbe l’opera tra quelle considerate strategiche e il gioco sarebbe fatto. Speriamo di no, ma la situazione è tutt’altro che rosea. Vediamo cosa bolle in pentola. E leggiamo sui giornali del 17 aprile: «Tondo ha promesso che se sarà possibile interrare alcuni tratti dell’elettrodotto, la Regione chiederà l’interramento. Dove non sarà possibile, invece, cercherà comunque di ridurre al minimo l’impatto, magari modificando il percorso». Qualche giorno dopo queste già tenui richieste, ecco il «Sì, ma...». Sempre secondo Tondo (T. come Terna), si «manterrà alto il livello delle trattative». Ma «l’elettrodotto deve comunque essere realizzato in Friuli Venezia Giulia (recte: in Friuli) per poter disporre di energia a costi più vantaggiosi e, quindi, per non penalizzare il sistema economico regionale» (21 aprile). Gli viene in soccorso la Terna (T. come Trieste), che riconferma in pari data «l’assoluta necessità di realizzare un elettrodotto aereo», «opera strategica per l’intero territorio». E per essere più precisi, la Terna aggiunge per i sordi e per i ciechi come «la soluzione aerea sia l’unica percorribile per assicurare stabilità ai fabbisogni di energia elettrica dei friulani». «Decide la Terna», scrive un giornale tre giorni dopo. Che ci sia qualche complotto? Passa un giorno, passa l’altro, il Comitato spontaneo contro il progettato progetto (comitato che non ha dividendi da distribuire, ma forse debiti da saldare) alza il tiro e chiede addirittura le dimissioni di Tondo per i suoi tentennamenti. Non credo che lui creda che i friulani credano alle reiterate promesse della premiata ditta: secondo la quale (6 maggio) «l’elettrodotto consentirà un risparmio complessivo delle bollette degli italiani di circa 60 milioni di euro all’anno» (suppergiù un euro risparmiato per ciascuno, neonati e vecchi compresi: non male). Quel giorno a venire ci saranno forse illustrati i motivi per cui i conti (e i costi) erano stati fatti senza l’oste. Torna Terna a ribadire la necessità assoluta e categorica del cavo aereo e dell’urgenza di realizzare l’opera. Infatti la linea elettrica attuale «non è più sufficiente a garantire con adeguati margini di sicurezza la continuità di alimentazione di una vasta area del territorio friulano» (7 maggio). C’è il pericolo del black-out. La vera verità, secondo il comitato, è che «con il preteso elettrodotto aereo Terna intende realizzare una potentissima linea commerciale dedita al trasporto di energia attraverso il Friuli e non per il Friuli» (8 maggio). Mica vero, rinterza la Terna (11 maggio): «Nessuna tutela di interessi particolari, se non quella degli stessi cittadini». Le maggiori spese per l’interrato («costerebbe 54 milioni di euro, 14 volte più dei 35 previsti per la linea aerea») sarebbero riversate sulle citate bollette dei furlani, che non hanno voluto i risparmi. Ribattono i contrari, forti del preventivo fornito da un’altra società, di esperienza pluricentenaria: «Il costo di un impianto interrato sarebbe solo tre volte superiore» (13 maggio). Cosa dicono i nostri industriali? Rispettiamo le loro esigenze e le loro convinzioni, ma non possiamo rallegrarci quando leggiamo una dichiarazione del loro presidente che sembra scritta su una falsariga. Rispetto all’impianto esistente, egli dice, il nuovo elettrodotto «costituisce garanzia di approvvigionamento delle famiglie e delle imprese, riduce i rischi di disservizi, assicura stabilità e migliora la qualità del servizio elettrico. Quindi è una necessità». E la soluzione interrata? No: ci sarebbero un impatto ambientale superiore, maggiori interferenze nella gestione, minore affidabilità e sicurezza; per ultimo, l’interrato «viene ad asservire aree superiori in termini di superficie di 40 volte rispetto all’opzione aerea». Il tutto a scanso di equivoci. E già che c’è, il presidente spende una buona parola per il nucleare da farsi, in mancanza d’altro, a casa nostra. (Le atomiche le abbiamo già). Mi viene in mente la storica reprimenda di un assessore regionale nostrano (eravamo nel 2006) contro chi paventava l’impianto di un rigassificatore a 6 miglia da Grado: «Se qualcuno vuole proporre la politica della fame e del freddo faccia pure, il governo della Regione starà dall’altra parte. I rigassificatori sono utili al paese». E meno male che non preannunciava pianto e stridor di denti. Un tempo lontano (eravamo nel secolo scorso) esistevano in Friuli le cosiddette servitù militari. A causa della guerra fredda, il Friuli si trovava in prima linea e bisognava farne un ennesimo scudo. Tra l’altro non si poteva quasi abbattere un albero o demolire un muretto senza i dovuti permessi delle supreme autorità militari. Fermi tutti. Non una fabbrichetta Iri che fosse: niente in cambio. Per consolarci, un certo anno ci riconobbero area depressa, con diritto agli avanzi delle provvidenze per il Mezzogiorno. «Comandano loro», mi disse sconsolato l’allora sottosegretario alla Difesa, Pelizzo, un friulano persona eccellente, che andai a trovare al ministero in via XX settembre forse 50 anni fa: nella stanza, eternate in pannelli a encausto, resistevano le imprese transoceaniche di Balbo. (Oggi i friulani non hanno più un ministro o un sottosegretario: il monopolio come il rimanente è a Trieste). Sia ben chiaro: le mie sono idee personali. Anzi, mi sono limitato a riferire quel che hanno detto le due parti. Siamo tuttora una regione a mezzadria, in regime di servitù come minimo di passaggio. Senza contare che le nuove devastanti servitù sarebbero stabili. Appaiono all’orizzonte, insistentemente, altre grandi opere, sempre nell’interesse dei cittadini: un secondo elettrodotto Würmlach-Somplago, il Corridoio 5, le casse di espansione per il Tagliamento, il lago di Cavazzo. Tutto indispensabile e stabilito nei dettagli, come si puote là ciò che si vuole. Qualcuno osserva che, specie in tempo di crisi, c’è bisogno immediato di molte piccole opere, già preventivate e non di grandi. Queste ultime sono destinate a produrre effetti – se mai ci saranno – nel lungo periodo. Ma intanto sottrarrebbero risorse a una serie di iniziative minori (completamenti e miglioramenti stradali, riparazioni, manutenzioni) già programmate e regolarmente rinviate, che darebbero ossigeno a tanti imprenditori e lavoratori locali, cui non basta dire che la crisi passerà. Che si fa invece, nel campo delle iniziative possibili da oggi, per intervenire sull’intasata arteria Pordenone-Udine-Gorizia? E per la Cimpello-Gemona? Comandano sempre gli altri? Ci dice Tondo un sì o un no?
L’impresa (un terno per la Terna) è contestata nella sua realizzazione aerea: per il forte impatto ambientale che graverebbe su aree agricole, commerciali e industriali. L’impianto snaturerebbe i piccoli centri rurali e comprometterebbe la salute degli abitanti per via delle onde elettromagnetiche. La società costruttrice può tenere in nessun conto le obiezioni dei diretti interessati, cioè i friulani, destinati nei secoli a subire tacendo. Ma pare non abbia ancora persuaso la Regione, che potrebbe anche esprimere parere contrario alla realizzazione aerea. Oppure, ove volesse lavarsi le mani, la Regione stessa potrebbe proporre il ricorso a un commissario straordinario, cui affidare l’incarico di sbrogliare la matassa. Il governo centrale inserirebbe l’opera tra quelle considerate strategiche e il gioco sarebbe fatto. Speriamo di no, ma la situazione è tutt’altro che rosea. Vediamo cosa bolle in pentola. E leggiamo sui giornali del 17 aprile: «Tondo ha promesso che se sarà possibile interrare alcuni tratti dell’elettrodotto, la Regione chiederà l’interramento. Dove non sarà possibile, invece, cercherà comunque di ridurre al minimo l’impatto, magari modificando il percorso». Qualche giorno dopo queste già tenui richieste, ecco il «Sì, ma...». Sempre secondo Tondo (T. come Terna), si «manterrà alto il livello delle trattative». Ma «l’elettrodotto deve comunque essere realizzato in Friuli Venezia Giulia (recte: in Friuli) per poter disporre di energia a costi più vantaggiosi e, quindi, per non penalizzare il sistema economico regionale» (21 aprile). Gli viene in soccorso la Terna (T. come Trieste), che riconferma in pari data «l’assoluta necessità di realizzare un elettrodotto aereo», «opera strategica per l’intero territorio». E per essere più precisi, la Terna aggiunge per i sordi e per i ciechi come «la soluzione aerea sia l’unica percorribile per assicurare stabilità ai fabbisogni di energia elettrica dei friulani». «Decide la Terna», scrive un giornale tre giorni dopo. Che ci sia qualche complotto? Passa un giorno, passa l’altro, il Comitato spontaneo contro il progettato progetto (comitato che non ha dividendi da distribuire, ma forse debiti da saldare) alza il tiro e chiede addirittura le dimissioni di Tondo per i suoi tentennamenti. Non credo che lui creda che i friulani credano alle reiterate promesse della premiata ditta: secondo la quale (6 maggio) «l’elettrodotto consentirà un risparmio complessivo delle bollette degli italiani di circa 60 milioni di euro all’anno» (suppergiù un euro risparmiato per ciascuno, neonati e vecchi compresi: non male). Quel giorno a venire ci saranno forse illustrati i motivi per cui i conti (e i costi) erano stati fatti senza l’oste. Torna Terna a ribadire la necessità assoluta e categorica del cavo aereo e dell’urgenza di realizzare l’opera. Infatti la linea elettrica attuale «non è più sufficiente a garantire con adeguati margini di sicurezza la continuità di alimentazione di una vasta area del territorio friulano» (7 maggio). C’è il pericolo del black-out. La vera verità, secondo il comitato, è che «con il preteso elettrodotto aereo Terna intende realizzare una potentissima linea commerciale dedita al trasporto di energia attraverso il Friuli e non per il Friuli» (8 maggio). Mica vero, rinterza la Terna (11 maggio): «Nessuna tutela di interessi particolari, se non quella degli stessi cittadini». Le maggiori spese per l’interrato («costerebbe 54 milioni di euro, 14 volte più dei 35 previsti per la linea aerea») sarebbero riversate sulle citate bollette dei furlani, che non hanno voluto i risparmi. Ribattono i contrari, forti del preventivo fornito da un’altra società, di esperienza pluricentenaria: «Il costo di un impianto interrato sarebbe solo tre volte superiore» (13 maggio). Cosa dicono i nostri industriali? Rispettiamo le loro esigenze e le loro convinzioni, ma non possiamo rallegrarci quando leggiamo una dichiarazione del loro presidente che sembra scritta su una falsariga. Rispetto all’impianto esistente, egli dice, il nuovo elettrodotto «costituisce garanzia di approvvigionamento delle famiglie e delle imprese, riduce i rischi di disservizi, assicura stabilità e migliora la qualità del servizio elettrico. Quindi è una necessità». E la soluzione interrata? No: ci sarebbero un impatto ambientale superiore, maggiori interferenze nella gestione, minore affidabilità e sicurezza; per ultimo, l’interrato «viene ad asservire aree superiori in termini di superficie di 40 volte rispetto all’opzione aerea». Il tutto a scanso di equivoci. E già che c’è, il presidente spende una buona parola per il nucleare da farsi, in mancanza d’altro, a casa nostra. (Le atomiche le abbiamo già). Mi viene in mente la storica reprimenda di un assessore regionale nostrano (eravamo nel 2006) contro chi paventava l’impianto di un rigassificatore a 6 miglia da Grado: «Se qualcuno vuole proporre la politica della fame e del freddo faccia pure, il governo della Regione starà dall’altra parte. I rigassificatori sono utili al paese». E meno male che non preannunciava pianto e stridor di denti. Un tempo lontano (eravamo nel secolo scorso) esistevano in Friuli le cosiddette servitù militari. A causa della guerra fredda, il Friuli si trovava in prima linea e bisognava farne un ennesimo scudo. Tra l’altro non si poteva quasi abbattere un albero o demolire un muretto senza i dovuti permessi delle supreme autorità militari. Fermi tutti. Non una fabbrichetta Iri che fosse: niente in cambio. Per consolarci, un certo anno ci riconobbero area depressa, con diritto agli avanzi delle provvidenze per il Mezzogiorno. «Comandano loro», mi disse sconsolato l’allora sottosegretario alla Difesa, Pelizzo, un friulano persona eccellente, che andai a trovare al ministero in via XX settembre forse 50 anni fa: nella stanza, eternate in pannelli a encausto, resistevano le imprese transoceaniche di Balbo. (Oggi i friulani non hanno più un ministro o un sottosegretario: il monopolio come il rimanente è a Trieste). Sia ben chiaro: le mie sono idee personali. Anzi, mi sono limitato a riferire quel che hanno detto le due parti. Siamo tuttora una regione a mezzadria, in regime di servitù come minimo di passaggio. Senza contare che le nuove devastanti servitù sarebbero stabili. Appaiono all’orizzonte, insistentemente, altre grandi opere, sempre nell’interesse dei cittadini: un secondo elettrodotto Würmlach-Somplago, il Corridoio 5, le casse di espansione per il Tagliamento, il lago di Cavazzo. Tutto indispensabile e stabilito nei dettagli, come si puote là ciò che si vuole. Qualcuno osserva che, specie in tempo di crisi, c’è bisogno immediato di molte piccole opere, già preventivate e non di grandi. Queste ultime sono destinate a produrre effetti – se mai ci saranno – nel lungo periodo. Ma intanto sottrarrebbero risorse a una serie di iniziative minori (completamenti e miglioramenti stradali, riparazioni, manutenzioni) già programmate e regolarmente rinviate, che darebbero ossigeno a tanti imprenditori e lavoratori locali, cui non basta dire che la crisi passerà. Che si fa invece, nel campo delle iniziative possibili da oggi, per intervenire sull’intasata arteria Pordenone-Udine-Gorizia? E per la Cimpello-Gemona? Comandano sempre gli altri? Ci dice Tondo un sì o un no?
di Gianfranco D'Aronco
Presidente del Comitato per l'Autonomia e per il Rilancio del Friuli
Brâf Professôr D'Aronco, ben sunadis!
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