Che
cosa sono dunque
il Friuli e Trieste.
Un dibattito che forse
va
preso seriamente.
di
Giorgio
Cavallo
La
presentazione in Consiglio da parte della Lega Nord della mozione sul
cambiamento
del nome della Regione in “Friuli e Trieste” ha
aperto un mini dibattito che rischia di esaurirsi nell’ambito di
una serie di rapidissime esternazioni, magari estorte, che, banali o
meno, rischiano di far parte di quelle discussioni politiche usa e
getta che tanto vanno di moda.
La
riflessione su tale proposta non può essere abbandonata poiché si
porta dietro diverse questioni, molte delle quali non di secondaria
importanza.
Innanzitutto
cerco di sintetizzare le reazioni che si possono desumere sia dai
cittadini eccitati dal blog del Messaggero Veneto, sia interpretando
i diversi “stakeholders” intervenuti:
- un rifiuto generalizzato di qualsiasi cosa provenga dalla “politica” e dai partiti, con un surplus di fastidio per una forza, come la Lega Nord i cui comportamenti individuali e collettivi ne fanno una responsabile del degrado politico considerato causa della drammatica situazione economica e sociale che stiamo vivendo;
- una reazione sorprendente di esponenti anche seri di forze politiche determinanti, come il PD e FI, che considerano il tema una quisquilia nominale “abbiamo cose più importanti da fare”, quando proprio questi partiti con il governo Renzi hanno posto al centro dell’attenzione politica italiana la modifica della costituzione (e delle leggi elettorali) anche nei rapporti di potere tra stato e articolazioni delle istituzioni locali;
- la convinzione piuttosto diffusa, talvolta anche tra coloro che tutto sommato condividono l’idea, che la proposta di cambiamento del nome sia una pura invenzione dei “friulani” per rafforzare il peso della loro identità (soprattutto linguistica) e rilanciare il ruolo di Udine, e che essa debba essere comunque inquadrata come una questione udinese;
- l’emergere di considerazioni e valutazioni geografico-storiche che possono essere attribuite ad un vero e proprio analfabetismo che, in alcuni casi è riconducibile ad una furba prospettiva per principio antifriulana. ma che il più delle volte segnala un vero e proprio deficit di conoscenza.
In
realtà l’occasione di discussione sul nome porta con sè la
necessità di affrontare alcuni temi non secondari, legati
naturalmente non ad aspetti formali ma alle questioni sostanziali che
oggi coinvolgono la natura della Regione Friuli Venezia Giulia, o
Friuli-Venezia Giulia che dir si voglia. Provo
ad elencarle:
- innanzitutto la madre di tutte le battaglie: come viene o verrà fuori la nostra regione, e più in generale il sistema delle regioni italiane, dopo la riforma costituzionale approvata dal Senato e che, particolarmente negli aspetti di ricollocazione centralizzata dei poteri tra centro e periferia, non mi sembra susciti particolare attenzione nella pubblica opinione;
- il peso da attribuire alle identità linguistiche ed il significato costituzionale da dare alla Legge 482/1999 nel senso della non liceità di fare distinzione tra minoranze collegate ad uno stato e minoranze unicamente interne allo stato italiano. Il che, particolarmente per le minoranze linguistiche sarda e friulana, deve poter avere conseguenze sia sulla denominazione della regione nella Costituzione sia nella attribuzione di particolari norme elettorali non discriminanti rispetto a quanto previsto per le minoranze tedesca e francofona;
- una chiarificazione definitiva del significato geografico della regione in cui abitiamo, aldilà di volontà separatistiche o di supremazia: in primo luogo eliminando la deformazione politica che vede come Friuli unicamente la Provincia di Udine o l’insieme dei luoghi dove si parla friulano;
- la chiusura di partite storiche che hanno causato la devastazione materiale, culturale e sociale di queste terre. Oggi parliamo di pace nell’occasione dei 100 anni dall’inizio della I guerra mondiale, dimenticando che, per quanto riguarda l’Italia, quella guerra è stata voluta, in base agli accordi di Londra, per conquistare una “regione” che verrà chiamata Venezia Giulia abitata in prevalenza da “allogeni” non di lingua italiana e che sarà la concausa, a 25 anni di distanza, della stessa scomparsa della lingua e cultura italiana da gran parte di quelle terre;
- la necessità di ricostruire una identità ed una capacità di guidare il proprio futuro per il più grosso punto di crisi dell’attuale territorio regionale: la provincia di Gorizia, storicamente sempre considerata come Friuli orientale e come tale poi diventata preda di un concetto irredentistico di Venezia Giulia, probabilmente ancora oggi freno decisivo per un ruolo da protagonista nella gestione della propria dimensione sovrastatale;
- riuscire a dare alla discussione aperta dalla proposta di riforma degli Enti Locali avanzata dalla Giunta Regionale uno spazio di elaborazione che vada aldilà della ricerca di risparmio ed efficienza nella fornitura di servizi ai cittadini ed alle imprese per confrontarsi con i temi dell’autogoverno, della democrazia e della identità, liberandoli dalle dinamiche di falsa contrapposizione che ancora oggi dilagano tra le diverse parti della Regione.
Certo,
per fare questo non bisogna limitarsi a tirare i dadi
sull’eliminazione o meno del trattino che separa il Friuli dalla
Venezia Giulia, sull’uso della lingua friulana nella denominazione
ufficiale della Regione, o magari nella apertura di un concorso a
premi per un nuovo più adeguato nome della Regione, ma capire cosa
c’è stato in passato e cosa c’è oggi dietro a questi aspetti,
anche in riferimento ad un rapporto con lo stato italiano che non
appare più come unicamente delegabile al ruolo della politica
ufficiale.
Non
sappiamo ancora quanto di serio ci sia nella futura evoluzione del
movimento che a Trieste si batte per una rianimazione del TLT, o, in
Friuli, del potenziale del referendum on line per una ipotesi di
indipendenza, ma sono messaggi di massa che la politica farebbe bene
a non trascurare, e che, forse, all’attuale governatore della
Regione potrebbero essere di forte utilità nel far mettere in agenda
a Roma ed a Trieste questioni, non solo finanziarie, ritenute scomode
dalle mode giornaliere.
Giorgio
Cavallo
15
settembre 2014
.................
Il
documento, inviatoci dal suo autore Giorgio
Cavallo, che ringraziamo, è stato
pubblicato sul settimanale “LA VITA
CATTOLICA”, prima e terza pagina,
giovedì 18 settembre 2014.
CHI E' GIORGIO CAVALLO?
RispondiEliminaDa una intervista a Giorgio Cavallo pubblicata il 25 agosto 2014 sul settimanale “IL FRIULI”:
“Giorgio Cavallo, già per 15 anni consigliere regionale (“sempre di opposizione”, ricorda non senza fierezza), poi assessore alla pianificazione delle due giunte Cecotti a Udine e a due riprese presidente regionale di Legambiente: figura storica del mondo autonomista, ha appena dato alle stampe un volume corposo dal titolo “Ripensare la nazione. Dall’agonia dello stato repubblicano a un nuovo percorso per il Friuli di domani”.
http://www.ilfriuli.it/articolo/Cronaca/Viva_la_democrazia_di_prossimit%C3%A0/2/135138