UNIVERSITA’ DI UDINE/
UNIVERSITÂT
DEL FRIÛL
UNIVERSITÂT
DEL FRIÛL
SI’, ALL’AUTONOMIA E ALLA INTERNAZIONALIZZAZIONE
NO, ALLA NEGOZIAZIONE
DEI “GIOIELLI DI FAMIGLIA”
(…) Nella relazione introduttiva, che sono stato invitato a tenere, mi sono domandato che senso abbia oggi quel principio di “autonomia” dell’Università di Udine che lo stesso neo-Rettore, durante la campagna elettorale d’Ateneo, aveva dichiarato di voler rispettare e che origina dalla legge istitutiva dell’Università di Udine, la 546 del ’77 che, all’art. 26, afferma che, all’Università di Udine, spetta anche di: “contribuire al progresso civile, sociale e alla rinascita del Friuli (…) e al rinnovamento dei filoni originali della sua cultura”.(…)
L’Università, con la sua “autonomia”, può essere il leader culturale di questa internazionalizzazione spinta. La sua autonomia diventa, allora, la garanzia che il processo non sia eterodiretto né portato a perseguire fini diversi dalla alta qualificazione dei suoi studenti e dalla creazione di nuove opportunità per il suo territorio. (…)
Significa anche che, sui “gioielli di famiglia” (i corsi con numerosi studenti) e sui “valori culturali” di fondo (gli impegni per la lingua e la cultura friulana), non si negozia mentre invece, sui corsi deboli, si deve negoziare con tutti e non solo dentro la regione (sarebbe da considerare neo-localista ogni politica, della Regione FVG, tesa a promuovere solo uno stentato “sistema universitario regionale”)
No, quindi, ad accordi al ribasso e con soggetti più deboli di noi e solo dentro i recinti dell’orticello regionale. (…)
PROF. SANDRO FABBRO
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Al Friuli serve uno shock!
All’Università
il compito di darglielo
di
Prof. Sandro Fabbro
coordinatore del patto Università-Territorio
Nei giorni scorsi si è svolto a Udine, organizzato dall’Associazione Friuli Europa, un interessante confronto tra, da una parte, rappresentanti della società economica e civile friulana e, dall’altra, il neo Rettore dell’Università Alberto De Toni, sul rapporto tra Università e crisi del Friuli.
Nella relazione introduttiva, che sono stato invitato a tenere, mi sono domandato che senso abbia oggi quel principio di “autonomia” dell’Università di Udine che lo stesso neo-Rettore, durante la campagna elettorale d’Ateneo, aveva dichiarato di voler rispettare e che origina dalla legge istitutiva dell’Università di Udine, la 546 del ’77 che, all’art. 26, afferma che, all’Università di Udine, spetta anche di: “contribuire al progresso civile, sociale e alla rinascita del Friuli (…) e al rinnovamento dei filoni originali della sua cultura”.
Il Patto Università-Territorio del 2008 aveva poi consolidato e rinnovato il rapporto collaborativo costruitosi negli anni definendo meglio i compiti della “terza missione” dell’Università e cioè, appunto, il rapporto con il territorio friulano.
Ma qui vorrei provare a cogliere, dell’autonomia, più le opportunità per il futuro che i vincoli derivanti dal passato. Oggi, infatti, rispetto al 2008 (per non dire rispetto al 1977) il contesto è talmente mutato che qualcuno potrebbe anche essere tentato di dire che gli impegni di allora, oggi, non hanno più senso.
All’epoca, l’Università di Udine, era in sofferenza di bilancio (al punto che qualche politico friulano, impegnato in Parlamento, ne invocava il commissariamento) mentre il Friuli appariva in buona salute. Oggi le parti si sono invertite: intanto l’Università ha un bilancio sano e certificato. E’ vero che, come ha rimarcato il Rettore De Toni, c’è stato un ridimensionamento nel numero di docenti e di studenti (- 6%) ma è anche vero che, mentre il risanamento è frutto di decisioni locali, il ridimensionamento è largamente dovuto alle politiche ed al contesto nazionale.
L’Università di Udine si colloca, inoltre, all’ottavo posto nella “top ten” della classifica italiana della ricerca e ha ottenuto più fondi premiali, dal Ministero, di molte altre università. Ma è il Friuli che, oggi, sta male. La sua crisi è certo un riflesso della crisi nazionale ma, visto che inizia con i primi anni 2000, ha anche profonde cause locali e, in primis, direi, una risposta inadeguata alla globalizzazione, da una parte, e istituzioni politiche -regionali e locali-, vecchie, dall’altra. La politica regionale si è certo mostrata debole rispetto a queste questioni e non ha saputo offrire prospettive strategiche. Ma la classe dirigente friulana (anche quella accademica!), in cambio di qualche vantaggio, si è mostrata spesso subalterna alla politica.
L’Università è oggi un organo sufficientemente sano ma in un corpo debole e sofferente e l’autonomia dell’Università rimane, allora, uno dei pochi asset immateriali che restano al Friuli per tentare di uscire dalla sua profonda crisi. Ma certamente non bastano buone parole per curare simili malanni. Il Friuli avrebbe bisogno di uno shock profondo per scuotersi dal torpore e dall’intontimento nel quale è caduto. Ma chi dovrebbe, per così dire, generarlo? L’Associazione Friuli Europa, non l’ultima, non la meno attrezzata delle associazioni della società civile friulana, propone una “internazionalizzazione spinta”, del Friuli e della regione, in tutti i settori. Questa può essere una strategia shock! Internazionalizzazione non è passiva globalizzazione!
L’Università, con la sua “autonomia”, può essere il leader culturale di questa internazionalizzazione spinta. La sua autonomia diventa, allora, la garanzia che il processo non sia eterodiretto né portato a perseguire fini diversi dalla alta qualificazione dei suoi studenti e dalla creazione di nuove opportunità per il suo territorio. Autonomia, allora, significa, innanzitutto, mantenere responsabilmente un bilancio sano e certificato com’è quello di oggi; mantenere, se non migliorare, l’ottava posizione acquisita, nel 2013, nella Valutazione nazionale della Qualità della Ricerca curata dal Ministero; offrire una didattica sempre più internazionalizzata che significa più corsi in lingua inglese, più doppie lauree, più dottorati di ricerca internazionali, più attrazione di studenti stranieri. Significa anche che, sui “gioielli di famiglia” (i corsi con numerosi studenti) e sui “valori culturali” di fondo (gli impegni per la lingua e la cultura friulana), non si negozia mentre invece, sui corsi deboli, si deve negoziare con tutti e non solo dentro la regione (sarebbe da considerare neo-localista ogni politica, della Regione FVG, tesa a promuovere solo uno stentato “sistema universitario regionale”). No, quindi, ad accordi al ribasso e con soggetti più deboli di noi e solo dentro i recinti dell’orticello regionale. Si alle federazioni macroregionali e soprattutto internazionali. A livello regionale si dovrebbero sostenere e finanziare solo i progetti di forte internazionalizzazione delle reti di Università e qui, la Regione, potrebbe essere portabandiera di una innovazione a livello italiano. La ricerca e la didattica, quindi, devono essere sempre più di alta qualità, altrimenti le famiglie friulane non ci manderanno i loro ragazzi e preferiranno, giustamente, spendere di più ma mandarli altrove se sanno così di potergli dare formazione più qualificata ed adatta a collocare i figli nel mercato del lavoro globale.
C’è poi la cosiddetta “terza missione” e cioè il trasferimento tecnologico e di conoscenze per lo sviluppo del territorio. Se serve uno shock è anche qui che si deve intervenire. Ma allora diciamola tutta: il “trasferimento tecnologico” che abbiamo conosciuto fino ad ora non basta più! Troppo lento nei risultati economici! Troppo di nicchia per una realtà piccola come la nostra. L’Università deve pronunciarsi anche sul destino, a breve, dei settori e delle strutture di livello intermedio e non solo sulle nicchie più “avanzate”: che prospettive ha l’economia regionale? E la manifattura? E l’industria delle costruzioni? E le istituzioni politiche regionali come andrebbero riformate? E la posizione geografica della regione come deve essere valorizzata?
Non sto pensando ad una via “tecnocratica” alla fuoriuscita dalla crisi che rimane, primariamente, questione politica. Ma non possiamo lavarci le mani pensando che sia solo compito della politica (che oggi non vede oltre il suo naso). Tentare di dire una verità (scientifica) su queste questioni è compito dell’Università e solo dell’Università. Su questi punti credo che il Friuli debba chiedere, senza mezzi termini, un impegno serio all’Università ed anche al suo nuovo Rettore. Magari anche rilanciando il Patto Università-territorio del 2008.
Prof. SANDRO FABBRO
Docente
Docente
Università di Udine/Universitât del Friûl
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE E ARCHITETTURA
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L’articolo a firma del prof. Sandro Fabbro è stato pubblicato sul quotidiano il Messaggero Veneto (Ud) martedì 8 ottobre 2013.
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IL CONVEGNO - 3 OTTOBRE 2013
“L’autonomia dell’università del Friuli per l’internazionalizzazione della regione e la fuoriuscita dalla crisi”
Messaggero Veneto – 2 ottobre 2013
Confronto sul futuro dell’ateneo
Fabbro: va rilanciato il patto con il territorio siglato cinque anni fa
«Rinnoviamo il patto per l’università sottoscritto nel 2008». L’obiettivo dell’associazione Friuli Europa, presieduta da Renzo Pascolat, sarà alla base del convegno “L’autonomia dell’università del Friuli per l’internazionalizzazione della regione e la fuoriuscita dalla crisi”. L’incontro si terrà domani, alle 17.30, nella sala Valduga della Camera di commercio. Qui siederanno allo stesso tavolo Pascolat, il presidente della Cciaa Giovanni Da Pozzo, il coordinatore del Patto università-territorio Sandro Fabbro, il nuovo rettore dell’ateneo Alberto Felice De Toni, assieme ai vertici della Crup, di Confindustria Udine, Legacoop, Confartigianato e della Cisl, Giuseppe Morandini, Alessandra Sangoi, Enzo Gasparutti, Edgarda Fiorini e Roberto Muradore.
«Il nostro scopo è quello di fissare i punti da cui il nuovo rettore parte rispetto al passato» spiega Fabbro facendosi portavoce delle istanze del Friuli. Un Friuli che si è battuto per avere l’università di Udine che in pochi decenni ha raggiunto più di qualche primato sia nella didattica che nella ricerca. I friulani, infatti, vogliono salvaguardare tre cose: Mantenere l’ottava posizione nazionale conquistata nell’attività di ricerca e confermata dalla valutazione della qualità dei progetti, migliorare la posizione dell’ateneo sul fronte della didattica dove Udine ha raggiunto un livello medio e per questo - avverte Fabbro - non possiamo negoziare con altri atenei i corsi di laurea dove siamo forti». (…)
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“(…) sui “gioielli di famiglia” (i corsi con numerosi studenti) e sui “valori culturali” di fondo (gli impegni per la lingua e la cultura friulana), non si negozia mentre invece, sui corsi deboli, si deve negoziare con tutti e non solo dentro la regione (sarebbe da considerare neo-localista ogni politica, della Regione FVG, tesa a promuovere solo uno stentato “sistema universitario regionale”). No, quindi, ad accordi al ribasso e con soggetti più deboli di noi e solo dentro i recinti dell’orticello regionale. (…)"
RispondiEliminaCome non essere d'accordo con il Prof. Sandro Fabbro?
Oltre tutto non si deve dimenticare che l'Università di Trieste, con solo circa 1.000 iscritti in più rispetto all'Università di Udine, riceve dal Ministero (MIUR) ben circa 20 milioni di euro in più rispetto all'Università friulana. E ciò perchè la quasi totalità dei fondi ministeriali alle università italiane è ancora distribuita in base all'iniquo e ingiusto "costo storico".
Distribuzione in base al costo storico che le università sovra-finanziate difendono impedendo l'applicazione di criteri meritocratici.
Dunque, Università friulana sotto-finanziata di circa 10 milioni di euro; Università triestina sovra-finanziata di circa 10 milioni di euro.
Risultato finale? Trieste riceve dal MIUR, rispetto a Udine, ben 20 milioni di euro in più …
Si può continuare cosi? E la politica regionale si guarda bene dal riequilibrare i finanziamenti ministeriali nonostante ci sia una legge regionale già approvata – ma ancora priva di regolamenti attuativi ! - che lo prevede…