domenica 3 novembre 2013

"QUALI RIFORME?" di Prof. Gianfranco D'Aronco







QUALI RIFORME?
di
Prof. Gianfranco D’Aronco

Giorni or sono si è svolta a Roma una importante manifestazione, avente in programma la dichiarata difesa della carta fondamentale dello Stato. “La Costituzione è stata tradita”, ha affermato di fronte a migliaia di convenuti don Luigi Ciotti, che ha preso la parola accanto a Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Gustavo Zagrebelsky e altri. Tradita perché? E’ stata disattesa a metà. Se ne potrebbe scrivere un libro. Ma nel mio piccolo, mi fermo  al fondamentale settore della riforma regionale.
         Le leggi son…  Piero Bassetti (negli anni ’50 autorevole esponente della sinistra di Base democristiana) è intervenuto di recente sull’argomento, dopo lungo silenzio. “Si è fatto qualche tentativo di decentramento”, ha affermato, “ma negli ultimi tempi c’è stato un pesantissimo ritorno al centralismo”. La unificazione italiana ha impedito uno sviluppo autonomo democratico. Per il mondo industriale è più comodo un governo centralizzato che controlli il Paese. E invece “l’unico modo per tenere insieme il Paese e controllare la periferia è quello di responsabilizzarla”. Uno Stato regionalista, meglio ancora federalista, è il solo mezzo per cui ogni parte d’Italia si carichi delle proprie responsabilità. Oggi invece ciascuna Regione, quale più quale meno, è legata con doppio filo al centro.
         Quello che impropriamente è chiamato federalismo fiscale, scrive Sergio Rizzo, serve per lo più a nascondere politiche sconsiderate ma utili alle clientele. Così apprendiamo che il Comune di Roma pretende dallo Stato più di 800 milioni di euro (e li avrà), necessari per risanare il bilancio. E così Milano, che si accontenta di 500. Ma non sono le sole, anche se il primato della finanza disinvolta, e insieme della inefficienza, spetta al Comune della città eterna, che tra l’altro dispone di 25 mila dipendenti.
         Riforme? Le s’invoca a ogni piè’ sospinto. Certo. Ma bisognerebbe riformare prima di tutto gli italiani. Il potere locale (sto citando persone un po’ più autorevoli di me) è generalmente in mano a “un’oligarchia plebea assurta agli agi e alle opportunità del potere senza avere la minima educazione o cultura necessarie”: parole di Ernesto Galli della Loggia. Il quale non è un testimone che esageri, quando afferma che “quel che resta dei partiti è solo una serie di autonomi potentati locali”, basati su famiglie, clan, conventicole. Non è dappertutto così, ma è più che sufficiente per allarmarsi.
         E da noi in Friuli? Cosa chiedevamo, seguendo Tiziano Tessitori, dal 1945 in avanti? Chiedevamo un’autonomia come per le altre Regioni, ma la più ampia possibile. E l’autonomia entrò nella Carta costituzionale (gennaio 1948). Leggiamo l’articolo 115: “Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione”. Articolo 116: “Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali”. Tutto bene. Sennonché l’impianto della nostra Regione e soprattutto il conseguente funzionamento furono  realizzati con criteri centralistici, a immagine e somiglianza dei ministeri romani. Trieste ebbe il dono di capoluogo (con annessi e connessi) di un territorio per quattro quinti, il Friuli, ad essa estraneo. Che poi l’autonomia sia speciale o particolare solo a parole lo testimoniano gli stessi nostri politici, sino ad oggi dormienti. Ad esempio un primus inter pares (si fa per dire), anche se scaduto, per il quale un tempo l’autonomia “non è un totem”, mentre ora auspica “un partito federato a Roma, ma con una forte autonomia” addirittura.
         L’importante è promettere: soprattutto riforme. In campo nazionale ora è la volta di Letta (Enrico). Non passa giorno che non ci si riprometta l’attuazione di riforme, promesse e ripromesse da anni. Non sto ad enumerarle. Un buon criterio sarebbe quello che riguarda il contenimento degli sprechi, ma rimane un’idea: a cominciare alla riduzione delle sovvenzioni ai partiti. Si tratta del costo della politica, così si dice: ma sarebbe più esatto parlare del costo dei politici. Quello degli sprechi è materiale sovrabbondante. Ma si potrebbe operare  un buon taglio anche a certe spese necessarie. Con tutto rispetto apprendiamo, ad esempio, che gli Aermacchi delle Frecce tricolori, di stanza a Rivolto, hanno bisogno di essere rinnovati, se si vuol continuare “a fare meraviglia nel mondo”, come ha assicurato il ministro della Difesa. Il progetto stimato è di 100 milioni di dollari.
         Veniamo alla promessa delle promesse: l’abolizione delle Province, che ha procurato un gran chiasso.  La nostra Regione, o almeno l’allora presidente, è stata la più sollecita ad aderire al primo annuncio, pur non avendo alcun obbligo perché “speciale” nonché “particolare”. Ma toccherà, caso mai, cambiare la Costituzione. La quale prevede (articolo 118): “La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici”.  Il nostro statuto del 1963 lo ripete tale e quale (articolo 119). Ma si è fatto il contrario. Forse vedremo, se nascerà qualcosa, che in omaggio al Gattopardo le Province cambieranno nome, rimanendo ben s’intende svuotate di quel po’ di autonomia che ancora possiedono. Con la conseguenza che, se ci si limiterà a questo, vedremmo un doppio concentrato in piazza Unità. A meno che del Friuli (Udine, Gorizia e Pordenone) non si faccia un’unica Provincia, autonoma sull’esempio di Trento con i dovuti adattamenti, e Trieste città metropolitana. Diversamente il Friuli sarebbe definitivamente condannato a una semplice denominazione geografica.
Gianfranco D’Aronco
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Articolo pubblicato sul quotidiano ll Messaggero Veneto  (prima pagina e seguito a pagina 8 ) il 29 ottobre 2013 con il titolo: SOLTANTO PROMESSE SULLE GRANDI RIFORME.

1 commento:

  1. Il Prof. Gianfranco D'Aronco è il Presidente del " Comitât pe Autonomie e pal Rilanç dal Friûl".

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