FRIULI,
“REGIONE PUNTO”
E NON
“REGIONE PONTE”
(…) La domanda sulle priorità sorge spontanea anche in altri casi, in tutto lo stato italiano: da una parte la scuola, i servizi sociali, la qualità della vita e, come recentemente sperimentato, la prevenzione ed il contrasto degli incendi; dall'altra Tav e F35. Eppure quello delle “grandi opere”, spesso utili solo a chi le costruisce, resta un tema all'ordine del giorno, in particolare in Friuli, dove si rilancia l'idea ormai logora della “regione ponte”, di un territorio sempre più consumato da infrastrutture, che agevolano il passaggio, veloce, di merci e persone, ma escludono chi ci vive sia dalla sua progettazione che dai suoi benefici.
Perché invece non si prova a fare altro, per esempio una “regione punto”: dove si passa ma soprattutto ci si ferma (punto di incontro), dove si fa innovazione tanto nella progettazione, nella produzione e nella distribuzione, quanto nella garanzia di diritti, nelle relazioni con l'esterno e nell'offerta di servizi (punto di riferimento) (…)?
Serve “più Friuli” per combattere la crisi e per essere più aperti al mondo, più competivi e più sostenibili.
Novi Matajur – 28 agosto 2013
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Dal settimanale
Novi Matajur
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Da “regione ponte”
a “regione punto”,
per un Friuli
più aperto e più sostenibile
più aperto e più sostenibile
Passano gli anni, mutano gli scenari, si creano anche nuove possibilità, ma per la classe dirigente politica ed economica sembra che la dimensione territoriale del Friuli, l'utilizzo delle sue risorse ed il suo sviluppo sociale ed economico debbano dipendere sempre e solo da aspettative e interessi altrui. Dopo aver già sacrificato anima e corpo, con danni irreparabili a cultura, società e territorio, tanto alle servitù militari quanto a un modello di sviluppo che già da tempo mostra le sue forti contraddizioni e lascia sul campo morti e feriti, purtroppo non solo in senso metaforico, per certi “sorestants” la musica suonata in Friuli deve rimanere la stessa: uno spartito fatto di acciaio, cemento e asfalto e di decisioni prese altrove, sulla testa e alle spalle delle comunità locali. Alla faccia della sostenibilità economica e ambientale, della partecipazione civica, dell'economia della conoscenza, del patrimonio culturale come risorsa e della assai spesso dichiarata volontà di valorizzare ciò che rende unico e speciale questo territorio.
Quelle che altrove sono linee strategiche, dalle nostre parti paiono essere solo semplici parole prive di contenuto. Si stenta, per esempio, a trovare un nesso coerente tra gli impattanti elettrodotti aerei che si intende costruire nel Friuli orientale ed il riconoscimento di Cividale come patrimonio dell'umanità, l'analoga azione promossa presso l'Unesco per Palmanova e le prospettive di sviluppo legate alle due iniziative.
La domanda sulle priorità sorge spontanea anche in altri casi, in tutto lo stato italiano: da una parte la scuola, i servizi sociali, la qualità della vita e, come recentemente sperimentato, la prevenzione ed il contrasto degli incendi; dall'altra Tav e F35. Eppure quello delle “grandi opere”, spesso utili solo a chi le costruisce, resta un tema all'ordine del giorno, in particolare in Friuli, dove si rilancia l'idea ormai logora della “regione ponte”, di un territorio sempre più consumato da infrastrutture, che agevolano il passaggio, veloce, di merci e persone, ma escludono chi ci vive sia dalla sua progettazione che dai suoi benefici.
Perché invece non si prova a fare altro, per esempio una “regione punto”: dove si passa ma soprattutto ci si ferma (punto di incontro), dove si fa innovazione tanto nella progettazione, nella produzione e nella distribuzione, quanto nella garanzia di diritti, nelle relazioni con l'esterno e nell'offerta di servizi (punto di riferimento)?
In questo scenario alternativo, insieme a nuove tecnologie, cultura e informazione, hanno un ruolo specifico il profilo multilingue del Friuli e l'attuazione di un'azione di tutela delle minoranze coerente e positiva. Una seria politica linguistica, infatti, richiede – e quindi crea – professionalità nuove e specializzate, da impiegare sia nel settore pubblico che in quello privato e giova alla qualità dei servizi per l'intera comunità, concorrendo al perseguimento di quegli obiettivi di progresso e coesione sociale che, a livello europeo, si trovano per esempio nella cosiddetta “Agenda territoriale 2020”.
Serve “più Friuli” per combattere la crisi e per essere più aperti al mondo, più competivi e più sostenibili.
28 AGOSTO 2013
DAL BLOG “EURO FURLAN”
RispondiEliminahttps://eurofurlan.wordpress.com/2013/09/02/ni-piccola-patria-ni-grandi-opere/.
titul: Ni “piccola patria”, ni “grandi opere”
TEST:
Vie par chestis setemanis si fevele une vore di autonomie (chê regjonâl o chê dal Friûl? Boh!) e di infrastruturis e “grandi opere”.
Cun di plui al torne a fâsi indenant une tindince a dineâ la esistence dal Friûl, fintremai te denominazion de aghe minerâl e des manifestazions sportivis.
Al somee che il Friûl al ledi ben dome in tiermins di servitût militârs o di servitûts di passaç e che par chest nol vedi dirit nancje al so non (no i covente…): la vecje idee de “piccola patria”, dal Friûl stramudât intune grande caserme, cumò e ven tornade a fâ indenant inte vieste de “regione ponte” e de “piattaforma logistica”
Sgarfant in rêt o vin cjatât doi articui che nus ufrissin une cjaladure diferente
Sul Novi Matajur di joibe passade al è un toc che cuintri de “regione ponte” al fâs indenant la idee de “regione punto” e duncje cuintri de “piattaforma logistica” al presente une prospetive alternative, che nus cjate ad in plen in cunvigne: chê che a chest pont o clamaressin de “plataforme logjiche”.
Un altri al è un editoriâl di Ezio Gosgnach, jessût ancjemò tal 2009 su La Vita Cattolica, che si pues leilu ancje sul blog dal Comitât/Odbor/Komitaat/Comitato 482, là che si fevele des infrastruturis che a coventin pardabon. Ancje in chest câs lu “cuotìn” cun convinzion.
Euro Furlan